Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2121 del 30/01/2020

Cassazione civile sez. I, 30/01/2020, (ud. 03/12/2019, dep. 30/01/2020), n.2121

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33185/2018 proposto da:

J.A., domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la

Cancelleria civile della Corte di Cassazione e rappresentato e

difeso dall’avvocato Maria Daniela Sacchi, in forza di procura

speciale su

foglio separato allegato e considerato in calce;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositata il 29/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/12/2019 dal Consigliere SCOTTI UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis, depositato il 19/4/2018 J.A., cittadino del Gambia ha adito il Tribunale di Milano – Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE, impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

Il ricorrente aveva riferito di essere nato in (OMISSIS), di essere di religione musulmana e di etnia futa, di non essere sposato e non avere figli; che la sua famiglia era composta dai genitori e un fratello minore; di aver lasciato il Gambia a causa del proprio orientamento sessuale; di aver intrecciato una relazione omosessuale con un bianco, un amico spagnolo conosciuto attraverso internet; che il padre, che era un imam locale, scoperta la relazione, aveva reagito arrabbiandosi moltissimo, minacciandolo e anche cercando di ucciderlo, introducendo frammenti di vetro nel cibo; che, salvato dal fratello, aveva deciso di lasciare il Paese.

Il Tribunale ha respinto il ricorso con Decreto del 29/10/2018 ritenendo che non sussistessero i presupposti per il riconoscimento di ogni forma di protezione internazionale e umanitaria.

2. Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso J.A., con atto notificato il 22/11/2018, svolgendo quattro motivi. L’intimata Amministrazione dell’Interno non si è costituita.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e lamenta che il Tribunale non abbia applicato i principi in materia di attenuazione dell’onere probatorio gravante sul richiedente la protezione internazionale.

1.1. Certamente la valutazione della credibilità soggettiva del richiedente asilo non può essere legata alla mera presenza di riscontri obiettivi di quanto da lui narrato, poichè incombe al giudice, nell’esercizio del potere-dovere di cooperazione istruttoria, l’obbligo di attivare i propri poteri officiosi al fine di acquisire una completa conoscenza della situazione legislativa e sociale dello Stato di provenienza, onde accertare la fondatezza e l’attualità del timore di danno grave dedotto (Sez. 6, 25/07/2018, n. 19716).

Il giudice deve tuttavia prendere le mosse da una versione precisa e credibile, se pur sfornita di prova, perchè non reperibile o non esigibile, della personale esposizione a rischio grave alla persona o alla vita: tale premessa è indispensabile perchè il giudice debba dispiegare il suo intervento istruttorio ed informativo officioso sulla situazione persecutoria addotta nel Paese di origine; le dichiarazioni del richiedente che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di credibilità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non richiedono un approfondimento istruttorio officioso (Sez. 6, 27/06/2018, n. 16925; Sez. 6, 10/4/2015 n. 7333; Sez. 6, 1/3/2013 n. 5224).

Il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, stabilisce che anche in difetto di prova, la veridicità delle dichiarazioni del richiedente deve essere valutata alla stregua dei seguenti indicatori: a) il compimento di ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) la sottoposizione di tutti gli elementi pertinenti in suo possesso e di una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi; c) le dichiarazioni del richiedente debbono essere coerenti e plausibili e non essere in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso, di cui si dispone; d) la domanda di protezione internazionale deve essere presentata il prima possibile, a meno che il richiedente non dimostri un giustificato motivo per averla ritardata; e) la generale attendibilità del richiedente, alla luce dei riscontri effettuati.

Il contenuto dei parametri sub c) ed e), sopra indicati, evidenzia che il giudizio di veridicità delle dichiarazioni del richiedente deve essere integrato dall’assunzione delle informazioni relative alla condizione generale del paese, quando il complessivo quadro assertivo e probatorio fornito non sia esauriente, purchè il giudizio di veridicità alla stregua degli altri indici (di genuinità intrinseca) sia positivo (Sez. 6, 24/9/2012, n. 16202 del 2012; Sez. 6, 10/5/2011, n. 10202).

Beninteso, il principio che le dichiarazioni del richiedente che siano inattendibili non richiedono approfondimento istruttorio officioso va opportunamente precisato e circoscritto: nel senso che ciò vale per il racconto che concerne la vicenda personale del richiedente, che può rilevare ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b). Invece il dovere del giudice di cooperazione istruttoria, una volta assolto da parte del richiedente la protezione il proprio onere di allegazione, sussiste sempre, anche in presenza di una narrazione dei fatti attinenti alla vicenda personale inattendibile e comunque non credibile, in relazione alla fattispecie contemplata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (Sez. 1, 31/1/2019 n. 3016).

Inoltre questa Corte ha di recente ribadito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, il D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, o come motivazione apparente, o come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Sez. 1, n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549 01; Sez. 6 – 1, n. 33096 del 20/12/2018, Rv. 652571 – 01).

1.2. Nella specie, lungi dall’introdurre una censura motivazionale conforme all’attuale canone dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in termini di omesso esame di fatto decisivo controverso fra le parti, il ricorrente denuncia, fra l’altro in gran parte in modo non pertinente, una insussistente violazione di legge per sollecitare inammissibilmente questa Corte ad una rivalutazione del materiale probatorio difforme da quella effettuata dal Giudice di merito.

Il Tribunale ha ampiamente motivato in proposito con riferimento alla genericità della descrizione della prima esperienza omosessuale, alla mancanza di un processo di maturazione del proprio orientamento sessuale, alla confusione e indeterminatezza della descrizione dell’inizio e dello svolgimento della relazione con il ragazzo spagnolo in vacanza in Gambia, alla inverosimiglianza della scoperta ritardata della relazione da parte del padre, alla implausibilità dell’assenza di cautele da parte del richiedente asilo nell’ostentazione della relazione omosessuale in un Paese che la reprime penalmente, nonostante il ruolo religioso ricoperto dal padre.

2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), perchè il Tribunale non aveva riconosciuto la sussistenza di una minaccia grave alla vita del ricorrente in ragione della situazione generale del Paese di provenienza.

Il motivo, sotto le spoglie della violazione di legge, si risolve in una manifestazione di dissenso nel merito dall’ampia motivazione sviluppata dal Tribunale nelle pagine 6 e 7 del decreto impugnato per escludere, con precisi riferimenti alle fonti informative consultate, l’attuale esistenza in Gambia di rischio di esposizione a violenza indiscriminata derivante da conflitto armato interno.

3. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, per il difetto di cooperazione istruttoria gravante sull’autorità giudiziale in materia di domande di protezione internazionale.

Il motivo ripropone la precedente doglianza, totalmente versata nel merito ed espressiva di un mero dissenso rispetto all’accertamento in fatto operato dal Tribunale.

Il riferimento ai rischi corsi dal richiedente asilo per la sua specifica qualità di omosessuale non appaiono pertinenti, poichè è stata esclusa la credibilità del suo racconto sul punto.

4. Con il quarto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e art. 19, per il mancato riconoscimento di un permesso di soggiorno al richiedente in considerazione del suo percorso di integrazione sociale e delle sue attuali condizioni di salute.

4.1. Giova ricordare che secondo la recentissima sentenza delle Sezioni Unite del 13/11/2019 n. 29460, che avalla l’interpretazione maggioritaria inaugurata da Sez. 1, n. 4890 del 19/02/2019, Rv. 652684 – 01, in tema di successione delle leggi nel tempo in materia di protezione umanitaria, il diritto alla protezione, espressione di quello costituzionale di asilo, sorge al momento dell’ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità per rischio di compromissione dei diritti umani fondamentali e la domanda volta a ottenere il relativo permesso attrae il regime normativo applicabile; ne consegue che la normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito con L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina contemplata dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e dalle altre disposizioni consequenziali, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge; tali domande saranno, pertanto, scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione, ma, in tale ipotesi, l’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base delle norme esistenti prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, comporterà il rilascio del permesso di soggiorno per casi speciali previsto dall’art. 1, comma 9, del suddetto decreto legge.

Inoltre la stessa sentenza 24960/2019 delle Sezioni Unite, che in proposito aderisce al filone giurisprudenziale promosso dalla sentenza della Sez. 1, n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298 – 01, in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza.

4.2. Il Tribunale, pur dando atto della volontà di inserimento del ricorrente, testimoniata dal corso di formazione frequentato e dall’attività di volontariato e dal rapporto di lavoro a tempo determinato peraltro già concluso, ha evidenziato che mancavano elementi connotanti una vera propria vita privata e familiare del richiedente in Italia e per altro verso ha escluso che un rientro in Gambia avrebbe determinato la compromissione del suo diritto a una vita libera e dignitosa.

Il ricorrente si limita a riproporre gli stessi elementi, aggiungendovi anche l’acquisizione di un buon grado di conoscenza della lingua italiana, senza però comprovare un effettivo radicamento relazionale sul territorio italiano e invocando solo in modo astratto e teorico la rinnovazione della valutazione comparativa eseguita con esito negativo da parte del Giudice del merito.

5. Il ricorso deve quindi essere rigettato. Nulla sulle spese in difetto di costituzione dell’Amministrazione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto che sussistono, allo stato, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Prima Sezione civile, il 3 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2020

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