Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21205 del 08/10/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 21205 Anno 2014
Presidente: SALVAGO SALVATORE
Relatore: MERCOLINO GUIDO

SENTENZA
sul ricorso proposto da
MARLETTA CARMELO, elettivamente domiciliato in Roma, al piazzale Porta
Pia n. 121, presso l’avv. GIANCARLO NAVARRA, unitamente agli avv. GIUSEPPE ALIQUO’ e MARIA TISA del foro di Catania, dai quali è rappresentato e
difeso in virtù di procura speciale a margine del ricorso –

MRL CML39A2 .1 css42.
RICORRENTE

contro
COMUNE DI CALASCIBETTA, in persona del Sindaco p.t., elettivamente domiciliato in Roma, alla via G. Belli n. 39, presso l’avv. ALESSANDRO LEMBO,
unitamente all’avv. PIERO PATTI, dal quale è rappresentato e difeso in virtù di
procura speciale a margine del controricorso

C- F- E o 42-0A (>0.0eG o

CONTRORICORRENTE E RICORRENTE INCIDENTALE

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Data pubblicazione: 08/10/2014

avverso la sentenza della Corte di Appello di Caltanissetta n. 233/07, pubblicata il
20 agosto 2007.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27 marzo

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Aurelio GOLIA, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso principale e
per l’accoglimento per quanto di ragione del ricorsoincidentale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. — Il Comune di Calascibetta convenne in giudizio Carmelo Marletta, titolare dell’impresa appaltatrice dei lavori di costruzione della strada I lotto di penetrazione agricola Realmese-M. Corvo-S. Barbara, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni conseguenti alla rescissione del contratto d’appalto, disposta
ai sensi dell’art. 27 del regio decreto 25 maggio 1895, n. 350, nonché al pagamento della differenza tra la somma necessaria per il completamento dei lavori ed il
credito residuo dell’impresa.
Il Marletta si costituì in giudizio e resistette alla domanda, chiedendo in via
riconvenzionale la condanna del Comune alla restituzione della cauzione e delle
ritenute a garanzia, nonché al pagamento del corrispettivo di lavori non registrati,
della revisione prezzi e del compenso dovuto per la riparazione dei danni causati
da una alluvione verificatasi il 1° ed il 2 dicembre 1998.
1.1. — Con sentenza del 2 marzo 2004, il Tribunale di Enna ritenne che l’impresa avesse eseguito lavori per un importo superiore a quello originariamente
previsto e che il Comune si fosse dimostrato negligente nella progettazione e direzione dei lavori; ritenne pertanto ingiustificata la rescissione del contratto e rigettò
la domanda avanzata dal Comune, condannandolo al pagamento del maggior cor-

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2014 dal Consigliere dott. Guido Mercolino;

rispettivo dovuto, nonché alla restituzione della cauzione e delle ritenute a garanzia ed al rimborso della polizza fideiussoria.
2. — L’impugnazione proposta dal Comune è stata parzialmente accolta dalla

parzialmente anche il gravame incidentale proposto dal Marletta, dichiarando legittima la rescissione del contratto, escludendo l’obbligo del Comune di restituire
la cauzione e le ritenute a garanzia, e rideterminando in Euro 24.022,92, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, l’importo residuo dovuto all’impresa per i
maggiori lavori eseguiti.
A fondamento della decisione, la Corte, per quanto ancora rileva in questa
sede, ha ritenuto ingiustificato il rifiuto dell’impresa di eseguire i maggiori lavori
previsti da una perizia di variante, e conseguentemente legittima la rescissione del
contratto, osservando che i predetti lavori, pur avendo comportato un aumento
dell’importo delle opere superiore al quinto e varianti qualitative al progetto originario, trovavano il loro fondamento in un atto di sottomissione sottoscritto il 13
maggio 1988, qualificabile come nuovo ed autonomo contratto modificativo del
precedente, con cui l’impresa aveva assunto l’obbligo di eseguire le ulteriori opere.
Premesso inoltre che la rescissione del contratto non rende automaticamente
configurabile un danno risarcibile ai sensi dell’art. 340 della legge 20 marzo 1865,
n. 2248, all. F, riferendosi tale disposizione ai maggiori costi sopportati dall’Amministrazione per la stipulazione di un nuovo contratto e l’esecuzione d’ufficio, la
Corte ha rilevato che l’appalto stipulato dal Comune con altra impresa per il completamento dei lavori non aveva avuto esecuzione; ha quindi ritenuto che i maggiori costi dovessero essere limitati a quelli sostenuti per la stipulazione del nuovo
contratto, il cui importo, in mancanza di specifica dimostrazione, doveva ritenersi

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Corte d’Appello di Caltanissetta, che con sentenza del 20 agosto 2007 ha accolto

già coperto dalla cauzione, escludendo pertanto la necessità di accertare se l’esecuzione fosse stata impedita da un provvedimento cautelare ottenuto dal Marletta.
La Corte ha inoltre rigettato la domanda di risarcimento dei danni sublti dal

gli accertamenti computi dal c.t.u. erano emerse carenze progettuali, non risolte in
sede di variante, riguardanti gli accorgimenti necessari per assicurare il deflusso
delle acque, ed affermando pertanto che il completamento dei lavori da parte della
impresa non avrebbe assicurato la protezione dagli eventi alluvionali.
Quanto alle domande proposte dal Marletta, la Corte ha ritenuto infondata
l’eccezione di decadenza sollevata dal Comune, rilevando che dopo l’emissione
del III s.a.l. l’impresa aveva sottoscritto con riserva il registro di contabilità il 9
gennaio 1989, ed aveva esplicato contestualmente le relative ragioni; ha ritenuto
irrilevante che le medesime pretese fossero state precedentemente fatte valere mediante la sottoscrizione con riserva del libretto delle misure, osservando che la
tempestività della riserva dev’essere riscontrata con riguardo al registro di contabilità, che rappresenta l’unico documento da cui emerge una visione unitaria dell’esecuzione dei lavori.
Nel merito, ha riconosciuto all’impresa, tra l’altro, l’importo dei lavori di ripristino dell’innesto di una strada interpoderale e degli ingressi privati, trattandosi
di opere rientranti nelle previsioni progettuali, in quanto giustificate dalla necessità di colmare il dislivello determinato dalla nuova quota stradale, che avrebbe altrimenti compromesso la praticabilità di tali accessi. Ha riconosciuto inoltre l’importo dei lavori di ripristino dei danni causati dagli eventi alluvionali, rilevando
che l’avvenuta esecuzione degli stessi era comprovata da una delibera del 17 marzo 1993, con cui la Giunta municipale ne aveva quantificato il corrispettivo, in via

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Comune per effetto di alluvioni verificatesi nel 1988 e nel 1991, rilevando che da-

transattiva, in misura addirittura superiore a quella determinata dal c.t.u.
La Corte ha infine escluso che sulle somme liquidate in favore dell’impresa
fossero dovuti gl’interessi nella misura e con le decorrenze previste dagli artt. 35 e

rebbe risultato in contrasto con l’accertato inadempimento dell’impresa, che aveva
impedito il completamento dei lavori e la redazione del conto finale.
3. — Avverso la predetta sentenza il Marletta ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, illustrati anche con memoria. Il Comune ha resistito
con controricorso, proponendo ricorso incidentale, articolato in quattro motivi,
anch’essi illustrati con memoria, ai quali il Marletta ha replicato con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. — Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 11 delle legge 10 dicembre 1981, n. 741 e dell’art. 344 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. F, nonché il vizio di motivazione per erronea valutazione di risultanze processuali, osservando che, nella parte in
cui ha ritenuto legittima la rescissione del contratto, a causa dell’ingiustificato rifiuto di eseguire i maggiori lavori, la sentenza impugnata non ha tenuto conto del
principio generale risultante dall’art. 11 cit., che, al fine di tutelare l’appaltatore dal
rischio dell’inadempimento dell’Amministrazione committente, impone a quest’ultima di garantire in ogni caso la copertura finanziaria. Sostiene infatti che gli ordini di servizio del direttore dei lavori alla cui inosservanza la Corte di merito ha ricollegato la rescissione del contratto non si riferivano all’esecuzione delle opere
previste dalla perizia di variante e dall’atto aggiuntivo, ma, come risultava dal richiamo di un precedente verbale di accertamento, ai lavori di ripristino resi necessari dall’alluvione, che il direttore dei lavori aveva ordinato senza preventivamente

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36 del d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, affermando che tale criterio di calcolo sa-

verificare se l’importo contrattuale fosse esaurito. Tanto premesso, afferma che il
rifiuto di ottemperare agli ordini di servizio era giustificato dalla consapevolezza
che, al momento in cui gli stessi furono impartiti, il valore delle opere eseguite

tomissione, senza che l’Amministrazione si fosse preoccupata di reperire le risorse
finanziarie necessarie per il pagamento.
1.1. — Il motivo è inammissibile.
Le questioni sollevate dal ricorrente non risultano trattate nella sentenza impugnata, e non possono quindi trovare ingresso in questa sede, implicando accertamenti di fatto in ordine alla diversità dei lavori che l’impresa rifiutò di eseguire
da quelli previsti nella perizia di variante e nell’atto aggiuntivo sottoscritto con
l’Amministrazione, nonchè in ordine alla mancata previsione della relativa copertura finanziaria, e non essendo stati indicati la fase processuale e l’atto in cui i predetti temi d’indagine sono stati proposti, con la conseguenza che risulta impossibile verificare se tali contestazioni siano state tempestivamente dedotte nel giudizio
di merito. Nel giudizio di cassazione, avente ad oggetto esclusivamente il controllo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale della sentenza impugnata, non possono essere infatti introdotti temi di discussione o questioni di diritto che presuppongano accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito, a
meno che gli stessi non abbiano formato oggetto di gravame o di rituale prospettazione nel giudizio d’appello: la parte che intenda riproporre tali questioni o temi
in sede di legittimità ha pertanto l’onere, al fine di evitare una statuizione d’inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta proposizione
degli stessi nelle precedenti fasi di merito, ma anche ad indicare in quale scritto
difensivo o atto processuale lo abbia fatto, al fine di consentire a questa Corte di

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aveva già superato l’importo complessivo previsto dal contratto e dall’atto di sot-

controllare ex actis la veridicità della relativa affermazione, prima di esaminare la
questione nel merito (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. I, 18 ottobre 2013, n. 23675; 31
agosto 2007, n. 18440; 23 gennaio 2007, n. 1474).

plicazione degli artt. 5 e 33 del d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, rilevando che la
Corte di merito ha ricollegato automaticamente all’inadempimento dell’impresa
l’incameramento della cauzione e delle ritenute a garanzia, senza verificare se l’acquisizione delle stesse fosse giustificata dal danno subito dall’Amministrazione.
Afferma infatti che, pur essendo volta a garantire l’adempimento delle obbligazioni poste a carico dell’impresa, la cauzione si differenza dalla clausola penale, in
quanto funge da semplice mezzo di garanzia, con la conseguenza che l’Amministrazione può rivalersi su di essa soltanto nei limiti del suo credito. Poiché inoltre,
ai sensi dell’art. 340 della legge n. 2248 del 1865, all. F, l’obbligo di risarcire i
danni subiti dalla committente in conseguenza della rescissione del contratto è disciplinato dalle norme comuni, il danno dev’essere provato nella sua reale esistenza e nel suo ammontare, oltre che nella sua derivazione dall’inadempimento
dell’appaltatore. L’automatico incameramento della cauzione si porrebbe d’altronde in contrasto con la sua funzione, la quale, consistendo nel garantire tanto
l’inadempimento quanto il risarcimento, esclude che il relativo importo possa essere interamente acquisito in conseguenza del solo inadempimento.
3. — L’affinità della questione proposta consente di esaminare la predetta
censura congiuntamente a di cui al primo motivo del ricorso incidentale, con cui il
Comune denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 340 della legge n.
2248 del 1865, all. F, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato la domanda di risarcimento del danno subito da esso controriconente per ef-

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2. — Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione e la falsa ap-

fetto della rescissione del contratto e dell’esecuzione d’ufficio. Secondo l’Amministrazione, l’anticipata risoluzione del rapporto costituisce un evento potenzialmente generatore di un pregiudizio patrimoniale, la cui sussistenza nella specie era sta-

tamento dei lavori da parte dell’appaltatrice, sia dell’avvenuto affidamento degli
stessi ad altra impresa, che non aveva potuto eseguirli a causa del provvedimento
di sospensione ottenuto dal ricorrente.
4. — La prima censura è fondata, mentre la seconda non merita accoglimento.
Questa Corte ha da tempo chiarito che la cauzione in numerano o in titoli di
Stato, che l’appaltatore è tenuto a prestare a garanzia dell’adempimento delle obbligazioni derivanti dal contratto d’appalto, ai sensi dell’art. 54 del regio decreto
23 maggio 1924, n. 827 (come sostituito dall’articolo unico del d.P.R. 29 luglio
1948, n. 1309), e che può essere sostituita anche da una fideiussione bancaria o da
una polizza assicurativa fideiussoria, non ha funzione satisfattoria, ma natura di
garanzia reale generica, finalizzata ad assistere qualsiasi ragione di credito effettivamente esistente a favore dell’Amministrazione (cfr. Cass., Sez. I, 20 maggio
1999, n. 4912; 23 febbraio 1979, n. 1212; 26 gennaio 1978, n. 360): in tal senso
depone l’art. 5 del d.P.R. n. 1063 del 1962, secondo cui essa sta a garanzia del risarcimento dei danni derivanti dall’inadempimento, del rimborso delle spese eventualmente sostenute per l’esecuzione d’ufficio (cfr. al riguardo anche l’art. 34 del
regio decreto 25 maggio 1895, n. 350) e del recupero delle maggiori somme eventualmente corrisposte rispetto al credito dell’appaltatore risultante dalla liquidazione finale, salvo l’esperimento di ogni altra azione nel caso in cui la cauzione risultasse insufficiente. La medesima natura deve riconoscersi alle somme che la

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ta regolarmente dimostrata, essendo stata fornita la prova sia del mancato comple-

17410±`IN,

1,7115P

Amministrazione è autorizzata a trattenere sugl’importi versati a titolo di acconto
in esecuzione dei certificati di pagamento emessi in base agli stati di avanzamento
dei lavori, sulle quali, ai sensi dell’art. 33 del d.P.R.n. 1063 cit., la committente ha

visione di un diritto di recesso in favore di una delle parti, quest’ultima si distingue dalla caparra penitenziale, prevista dall’art. 1386 cod. civ., la quale costituisce
il corrispettivo pattuito per l’esercizio della relativa facoltà; non escludendo la
possibilità di agire per il riconoscimento di somme ulteriori, la cauzione si differenzia poi dalla caparra confirmatoria (art. 1385 cod. civ.) e dalla clausola penale
(art. 1382 cod. civ.), che hanno una funzione di liquidazione convenzionale del
danno da inadempimento, limitando l’importo del danno risarcibile in misura corrispondente al loro ammontare (cfr. Cass., Sez. I, 30 luglio 1996, n. 6908; Cass.,
Sez. III, 5 aprile 1974, n. 971). Pertanto, ove alla prestazione della cauzione faccia
seguito l’inadempimento dell’appaltatore, l’Amministrazione può soddisfare il
proprio credito incamerando l’importo ricevuto in numerano o procedendo alla
vendita dei titoli o all’escussione della fideiussione, ma solo nei limiti del pregiudizio effettivamente subito, del quale è tenuta a fornire la prova, essendole espressamente consentito di agire per il ristoro dei maggiori oneri eventualmente sopportati, ma non anche di trattenere importi eccedenti l’ammontare delle spese sostenute e dei danni riportati (cfr. Cass., Sez. I, 23 febbraio 1979, n. 1212, cit.). A
tal fine, non può considerarsi sufficiente la circostanza che, per effetto del ritardo
nella realizzazione dell’opera o del comportamento negligente dell’appaltatore, la
Amministrazione abbia dovuto procedere alla rescissione del contratto ai sensi
dell’art. 340 della legge n. 2248 del 1865, non risultando tale provvedimento di
per sé idoneo a dar luogo ad un danno risarcibile: per la configurabilità di tale

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gli stessi diritti che le competono sulla cauzione. Non essendo collegata alla pre-

pregiudizio è invece necessaria l’allegazione e la prova dei maggiori oneri sopportati per la stipulazione di un nuovo contratto d’appalto e per l’esecuzione d’ufficio
dei lavori, nonché dell’eventuale ulteriore danno derivante dall’impossibilità di di-

la cui dimostrazione è a carico della committente (cfr. Cass., Sez. I, 4 novembre
2005, n. 21407; Cass., Sez. Un., 5 novembre 1973, n. 2856).
Non può pertanto condividersi la decisione adottata dalla Corte di merito,
nella parte in cui, dopo aver dichiarato legittima la rescissione del contratto d’appalto, in virtù dell’accertato inadempimento dell’impresa, ha riconosciuto il diritto
dell’Amministrazione ad incamerare interamente la cauzione costituita dall’appaltatore e le ritenute a garanzia effettuate sull’importo dei pagamenti in acconto, escludendone la restituzione senza procedere all’accertamento dei danni effettivamente subiti dalla committente. In proposito, la sentenza impugnata si è limitata a
dare atto che il nuovo contratto stipulato dall’Amministrazione con un’altra impresa non aveva avuto esecuzione, ed ha pertanto escluso la possibilità di porre a carico dell’appaltatore le maggiori spese necessarie per il completamento dell’opera,
circoscrivendo il danno risarcibile agli oneri sopportati per il conferimento del
nuovo appalto, ma ritenendo che, in mancanza di prova, gli stessi dovessero considerarsi già coperti dall’incameramento della cauzione. Tale ragionamento merita
di essere condiviso esclusivamente nella parte in cui ha ricollegato alla mancata
effettuazione dei relativi esborsi l’insussistenza del pregiudizio connesso alla prosecuzione dei lavori, la cui configurabilità è evidentemente subordinata all’effettiva sopportazione di costi superiori a quelli originariamente preventivati per la realizzazione dell’opera; la mancata dimostrazione delle spese sostenute per la stipulazione del nuovo contratto non consentiva invece di riconoscere il diritto della

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sporre dell’opera entro il termine originariamente previsto per la sua ultimazione,

committente di trattenere l’intero importo dovuto a titolo di cauzione e ritenute,
trattandosi di un danno che l’Amministrazione era tenuta a provare non solo nella
sua esistenza, ma anche nel suo ammontare.

quello del secondo motivo del ricorso incidentale, con cui il Comune deduce la
violazione dell’art. 45 del regio decreto n. 350 del 1895, sostenendo che, nel ritenere tempestive le riserve formulate dall’impresa, la Corte di merito non ha tenuto
conto che l’iscrizione delle stesse nella contabilità deve aver luogo al momento
della prima annotazione successiva all’insorgenza della situazione che costituisce
la fonte delle ragioni vantate. Essa, infatti, non ha considerato che le riserve erano
state iscritte soltanto al momento dell’emissione del III s.a.1., sebbene avessero ad
oggetto una situazione già insorta alla data di emissione del I s.a.1., e lo stesso ricorrente avesse riconosciuto di non aver provveduto all’iscrizione di alcuna riserva
in tale occasione.
5.1. —Il motivo è fondato.
Nel rigettare l’eccezione di decadenza dell’appaltatore dalle pretese economiche derivanti dai maggiori lavori eseguiti, la sentenza impugnata ha correttamente
richiamato l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, secondo
cui l’adempimento dell’onere di formulare tempestivamente le riserve dev’essere
accertato con esclusivo riferimento all’iscrizione nel registro di contabilità, il quale costituisce l’unico documento dal quale emerge una visione complessiva delle
opere eseguite secondo il loro ordine cronologico, tale da consentire di rilevare
l’incidenza che eventuali variazioni delle stesse possono avere sui costi dell’appalto per ambedue le parti del contratto, con la conseguenza che soltanto in esso l’appaltatore è tenuto ad iscrivere le proprie richieste a pena di decadenza (cfr. Cass.,

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5. — Prioritario, rispetto all’esame del terzo motivo del ricorso principale, è

Sez. I, 24 marzo 2000, n. 3525; 14 gennaio 1987, n. 173). In applicazione di tale
principio, la Corte di merito non si è peraltro limitata a riconoscere la tempestività
delle riserve formulate dall’appaltatore in occasione dell’emissione del III s.a.1.,

delle misure, ma ha disatteso anche l’ulteriore rilievo dell’Amministrazione, secondo cui le riserve avevano ad oggetto lavori eseguiti in epoca anteriore all’emissione del I s.a.1., osservando che tali lavori, già annotati nel predetto libretto, erano stati riportati nel registro di contabilità solo al momento dell’emissione del III
s.a.l.
Tale affermazione si pone in contrasto con il principio, anch’esso costantemente affermato da questa Corte in materia di appalto di opere pubbliche, secondo
cui l’onere d’iscrivere apposita riserva nel registro di contabilità, posto dagli artt.
53, 54 e 65 del regio decreto n. 350 del 1895 a carico dell’appaltatore che intenda
ottenere il riconoscimento di maggiori compensi, rimborsi o indennizzi in dipendenza di fatti sopravvenuti nel corso dell’esecuzione dell’opera, sorge al momento
della prima registrazione successiva al verificarsi del fatto dal quale traggono origine gli oneri denunciati, e ciò anche con riferimento a quelle situazioni di non
immediata portata onerosa, la cui potenzialità dannosa si presenti peraltro, già dall’inizio, obbiettivamente apprezzabile secondo criteri di media diligenza e di buona fede (cfr. Cass., Sez. I, 22 marzo 2012, n. 4566; 6 dicembre 2002, n. 17335; 27
dicembre 1999, n. 14588). L’istituto della riserva risponde infatti all’esigenza di
assicurare la tempestiva e costante evidenza di tutti i fattori incidenti sui costi dell’appalto che costituiscano oggetto di contrastanti valutazioni delle parti, in modo
tale da consentire all’Amministrazione di procedere senza ritardo alle verifiche
necessarie per accertare la fondatezza delle pretese dell’appaltatore e, al tempo

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negando qualsiasi rilevanza all’iscrizione precedentemente effettuata nel libretto

stesso, da assicurare la continua evidenza della spesa complessiva occorrente per
la realizzazione dell’opera, in funzione della corretta utilizzazione e dell’eventuale
integrazione dei mezzi finanziari a tal fine predisposti, nonché da rendere possibi-

in relazione al perseguimento dei fini d’interesse pubblico (cfr. Cass., Sez. I, 3
marzo 2006, n. 4702; 21 luglio 2004, n. 13500; 1° dicembre 1999, n. 13399). In
coerenza con tale funzione, si è affermato che l’onere di formulare la riserva sorge
al momento dell’iscrizione, nei registri previsti dalla legge e sottoposti alla sottoscrizione dell’appaltatore, degli elementi che evidenziano, secondo indici di media
diligenza e buona fede, un aggravio di spesa a suo carico, precisandosi che, per i
fatti dannosi c.d. continuativi, detto onere diviene operativo non appena l’evento
abbia manifestato una potenzialità dannosa percepibile con la normale diligenza,
indipendentemente dalla possibilità di procedere alla quantificazione dei maggiori
oneri che ne conseguono, i quali possono essere indicati anche in seguito (cfr.
Cass., Sez. I, 6 novembre 2006, n. 23670; 19 marzo 2004, n. 5540; 18 settembre
2003, n. 13734). La predetta necessità è stata esclusa soltanto in presenza di una
contabilità informe ed irricostruibile, cioè non consacrata negli appositi registri ed
inidonea a consentire il riscontro dei titoli di spesa e delle spettanze riconosciute
dalla stazione appaltante, chiarendosi invece che, nell’ipotesi d’indisponibilità meramente temporanea del registro di contabilità, l’appaltatore è tenuto ad iscrivere
la riserva in documenti contabili equivalenti, come il verbale di sospensione o di
ripresa dei lavori o quelli contenenti gli stati di avanzamento o ordini di servizio,
salvo poi riversarla non appena possibile nel registro di contabilità (cfr. Cass.,
Sez. VI, 13 settembre 2010, n. 19499). L’onere di iscrivere la riserva è stato infine
ritenuto sussistente anche in presenza di una contabilità provvisoria ma formal-

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le in qualsiasi momento la valutazione dell’opportunità di recedere dal contratto,

mente inserita nei relativi registri, affermandosi che eventuali inesattezze, irregolarità, approssimazioni, od anche difformità dalla realtà di tale contabilità devono
considerarsi irrilevanti, nella misura in cui non impediscano all’appaltatore mede-

2013, n. 26673; 22 luglio 1996, n. 6569).
E’ alla stregua di tali principi che dev’essere individuato anche il momento in
cui sorge onere d’iscrizione della riserva per le partite di lavori eseguite ma non
ancora riportate nel registro di contabilità nel momento in cui viene sottoposto all’appaltatore per la firma: premesso che, ai sensi dell’art. 53 del regio decreto n.
350 del 1895, le partite di lavori eseguite e le somministrazioni effettuate dall’appaltatore, una volta annotate nel libretto delle misure, debbono essere riportate al
più presto nel registro di contabilità, nell’ordine e con la chiarezza necessari a consentire all’imprenditore di distinguere tra le varie partite e di stabilire se la parte
dell’opera per cui ha intenzione di formulare la riserva sia compresa nella registrazione che è chiamato a firmare, deve ribadirsi quanto già affermato in proposito
da alcune risalenti pronunce, e cioè che l’esclusione, per assenza, di diverse e
maggiori partite di lavori eseguite nel periodo di tempo al quale si riferisce la contabilità non dispensa l’appaltatore dall’iscrizione della riserva, a meno che la partita controversa non sia contenuta, neppure per implicazione, nella scrittura contabile (cfr. Cass., Sez. I, 8 ottobre 1981, n. 5300; 9 luglio 1976, n. 2613; 5 maggio
1972, n. 1355). Il rinvio dell’iscrizione ad un momento successivo, anche se motivato dal comprensibile intento di evitare la proposizione di contestazioni destinate
ad essere superate dalla successiva contabilizzazione dei lavori, si pone infatti in
contrasto con l’esigenza, posta a fondamento dell’istituto della riserva, di consentire l’immediata constatazione dell’evento generatore dei maggiori oneri denunciati,

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simo l’immediato riscontro dell’aggravio di spesa (cfr. Cass., Sez. I, 28 novembre

non solo ai fini della quantificazione degli stessi, ma anche per l’adozione delle
conseguenti determinazioni tecniche ed amministrative; la mancata registrazione
di una o più partite di lavori nella contabilità relativa al periodo in cui gli stessi

futura contabilizzazione delle opere omesse, si configura d’altronde essa stessa
come un fatto pregiudizievole per l’appaltatore, cui incombe pertanto l’onere di
sollevare la relativa contestazione sin dal momento della sottoscrizione della predetta contabilità.
6. — Va quindi esaminato il terzo motivo del ricorso incidentale, con cui si
lamenta la violazione dell’art. 342 della legge n. 2248 del 1865, all. F, e dell’art.
103 del regio decreto n. 350 del 1895, rilevandosi che la sentenza impugnata ha
riconosciuto all’impresa l’importo di lavori non previsti dal contratto, nonostante
gli stessi fossero stati eseguiti in assenza di un ordine di servizio del direttore dei
lavori, ed anzi in aperto dissenso con quanto da quest’ultimo disposto. Ad avviso
del controricorrente, nell’ammettere la remunerazione di tali opere, sulla base della sola pretesa necessità delle stesse, la Corte di merito ha disatteso il principio secondo cui in materia di appalti pubblici i lavori addizionali possono eccezionalmente dar luogo a compenso soltanto se formino oggetto di tempestiva riserva,
siano ritenuti indispensabili in sede di collaudo, siano stati riconosciuti tali dalla
Amministrazione e rientrino nei limiti delle spese approvate.
6.1. — Il motivo è fondato.
Nel disattendere il motivo d’appello specificamente proposto dall’Amministrazione, secondo cui i lavori in questione, oltre a non essere previsti dal progetto
originario, non erano stati ordinati né autorizzati dal direttore dei lavori, la sentenza impugnata si è infatti limitata a sottolinearne la necessità, la quale non risulta di

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sono stati eseguiti, non consentendo di formulare alcuna previsione in ordine alla

per sé sufficiente a farle ritenere incluse nelle originarie previsioni progettuali, né
a giustificare il riconoscimento del relativo compenso. In proposito, è sufficiente
richiamare il disposto dell’art. 342 della legge n. 2248 del 1865, il quale esclude il

addizioni apportate ai lavori assunti senza un ordine scritto del direttore dei lavori
e l’approvazione dell’Amministrazione committente, e quello dell’art. 103 del regio decreto n. 350 del 1895, il quale subordina il riconoscimento del compenso
per lavori non preventivamente autorizzati alla quadruplice condizione che a)
formino oggetto di tempestiva riserva, b) siano qualificati come indispensabili in
sede di collaudo, c) siano riconosciuti tali anche dall’amministrazione committente, d) comportino un costo che, sommato a quello dei lavori previsti dal contratto,
rientri comunque entro i limiti delle spese approvate (cfr. Cass., Sez. I, 5 giugno
2009, n. 12985; 9 luglio 2004, n. 12681; 12 settembre 2003, n. 13432).
7. — La sentenza impugnata va pertanto cassata, nei limiti segnati dai motivi
accolti, restando assorbiti il terzo motivo del ricorso principale, con cui il ricorrente ha lamentato il mancato riconoscimento degl’interessi previsti dagli artt. 35 e 36
del d.P.R. n. 1063 del 1962 sulle somme liquidate in suo favore, ed il quarto motivo del ricorso incidentale, con cui l’Amministrazione ha censurato l’accertamento
dell’avvenuta esecuzione dei lavori addizionali di ripristino dei danni alluvionali,
da ritenersi compresi tra quelli per i quali è stato escluso il diritto al compenso.
8. — La causa va conseguentemente rinviata alla Corte d’Appello di Caltanissetta, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese
del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il primo motivo del ricorso principale, accoglie il

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diritto dell’appaltatore a qualsiasi aumento di prezzo o indennità per variazioni o

secondo motivo, rigetta il primo motivo del ricorso incidentale, accoglie il secondo ed il terzo motivo, dichiara assorbiti gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata, e rinvia alla Corte d’Appello di Caltanissetta, anche per la liquidazione del-

Così deciso in Roma, il 27 marzo 2014, nella camera di consiglio della Prima
Sezione Civile

le spese processuali.

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