Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2121 del 29/01/2010

Cassazione civile sez. I, 29/01/2010, (ud. 12/10/2009, dep. 29/01/2010), n.2121

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 7517-2004 proposto da:

I.G. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA SABOTINO 46, presso l’avvocato PROPERZI

PATRIZIA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

BOTTANI GIORGIO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

S.M.R. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 106, presso l’avvocato

VALORI GUIDO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

GIAMBELLINI ORESTE, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 331/2003 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 04/02/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/10/2009 dal Consigliere Dott. VITTORIO RAGONESI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DESTRO Carlo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

S.M.R., con atto di citazione notificato in data 10/17.2.92, conveniva avanti il Tribunale di Lodi I. G. chiedendo che venisse dichiarata l’occupazione abusiva della propria Azienda Zootecnica per l’allevamento di suini da parte del convenuto, nonchè la sua condanna al rilascio e al risarcimento dei danni, derivati e derivandi subiti dai locali e dalle attrezzature nonchè dal mancato rilascio.

Si costituiva in giudizio l’ I., il quale proponeva eccezione di incompetenza del Giudice adito e contestava le pretese attoree.

In corso di causa, il Giudice ammetteva le prove orali richieste da parte attrice. Nel frattempo (nel (OMISSIS)), il convenuto I. rilasciava l’Azienda Zootecnica.

Espletata l’istruttoria, la S. insisteva per l’ammissione di CTU volta a determinare, sulla base dell’accertamento tecnico preventivo esperito, l’ammontare dovuto dall’ I. a titolo di risarcimento per i danni relativi al danneggi amento degli stabili, degli impianti e delle attrezzature dell’Azienda Zootecnica.

Il Giudice, rimetteva la causa al Collegio per la decisione sulla detta eccezione.

Il Tribunale Civile di Lodi, con sentenza n. 608/2000, resa in data 20/26.9.2000, rigettava la domanda attorea perchè infondata e non provata.

Avverso tale sentenza, non notificata, proponeva appello avanti la Corte di Appello di Milano la S. con atto notificato in data 20/10/2001 con il quale chiedeva, in parziale riforma dell’impugnata sentenza, la declaratoria di cessazione, alla data del (OMISSIS), del contratto di affitto di Azienda Zootecnica stipulato con l’ I. nel (OMISSIS), per effetto della disdetta intimata da essa S. in data (OMISSIS), e, previo riconoscimento dell’avvenuta restituzione dell’Azienda solo in data (OMISSIS), la dichiarazione dell’ I. quale detentore senza titolo dell’Azienda per il detto periodo, nonchè la condanna dello stesso al risarcimento di tutti i danni derivati ad essa appellante per il ritardo nel rilascio dell’Azienda e per il danneggiamento di tutti i locali ed impianti dell’Azienda stessa, quantificati nella misura di L. 110 milioni, così come accertati in sede di istruttoria e ulteriormente accertandi attraverso la richiesta CTU. A fondamento del proprio gravame la S. evidenziava le gravi contraddizioni in cui era incorso il Tribunale in ordine alla qualificazione giuridica del contratto stipulato dalle parti, nonchè circa l’assunta mancanza di prova dei danni subiti.

L’appellato si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell’appello e proponendo in via incidentale appello per la riforma della pronuncia del Tribunale di Lodi in ordine alle motivazioni assunte in sentenza, nonchè riguardo alla totale compensazione delle spese fra le parti. La Corte di Appello di Milano, con sentenza parziale n. 331/03, pronunciata in data 17.12.02 e depositata in data 4.2.03, accoglieva l’appello della S., e condannava l’ I. a risarcire tutti i danni sofferti dalla appellante per la ritardata restituzione dell’ azienda zootecnica, nonchè per i guasti arrecati agli edifici, alle attrezzature, e agli impianti della stessa. Con separata ordinanza disponeva la rimessione della causa in istruttoria per l’espletamento di consulenza tecnica per la valutazione di tutti i danni.

Avverso la sentenza in questione ha proposto ricorso per cassazione l’ I. sulla base di tre motivi cui resiste con controricorso la S..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata avrebbe deciso e pronunciato su domande che sarebbero state irritualmente mutate da parte attrice in corso di giudizio e in relazione alle quali non sarebbe stato correttamente instaurato il contraddittorio ed attivato conseguentemente il potere decisionale della Corte.

Con il secondo motivo deduce la violazione del criterio di competenza “ratione materiae” del giudice delle locazioni, in materia di affitto e rilascio, che avrebbe determinato in tal modo lo sviamento dell’applicazione del rito delle locazioni e della competenza (all’epoca pretorile) nonchè violazione delle regole processuali nella utilizzazione dei mezzi di prova, con conseguente erronea applicazione dei criteri ermeneutici di determinazione della fattispecie contrattuale.

Con il terzo motivo assume che erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto che la cessazione della legittima detenzione dei beni da parte dell’ I. era avvenuta alla data del (OMISSIS) mentre il rilascio degli stessi da parte del convenuto si era realizzato a far data dal (OMISSIS).

Con il quarto motivo contesta il riconoscimento in via generica di un danno subito dalla S. per la mancata possibilità di locare i beni, nonchè per i gravissimi danni arrecati ai beni di sua proprietà. Quanto al primo motivo,il ricorrente sostiene che la S. avrebbe con l’atto di citazione chiesto di accertare l’occupazione abusiva dell’azienda da parte di esso I., mentre in sede di precisazione delle conclusioni aveva mutato la propria domanda chiedendo che venisse accertata la cessazione del contratto di affitto d’azienda stipulato tra le parti nel (OMISSIS) e cessato il (OMISSIS) e la conseguente occupazione senza titolo da parte di esso I. da tale ultima data fino al (OMISSIS), data di effettivo rilascio dell’azienda.

In definitiva sostiene che la domanda di accertamento di una occupazione senza titolo sarebbe diversa da quella di accertamento della cessazione del contratto d’affitto.

Il motivo è infondato.

Questa Corte ha ripetutamente chiarito che si ha “mutatio libelli” quando si avanzi una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria, introducendo nel processo un “petitum” diverso e più ampio rispetto a quello originario oppure una “causa petendi” fondata su situazioni giuridiche non prospettate prima e particolarmente su un fatto costitutivo radicalmente differente, di modo che si ponga un nuovo tema d’indagine e si spostino i termini della controversia, con l’effetto di disorientare la difesa della controparte ed alterare il regolare svolgimento del processo; si ha, invece, semplice “emendatio” quando si incida sulla “causa petendi”, sicchè risulti modificata soltanto l’interpretazione o qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto, oppure sul “petitum”, nel senso di ampliarlo o limitarlo per renderlo più idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere. (Cass. 21017/07 Cass. 7524/05). Nel caso di specie non può seriamente contestarsi che in sede di precisazione delle conclusioni, la S. altro non ha fatto che specificare la domanda originaria, ove si adduceva l’occupazione abusiva dell’impianto di allevamento, precisando che detta occupazione abusiva si riferiva al periodo successivo alla scadenza del contratto di affitto d’azienda intercorso tra le parti e la data di effettivo rilascio del bene. Nessuna mutatio libelli può quindi ritenersi essersi verificata nel processo in esame.

La prima censura contenuta nel secondo motivo di ricorso attiene al fatto che la presunta mutatio libelli avrebbe comportato la violazione del criterio di competenza “ratione materiae” del giudice delle locazioni, in materia di affitto e rilascio, determinando in tal modo lo sviamento dell’applicazione del rito delle locazioni e della competenza (all’epoca pretorile). La censura relativamente alla eccezione di incompetenza è infondata in base a quanto accertato in relazione al primo motivo di ricorso. La causa petendi del processo è, infatti, costituita dalla occupazione abusiva dell’azienda a seguito della scadenza del contratto di affitto. L’accertamento relativo a quest’ultimo aspetto ha, pertanto, soltanto un carattere incidentale che non riveste alcuna rilevanza ai fini della determinazione della competenza.

A prescindere da ciò, si osserva, sempre in relazione alla questione di competenza, che, essendo stato in processo in esame introdotto del settembre 1992, prima quindi della entrata in vigore dell’art. 447 bis c.p.c. (avvenuta il 30.4.95), allo stesso risulta applicabile ratione temporis quella giurisprudenza di questa Corte che ha in diverse occasioni chiarito che nella disciplina delle locazioni di immobili urbani introdotta dalla L. n. 392 del 1978 la competenza per materia del giudice monocratico sussiste, con riguardo alle controversie vertenti sulla cessazione del rapporto, esclusivamente negli specifici casi di diniego della rinnovazione alla prima scadenza dei contratti di locazione di immobili, in regime ordinario, adibiti ad uso diverso da quello abitativo, nonchè di recesso del locatore dai contratti di locazione, in regime transitorio, di immobili adibiti sia ad uso di abitazione che ad uso diverso da questo. Pertanto, va determinata secondo gli ordinari criteri di valore dettati dal codice di rito la competenza in ordine alla controversia per l’accertamento della durata e la declaratoria della cessazione di un contratto, avente ad oggetto immobile non abitativo, in relazione alla sua qualificazione come affitto di azienda o locazione di immobile, anche se implicante una indagine sulla normativa applicabile, trattandosi di causa non rientrante nelle cennate ipotesi di competenza per materia. (Cass. 2032/84, Cass. 3977/84, Cass. 6606/84, Cass. 6362/82, Cass. 1723/85; Cass. 5986/98).

Quand’anche poi si volesse ritenere, in via di pura ipotesi, che la competenza sulla controversia in esame spettava al pretore, non può non osservarsi che, a seguito della soppressione dell’ufficio del pretore, con la conseguente abrogazione dell’art. 8 cod. proc. civ. ad opera del D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 5, art. 49 entrato in vigore il 2 giugno 1999, e l’istituzione del giudice unico di primo grado, disposte dalla stessa fonte normativa, le cause relative a rapporti di locazione di immobili urbani (unitamente a quelle di comodato e di affitto di azienda) sono state devolute alla competenza del tribunale con la stessa natura e qualificazione che avevano davanti al pretore, e cioè “ratione materiae”. (Cass. 2842/03; Cass. 10300/04).

Proprio in conseguenza del trasferimento di competenze disposto dal D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51, questa Corte ha osservato che vengono a perdere rilevanza giuridica le questioni di competenza tra pretore e tribunale basate sulla precedente disciplina in materia. Ne consegue che la sopravvenuta competenza, per effetto di detto “ius superveniens”, del tribunale svolge effetti sananti in ordine alla sua originaria incompetenza, la quale non è più idonea ad inficiare la pronuncia emessa da detto tribunale, e, in fase di impugnazione, dalla corte d’appello. (Cass. 19136/05; Cass. 11228/03).

Da tutto ciò consegue che, essendo stata la sentenza di primo grado emessa dal tribunale di Lodi nel 2000, lo stesso era comunque certamente competente ad emanare la decisione in luogo del pretore ormai soppresso.

Per quanto concerne l’aspetto della censura riguardante il mancato mutamento del rito, se ne rileva l’inammissibilità. Questa Corte ha infatti chiarito che l’omesso cambiamento del rito, anche in appello, dal rito speciale a quello ordinario o viceversa non spiega effetti invalidanti sulla sentenza, che non è nè inesistente nè nulla, e la relativa doglianza, che può essere dedotta come motivo di impugnazione, è inammissibile per difetto di interesse qualora non si indichi uno specifico pregiudizio processuale che dalla mancata adozione del diverso rito sia concretamente derivato, in quanto l’esattezza del rito non deve essere considerata fine a se stessa, ma può essere invocata solo per riparare una precisa ed apprezzabile lesione che, in conseguenza del rito seguito, sia stata subita sul piano pratico processuale. (Cass. 19942/08; Cass. 11903/08).

Nel caso di specie nessuna deduzione è stata avanzata dall’ I. in ordine al pregiudizio subito dal mancato mutamento del rito, onde la censura non può trovare ingresso in giudizio.

Le ulteriori censure contenute nel secondo motivo concernono la violazione delle regole processuali nella utilizzazione dei mezzi di prova, con conseguente erronea applicazione dei criteri ermeneutici di determinazione della fattispecie contrattuale.

In particolare, il ricorrente deduce in primo luogo che, non essendo stato da lui sottoscritto il contratto d’affitto di cui alla scrittura del (OMISSIS), lo stesso non gli era opponibile, onde tutta la ricostruzione del contenuto del contratto effettuato dalla Corte d’appello era priva di ogni fondamento non essendovi altri utili elementi probatori su cui basare la decisione. In secondo luogo, sostiene che non sussisteva alcun elemento che potesse far qualificare il rapporto come affitto di azienda, non ricorrendo la configurabilità di una struttura aziendale di allevamento suinicolo, anzichè come mera locazione di immobili destinati ad uso non abitativo.

Le censure sono infondate e per certi aspetti inammissibili.

Per quanto concerne la sottoscrizione del contratto, va osservato che il ricorrente non nega di avere goduto della disponibilità del complesso dei beni della resistente, tanto è vero che ai fini della data del rilascio – come si dirà in seguito – asserisce che questo avvenne nel (OMISSIS) e non nel (OMISSIS). Non è quindi in discussione il fatto che tra le parti intercorse un contratto per la fruizione dei beni della resistente essendo solo in discussione il contenuto e la conseguente natura giuridica del contratto stesso.

E’ appena il caso di ricordare a tale proposito che allorchè per un contratto è richiesta, come nel caso di specie , la forma scritta solo “ad probationem”, qualora sia pacifica tra le parti la avvenuta stipula, il giudice deve tenerne conto ai fini della decisione, a nulla rilevando la mancata produzione di un atto sottoscritto dai contraenti idoneo a documentare la conclusione dell’accordo (Cass. 19052/03).

Ciò posto, osserva la Corte che la sentenza impugnata, nell’individuare il contenuto del rapporto contrattuale intercorso tra le parti, non afferma in alcun modo di avere fondato il proprio accertamento sul contenuto della scrittura (OMISSIS) regolatrice dei rapporti tra le parti , onde l’affermazione del ricorrente costituisce sul punto una petizione di principio, come tale inammissibile.

Risulta, del resto, dalla sentenza impugnata che la stessa si è basata ai fini dell’accertamento dei danni, sulle risultanze di un accertamento tecnico preventivo effettuato nel (OMISSIS) e di una consulenza di parte confermata dal perito il quale ha affermato che gli impianti elettrici e di riscaldamento erano distrutti e che gran parte delle attrezzature per l’allevamento dei suini era inservibile.

Deve, quindi, concludersi che la Corte d’appello abbia basato il proprio accertamento circa la natura del contratto intercorso tra le parti sulla base di tutti gli elementi acquisiti in giudizio.

In tal senso, le censure che il ricorrente muove alla decisione, in base alle quali sostiene l’opposta tesi di avere locato esclusivamente delle stalle e di avere successivamente adibito le stesse all’allevamento di suini predisponendo il materiale necessario, tendono a prospettare una diversa valutazione degli elementi di fatto (assumendo ad esempio la mancanza di una concessione dei maiali e dei terreni necessari ed il ritiro da parte dell’ I. al momento del rilascio di tutte le attrezzature etc.), ed appaiono conseguentemente investire inammissibilmente il merito della decisione.

Anche il terzo motivo di ricorso, con il quale si contesta che la data del rilascio sia avvenuta nel (OMISSIS), sostenendosi, invece che l’evento si era verificato nel (OMISSIS), è inammissibile.

Invero, la Corte d’appello ha accertato la data di riconsegna nell’anno (OMISSIS) sulla base della deposizione del teste T. il quale ha affermato che aveva, verso la fine del (OMISSIS) e l’inizio del (OMISSIS), chiesto in affitto l’azienda della S. ed il figlio di quest’ultimo gli aveva risposto che era impossibile perchè la stessa era ancora occupata dall’ I.. Trattasi di una valutazione in punto di fatto effettuata dalla Corte d’appello sulla base di una precisa risultanza istruttoria alla quale il ricorrente tende a contrapporre una diversa valutazione basata sulla deposizione del teste B., il quale ha dichiarato che l’ I., in data (OMISSIS), aveva cessato di gestire l’azienda trasferendo in altro luogo i maiali e tutte le sue attrezzature nonchè sulla base di altre circostanze (lettera del (OMISSIS), atti della controparte, accertamento tecnico preventivo etc.).

Rilevato preliminarmente che, invero, dalla deposizione del teste B. risulta solo la cessazione dell’attività dell’ I., ma non anche la riconsegna dei locali, va ribadito che anche in questo caso, trattasi, per un verso, di una diversa prospettazione delle risultanze processuali che, come tale, investe inammissibilmente il merito della decisione, mentre, per altro verso,deve rilevarsi la violazione del principio di autosufficienza del ricorso poichè il ricorrente fa riferimento ad una serie di circostanze dianzi indicate di cui non riporta nel ricorso il contenuto e rispetto alle quali nessuna valutazione può essere fatta da questa Corte cui è inibito l’accesso agli atti della fase di merito. Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi per quanto concerne il quarto motivo di ricorso, con cui si contesta l’avvenuto accertamento da parte della sentenza impugnata della esistenza di danni arrecati all’azienda. La Corte d’appello ha basato la propria valutazione in questo senso, da un lato, sulla deposizione del teste T. che si era dichiarato disponibile ad affittare l’azienda per il canone di 40 milioni annui e, dall’altro, sulle risultanze dell’accertamento tecnico preventivo e della consulenza tecnica di parte che avevano accertato il danneggiamento dei locali e degli impianti.

Anche in questo caso, il ricorrente tende a prospettare inammissibilmente una diversa valutazione delle risultanze istruttorie sostenendo, per quanto concerne il primo profilo risarcitorio, che in realtà risulterebbe dalla deposizione del teste B. che l’intendimento della S. non era quello di riaffittare l’azienda ma di usarla per se, mentre, per quanto concerne il secondo profilo, sostenendo, in primo luogo, che, in mancanza di prova circa lo stato dei locali e degli impianti al momento di inizio dell’affitto, non era possibile stabilire il loro danneggiamento al momento della riconsegna e che, in secondo luogo, la Corte d’appello aveva privilegiato per l’accertamento dei danni la consulenza di parte anzichè l’accertamento tecnico preventivo da cui non emergerebbero danni.

Inoltre, per quanto concerne in particolare quest’ultimo aspetto, il ricorrente omette completamente di riportare nel ricorso, in osservanza del principio di autosufficienza, il contenuto dell’accertamento tecnico preventivo per consentire a questa Corte, cui, come già detto, è inibito l’accesso agli atti della fase di merito, di valutare se effettivamente da detto accertamento non risultava l’esistenza di danni.

Il ricorso va in conclusione respinto.

Il ricorrente va di conseguenza condannato al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 2.000,00 per onorari oltre Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 12 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2010

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