Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21208 del 08/08/2019

Cassazione civile sez. II, 08/08/2019, (ud. 05/03/2019, dep. 08/08/2019), n.21208

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1790-2015 proposto da:

D.M.R., rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE

COLUCCELLI;

– ricorrente –

contro

D’.GA., D’.MA., D’.RI.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DI PIETRALATA 320-D, presso

lo studio dell’avvocato GIGLIOLA MAZZA RICCI, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ANTONIO BATTIANTE;

– controricorrenti –

e contro

D’.MA., D’.GA.;

– intimate –

avverso la sentenza n. 1589/2013 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 26/11/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/03/2019 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione, notificato il 5-3-2003, D’.Gi. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Foggia, D.M.R., proponendo opposizione avverso il Decreto ingiuntivo n. 2/03, emesso -dal Presidente di quel Tribunale – il 7-1-2003, con cui gli veniva intimato di pagare la somma di Euro 10.043,59, – oltre accessori e spese a compenso di attività professionale espletata a riguardo di lavori di ristrutturazione di alcuni immobili di proprietà di esso opponente in (OMISSIS). Eccepiva il D’. la prescrizione presuntiva del -credito essendo stata espletata l’attività dal D.M. nell’anno 1989.

Resisteva il creditore opposto, assumendo che l’opera professionale si era protratta sino al 2002 e che erano stati effettuati atti interruttivi della prescrizione.

Il Tribunale di Foggia, con sentenza. n. 500/06, rigettava la opposizione e condannava D’. al pagamento delle spese processuali, argomentando che l’eccezione di prescrizione presuntiva non poteva trovare accoglimento perchè implicitamente rinunziata, avendo l’opponente contestato le somme richieste in via ingiunzionale e le singole imputazioni delle stesse.

Avverso tale decisione interponeva appello, D’.Gi., con atto notificato al D.M. il 31-5.2006, preliminarmente chiedendo la sospensione del decreto e nel merito chiedendo dichiararsi insussistente la pretesa creditoria azionata dalla controparte per intervenuta prescrizione, e per l’effetto dichiararsi nullo e privo- di effetti e, comunque, revocare il d.i n. 2/03 emessa in data 7-1-03 – dal Tribunale di Foggia; vinte le spese del doppio grado di giudizio, con distrazione ai procuratori antistatari.

Si costituiva D.M.R. contestando la richiesta di inibitoria, e chiedendo il rigetto del gravame, con vittoria delle spese del grado.

La Corte di appello di Bari, con sentenza n. 1589 del 2013, accoglieva l’appello e per l’effetto revocava il decreto ingiuntivo, condannava D.M.R. al pagamento delle spese del doppio grado del giudizio. Secondo la Corte barese, il Tribunale aveva, erroneamente, ravvisato negli scritti difensivi di D’. una contestazione dell’entità del credito, anzi lo stesso D.M. nella comparsa conclusionale ebbe a chiarire che il quantum non era stato mai oggetto di contestazione. Pertanto, l’eccezione di prescrizione era stata sollevata legittimamente ed era fondata.

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da D.M.R. con ricorso affidato ad un motivo articolato su due profili. D’.Ri., D’.Ma., D’.Ga. hanno resistito con controricorso e memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.= Con l’unico motivo di ricorso D.M.R. lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2956 c.c., n. 2 e art. 2959 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5: A) Ammissione (anche implicita) di non aver estinto il debito per avvenuta contestazione dell’entità del credito. B) prescrizione del credito non maturata al momento della proposizione del ricorso per decreto ingiuntivo.

A) Secondo il ricorrente, la Corte distrettuale, nel ritenere che D’. non avrebbe contestato l’entità del credito azionato dal D.M., non avrebbe interpretato correttamente l’atto introduttivo laddove avrebbe contestato l’effettiva esecuzione di tutte le prestazioni indicate dal creditore, nelle sue specifiche, evidenziando la contraddizione fra quanto affermato nella descrizione in fatto dell’opera prestata e quanto, invece, indicato analiticamente nelle specifiche prodotte agli atti, e laddove avrebbe lamentato l’impossibilità di poter effettuare sulla base delle specifiche integrative un controllo comparativo di tutte le prestazioni indicate.

B) Ed ancora, sempre secondo il ricorrente, la Corte distrettuale avrebbe errato nel ritenere che il credito di D.M. fosse prescritto al momento della proposizione del ricorso introduttivo in quanto l’opera professionale di questi era iniziata nel 1989 con la proposizione del progetto originario ed è continuata sino al 2002 con una serie di attività integrativa.

1.1.= Il motivo nella sua duplice articolazione è infondato.

A.= la Corte distrettuale ha avuto modo di specificare che “(….) la disamina dell’atto di opposizione e del fascicolo di ufficio di primo grado consentono di escludere che il D’. abbia contestato l’entità del credito ex adverso azionato in via monitoria, così implicitamente ammettendo di avere estinto l’obbligazione di pagamento, come invece affermato dal primo giudice (…..) Non una sola parola l’opponente ha poi speso per il quantum debeatur del tutto incontestato come riconosciuto dalla stesso D.M. che nella comparsa conclusionale rassegnata al Tribunale afferma “il quantum non è stato oggetto di contestazione da parte di controparte” così riconoscendo non sussistere alcuna contestazione sull’entità del credito, a torto, invece, ravvisata dal primo Giudice (….)”.

Si tratta come è evidente di un giudizio di merito maturato in seguito ad un’attenta interpretazione degli atti processuali ed in particolare dell’atto di opposizione non censurabile nel giudizio di cassazione essendo questo deputato a vagliare la legittimità della sentenza in diritto. D’altra parte, è affermazione ricorrente nella dottrina processualistica e nella stessa giurisprudenza di questa Corte che l’interpretazione delle domande, eccezioni e deduzioni delle parti dà luogo ad un giudizio di fatto riservato al giudice del merito e non sindacabile in sede di legittimità salvo, ma non riguarda il caso in esame, che l’interpretazione data non sia adeguata e/o, comunque, sia senza alcuna giustificazione logica, ovvero, sia del tutto avulsa dal contesto formale dell’atto.

B) Infondato è anche il secondo profilo dello stesso motivo.

La Corte distrettuale, anche con riguardo a questo profilo, con motivazione, ampia, articolata, puntuale ed esaustiva (che si dipana per ben 4 pagine, da f. 5 a f. 8 della sentenza impugnata, e che questa Corte interamente condivide) offre convincente e corretta ricostruzione di tutte le circostanze di fatto che l’hanno condotta a ritenere che il credito di D.M. si era prescritto ancor prima della proposizione del ricorso introduttivo. La Corte di Bari, in attuazione del generale principio di diritto processuale che impone, nella motivazione, il rispetto di criteri logici di giustificazione razionale del raggiunto convincimento e dell’adottata decisione, offre, pertanto, chiara e puntuale valutazione, condivisibilmente argomentata, della valenza e dell’efficacia probatoria attribuita agii elementi acquisiti al processo, ritenendo la ricostruzione del fatto, così come operata in sede di motivazione, dotata di un più elevato grado di conferma logica e di credibilità razionale rispetto ad altre, possibili e pur prospettate ipotesi fattuali alternative. Piuttosto, il motivo in esame è, irrimediabilmente, destinato ad infrangersi sul corretto impianto motivazionale adottato dal giudice d’appello. Il ricorrente, difatti, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 mediante una specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie astratta applicabile alla vicenda processuale, si volge piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertare e ricostruite dalla Corte territoriale, muovendo all’impugnata sentenza censure del tutto irricevibili, volta che la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle – fra esse – ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere in alcun modo tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale, ovvero vincolato a confutare qualsiasi deduzione difensiva. E’, per altro verso, principio di diritto ormai consolidato quello per cui l’art. 360, n. 5 codice di rito non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo – sotto il profilo logico-formale e della conformità a diritto – delle valutazioni compiute dal giudice d’appello, al quale soltanto, va ripetuto, spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove (e la relativa significazione), controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (salvo i casi di prove cd. legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile). Non senza rammentare come, all’esito delle modificazioni apportate all’art. 360, n. 5 codice di rito dalla L. n. 134 del 2012, il vizio motivazionale denunciabile non sia più quello (nella sostanza lamentato dal ricorrente, al di là della sua formale intestazione) afferente al contenuto motivazione (salvo il principio del cd. “minimo costituzionale”, più volta affermato, anche a sezioni unite, da questa stessa Corte) bensì quello di omesso esame circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti – vizio del tutto impredicabile, nella specie.

In definitiva, il ricorso va rigettato e il ricorrente in ragione del principio di soccombenza ex art. 91 c.p.c. va condannato a rimborsare a parte controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione. Il Collegio dà atto che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso condanna il ricorrente a rimborsare alla parte controricorrente, le spese del presente giudizio di cassazione che liquida, in Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% del compenso ed accessori come per legge; dà atto che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile di questa Corte di Cassazione, il 5 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 agosto 2019

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