Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21210 del 08/10/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 21210 Anno 2014
Presidente: VITRONE UGO
Relatore: MERCOLINO GUIDO

Data pubblicazione: 08/10/2014

pubblico

SENTENZA
sul ricorso proposto da

SIFRA SUD S.R.L., in persona dell’amministratore unico p.t. Ferdinando Mazzarella, in qualità di capogruppo dell’ASSOCIAZIONE TEMPORANEA D’IMPRESE costituita con la CIOTOLA EUGENIO S.P.A. e la BAGLIONI IMPIANTI S.R.L., elettivamente domiciliata in Roma, alla via di San Giacomo n. 22, presso l’avv. ALESSANDRA FLAUTI, dalla quale. unitamente all’avv. MARIO
SALVI, è rappresentata e difesa in virtù di procura speciale a margine del ricorso
0 /i St_G-G063 —
RICORRENTE

contro
AZIENDA OSPEDALIERA SAN GIOVANNI DI DIO E RUGGI D’ARAGONA
DI SALERNO, in persona del direttore generale p.t., elettivamente domiciliata in
Roma, alla via Calatalimi n. 11, presso l’avv. ELISABETTA BULDO, unitamente
all’avv. GIUSEPPE ROMANELLI del foro di Salerno, dal quale è rappresentata e

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difesa in virtù di procura speciale in calce alla copia notificata del ricorso
1,92.0860650CONTRORICORRENTE

avverso la sentenza della Corte di Appello di Salerno n. 670/07, pubblicata il 25

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 29 maggio
2014 dal Consigliere dott. Guido Mercolino;
uditi i difensori delle parti;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Luigi SALVATO, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. – La Sifra Sud S.r.l., in qualità di capogruppo dell’Associazione Temporanea d’Imprese costituita con la Ciotola Eugenio S.p.a. e la Baglioni Impianti
S.r.l., convenne in giudizio l’Azienda Ospedaliera San Giovanni di Dio e Ruggi
d’Aragona di Salerno, chiedendo l’annullamento, la rescissione o la risoluzione del
contratto d’appalto stipulato il 27 novembre 1999, con la condanna della convenuta alla restituzione della polizza fideiussoria ed al pagamento della penale, la contabilizzazione delle opere eseguite secondo la tariffa regionale 1990, decurtata del
5% e ribassata del 25,73% ed il riconoscimento del maggior danno per l’andamento anomalo dell’appalto e per le riserve tecniche formulate e non accolte.
Premesso che con il contratto d’appalto le erano stati affidati i lavori di completamento di determinate strutture dell’Azienda verso un corrispettivo a corpo di
Lire 16.124.759.700, espose che la valutazione economica del progetto, sulla base
della quale era stata indetta la gara, era risultata completamente errata, in quanto il
progettista non si era attenuto alla tariffa regionale 1990, ribassata del 5%. come
riferito, ma ne aveva modificato moltissime voci, in tal modo traendo in inganno

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ottobre 2007.

essa attrice, che aveva offerto il massimo ribasso, sulla base di una valutazione
statistica fondata sulla media dei ribassi offerti per opere analoghe; il predetto errore, emerso soltanto al momento della contabilizzazione delle opere, aveva de-

1.1. — Si costituì la convenuta, e resistette alla domanda, affermando che nel
contratto, stipulato soltanto a seguito della verifica da parte dell’attrice degli aggiornamenti introdotti nel progetto, era stato convenuto che l’importo netto dei lavori sarebbe rimasto fisso ed invariabile; aggiunse che a seguito degl’ingiustificati
ritardi nell’allestimento del cantiere e nell’esecuzione dei lavori, con delibera del 4
ottobre 2001 era stata disposta la risoluzione del contratto in danno dell’appaltatrice.
1.2. — Con sentenza del 17 novembre 2003, il Tribunale di Salerno affermò
che la determinazione del corrispettivo a corpo impediva l’applicazione dei prezzi
previsti dalla tariffa regionale, ed escluse l’annullabilità del contratto per errore,
non essendo risultato che l’attrice avesse avuto una falsa rappresentazione della
realtà; osservò che la risoluzione, oltre a presuppone un vizio funzionale, e non
già genetico del rapporto, era preclusa dall’avvenuta risoluzione dell’appalto in via
di autotutela, e dichiarò prescritta l’azione di rescissione, rigettando pertanto tutte
le domande proposte dall’attrice.
2. — L’impugnazione proposta dalla Sifra Sud è stata rigettata dalla Corte
d’Appello di Salerno con sentenza del 25 ottobre 2007.
Ha premesso la Corte che, ai sensi dell’art. 6 del contratto e dell’art. 2 del capitolato speciale, l’importo complessivo a base d’asta, da valutarsi a corpo ai sensi
dell’art. 326 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. F e dell’art. 19, quarto comma, della legge 11 febbraio 1994, n. 109, era fisso ed invariabile, ed i prezzi offer-

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terminato il blocco dei lavori e la formulazione delle riserve.

ti dovevano considerarsi remunerativi di ogni spettanza dell’appaltatore, mentre, ai
sensi dell’art. 87 del capitolato, l’allegato elenco dei prezzi unitari aveva l’unico
scopo di disciplinare il pagamento dei lavori disposti in aumento e le detrazioni

stiche di singoli manufatti e gli oneri e i magisteri ai quali l’esecuzione delle opere
avrebbe dovuto conformarsi.
Ciò posto, e rilevato che nel corso del procedimento propedeutico alla stipulazione l’ATI aveva dimostrato una piena consapevolezza delle caratteristiche dell’oggetto del contratto e la volontà di concluderlo alle condizioni indicate nella offerta, la Corte ha osservato che nel giudizio di appello l’obbligo della committente
di conformarsi alla tariffa regionale nella determinazione del prezzo a corpo era
stato fatto valere esclusivamente come motivo di risoluzione del contratto; precisato quindi soltanto per completezza che il predetto tariffario non poteva trovare
applicazione negli appalti a corpo, ha chiarito che, in quanto attinente al momento
genetico del vincolo negoziale, la difformità del corrispettivo determinato a corpo
dalle tariffe regionali non avrebbe potuto comportare la risoluzione per inadempimento, ma avrebbe dovuto essere dedotta come causa di nullità quanto meno
parziale del contratto, non potendo altrimenti riflettersi sul piano del sinallagma
funzionale: ha ritenuto pertanto irrilevante l’eventuale inosservanza della tariffa
regionale nella progettazione delle opere, così come la mancata predisposizione di
varianti in corso d’opera finalizzate alla riformulazione dei prezzi.
Preso atto, inoltre, che con deliberazione del 4 ottobre 2001 il direttore generale dell’Azienda Ospedaliera aveva disposto la risoluzione in danno dell’appaltatrice, ha riconosciuto la legittimità di tale determinazione, ritenendola giustificata
dai ritardi che la questione sollevata dalla Sifra Sud aveva causato nella realizza-

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conseguenti a riduzioni delle opere commissionate, nonchè di chiarire le caratteri-

zione del programma costruttivo, nonché dalle divergenze che la stessa aveva
provocato anche tra le imprese aderenti all’ATI, precisando che il provvedimento
adottato nei confronti dell’appellante aveva comportato il venir meno del vincolo

rapporto ed al mandato con rappresentanza gratuito ed irrevocabile conferito alla
impresa capogruppo per la gestione dei rapporti con l’Amministrazione committente.
Quanto alla domanda di pagamento degl’importi per i quali era stata iscritta
riserva, la Corte ne ha escluso l’omesso esame, rilevando che il Tribunale ne aveva ricollegato il rigetto all’impossibilità di procedere all’individuazione ed alla
contabilizzazione delle opere secondo un criterio diverso da quello a corpo, previsto dal contratto, e riconoscendo la correttezza della decisione, in quanto anche a
fondamento della predetta domanda era stato dedotto l’errore progettuale consistente nella mancata applicazione della tariffa regionale. Ha ritenuto invece che il
riconoscimento del mancato utile e lo svincolo delle polizze fideiussorie, oltre a
non essere stati richiesti in primo grado, si ponessero in contrasto con la risoluzione del contratto per inadempimento dell’appaltatrice. Ha precisato infine che la richiesta di maggiori compensi avrebbe dovuto essere sorretta dalla prospettazione
della perdurante esecuzione dell’appalto, non potendo altrimenti trovare applicazione i parametri previsti per la determinazione del corrispettivo contrattuale, in
quanto la retroattività della risoluzione, comportando l’obbligo delle parti di restituire le prestazioni ricevute, avrebbe consentito all’appaltatrice di chiedere soltanto il riconoscimento di una somma pari al valore dell’opera realizzata. Rilevato
che la relativa domanda non era stata neppure proposta, ha ritenuto pertanto superflua la c.t.u. richiesta dall’appellante.

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contrattuale anche nei confronti delle altre imprese, avuto riguardo all’unicità del

3. — Avverso la predetta sentenza la Sifra Sud propone ricorso per cassazione, articolato in due motivi, illustrati anche con memoria. L’Azienda Ospedaliera
resiste con controricorso, anch’esso illustrato con memoria.

1. — Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1175, 1206, 1375, 1418 e 1453 cod. civ.,
degli artt. 19 e 25 della legge 11 febbraio 1994, n. 109 e dell’art. 326 della legge
20 marzo 1865, n. 2248, all. F, censurando la sentenza impugnata nella parte in
cui ha ritenuto che la pronuncia della risoluzione per inadempimento della committente fosse preclusa dalla mancata deduzione della nullità del contratto e dallo
avvenuto concordamento dei prezzi in violazione della tariffa regionale.
Sostiene infatti che l’inosservanza delle disposizioni che imponevano l’applicazione della tariffa nella determinazione del corrispettivo dell’appalto e l’immediata comunicazione degli errori progettuali non comportava la nullità del contratto, non ricorrendo nessuna delle ipotesi previste dall’art. 1418 cod. civ., ma l’annullabilità, la rescissione o la risoluzione, nonché la responsabilità dell’Azienda
Ospedaliera, per effetto dell’illegittima condotta tenuta nella fase preparatoria della gara ed in quella dell’esecuzione del contratto. Ai fini dell’affidamento dell’appalto, l’Amministrazione era infatti tenuta ad indire una gara e ad applicare la tariffa regionale, come richiesto dalla circolare dell’Assessore regionale alla Sanità
del 12 aprile 1995, prot. n. 3700 ai fini della concessione dei finanziamenti previsti dall’art. 20 della legge 11 marzo 1988, n. 67; l’intervenuta applicazione della
predetta tariffa era stata d’altronde confermata dal tecnico incaricato della redazione del progetto, nonché dal CTR nel parere favorevole reso sul progetto; nel
corso dei lavori, poi, gli organi amministrativi e tecnici dell’Azienda hanno siste-

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MOTIVI DELLA DECISIONE

maticamente eluso le richieste di riformulazione dei prezzi avanzate da essa ricorrente, in tal modo contravvenendo agli obblighi previsti dall’art. 25 della legge n.
109 cit. per l’ipotesi in cui emergano errori od omissioni del progetto, ivi compre-

tenuto un comportamento contraddittorio, avendo negato nel corso del giudizio di
avere l’obbligo di applicare la tariffa regionale, che aveva invece ammesso nella
fase anteriore alla gara. L’avvenuta violazione della tariffa emergeva d’altronde da
una perizia giurata prodotta in giudizio, il cui esame avrebbe dovuto indurre la
Corte di merito a disporre una c.t.u., al fine di valutare la gravità dell’inadempimento e quantificare i crediti dell’ATI, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la
risoluzione del contratto autoritativamente disposta dall’Amministrazione, la quale
avrebbe potuto essere dichiarata illegittima in via incidentale.
2. — Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., nonché l’insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a specifiche domande, affermando che, nell’escludere l’omesso
esame della domanda di pagamento degl’importi per i quali era stata iscritta riserva, la Corte di merito non ha considerato che soltanto una parte degli stessi era ricollegabile alla mancata applicazione della tariffa regionale, mentre altri si riferivano a varianti ordinate e non contabilizzate, ad indennizzi conseguenti all’andamento anomalo dei lavori o a richieste avanzate in sede di collaudo, ovverosia a
pretese autonome rispetto alla domanda di annullamento, risoluzione o rescissione
del contratto. La sentenza impugnata si è limitata a ricollegare il rigetto di tali pretese a quello della domanda principale, senza nulla aggiungere, erroneamente affermando la novità delle domande di riconoscimento del mancato utile e di svincolo della polizza fideiussoria, che erano state invece proposte nell’atto introdutti-

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sa l’insufficiente o errata determinazione dei costi dell’opera; l’Azienda ha infine

vo del giudizio.
3. — I predetti motivi sono inammissibili, ai sensi dell’art. 366-bis cod. proc.
civ., non rispettando le prescrizioni dettate da tale disposizione ai fini della dedu-

civ.
Il primo motivo, avente ad oggetto la violazione di legge, si conclude infatti
con la formulazione di un generico interrogativo riguardante la proponibilità della
domanda di risoluzione in caso d’inosservanza delle norme comportamentali dettate dalle disposizioni indicate in rubrica, privo di qualsiasi riferimento alla fattispecie specificamente sottoposta all’esame della Corte di merito ed alla regola giuridica da quest’ultima applicata, con la conseguenza che risulta assolutamente impossibile individuare, sulla base del solo quesito, la ratio decidendi della sentenza
impugnata ed il diverso principio di diritto che la ricorrente chiede a questa Corte
di enunciare. Il secondo motivo, invece, è accompagnato da un enunciato che, oltre a cumulare in un unico contesto censure di violazione di legge e difetto di motivazione, sollecita un giudizio in ordine alla configurabilità dei predetti vizi con
riguardo al rigetto delle pretese avanzate con le riserve, ritenute autonome rispetto
alla domanda di risoluzione, omettendo di specificare sia il principio di diritto cui
si è attenuta la sentenza impugnata e quello di cui si chiede l’enunciazione, sia il
fatto controverso e le carenze della motivazione addotta al riguardo dalla Corte di
merito.
L’assenza delle predette indicazioni rende impossibile orientarsi tra le argomentazioni in base alle quali la ricorrente chiede a questa Corte di cassare la sentenza impugnata, in tal modo tradendo la funzione propria dei requisiti prescritti
dall’art. 366-bis cit., la quale, com’è noto, consiste per il quesito di diritto nell’age-

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zione dei vizi previsti rispettivamente dai nn. 1-4 e dal n. 5 dell’art. 360 cod. proc.

volare l’esercizio della funzione nomofilattica del Giudice di legittimità, soddisfacendo nel contempo l’interesse della parte ad una decisione della lite diversa da
quella cui è pervenuta la sentenza impugnata, e per la specificazione del fatto con-

evitare che la formulazione del ricorso ingeneri incertezze in sede di valutazione
della sua ammissibilità e fondatezza. Il conseguimento della prima finalità presuppone infatti che il motivo d’impugnazione sia corredato da una chiara sintesi
logico-giuridica della questione sottoposta all’esame della Corte, funzionale all’enunciazione del principio di diritto applicabile alla fattispecie, e quindi formulata
in termini tali per cui dalla risposta, negativa od affermativa, che ad esso si dia,
discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto dell’impugnazione (cfr.
Cass., Sez. Un., 12 marzo 2008, n. 6530; 11 marzo 2008, n. 6420; 28 settembre
2007, n. 20360). La realizzazione del secondo obiettivo, pur non richiedendo l’osservanza di rigidi canoni formali, postula invece che in una parte del motivo o
comunque del ricorso a ciò specificamente e riassuntivamente destinata il ricorrente enuclei, dal complesso delle argomentazioni svolte a sostegno della censura,
il fatto al cui accertamento la stessa si riferisce e le ragioni che la sorreggono, in
modo da consentire di individuare ictu ocu/i la questione sottoposta all’esame del
Giudice di legittimità (cfr. Cass., Sez. III, 30 dicembre 2009, n. 27680; Cass., Sez.
lav., 25 febbraio 2009, n. 4556). Il diverso ambito del sindacato a quest’ultimo
consentito rispettivamente in ordine alla ricostruzione dei fatti ed all’applicazione
delle norme giuridiche risultanti dalla sentenza impugnata impone poi, anche nel
caso in cui le stesse vengano censurate cumulativamente, di isolare la questione di
diritto dalle critiche rivolte alla motivazione in fatto, attraverso la distinta enunciazione del quesito richiesto dalla prima parte dell’art. 366-bis e del momento di

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troverso nel circoscrivere puntualmente i limiti delle censure proposte, al fine di

sintesi prescritto dalla seconda parte (cfr. Cass., Sez. III, 20 maggio 2013, n.
12248; Cass., Sez. II, 23 aprile 2013, n. 9793).
Tali esigenze non possono ritenersi soddisfatte allorquando, come nella spe-

puntualizzazione compiuta dallo stesso ricorrente, ma sia possibile soltanto attraverso la lettura completa della complessiva illustrazione dei motivi, configurandosi quindi come il risultato di un’attività interpretativa rimessa al lettore.
4. — Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come
dal dispositivo.

P . Q . M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso, e condanna la Sifra Sud S.r.l. al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in complessivi Euro 10.200,00, ivi
compresi Euro 10.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 29 maggio 2014, nella camera di consiglio della Prima Sezione Civile

cie, l’identificazione delle predette questioni non costituisca oggetto di un’opera di

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