Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21203 del 08/08/2019

Cassazione civile sez. lav., 08/08/2019, (ud. 04/07/2019, dep. 08/08/2019), n.21203

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21408-2014 proposto da:

R.V., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato ETTORE LEPERINO;

– ricorrente –

contro

A.R.P.A.C. – AGENZIA REGIONALE PER LA PROTEZIONE AMBIENTALE DELLA

CAMPANIA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA POLI 29, presso lo studio

dell’avvocato LUCIA RUGGIERO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1010/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 11/03/2014 r.g.n. 2364/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/07/2019 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ STEFANO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La sentenza attualmente impugnata (depositata l’11 marzo 2014) respinge l’appello di R.V. avverso la sentenza del Tribunale di Napoli n. 3102/2009 di rigetto del ricorso del R. direttoo ad ottenere, nei confronti dell’Agenzia Regionale Ambientale della Campania (d’ora in poi: ARPAC), l’accertamento del diritto dell’interessato all’incarico di Dirigente responsabile di struttura complessa con il diritto ai conseguenti emolumenti, a partire dall’indennità di esclusività.

La Corte d’appello di Napoli, per quel che qui interessa, precisa che:

a) non è contestato che il R. è transitato alle dipendenze dell’ARPAC dall’1 ottobre 2000, a seguito di trasferimento di risorse umane dalle AA.SS.LL. e dalla Regione, con qualifica di dirigente di primo livello ed applicazione del CCNL della dirigenza sanitaria, professionale tecnica e amministrativa, L.R. Campania n. 10 del 1999, ex art. 25;

b) al momento del passaggio riscuoteva l’indennità di esclusività che poi non ha più percepito;

c) dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 30 non può desumersi l’automatico diritto al mantenimento di emolumenti ad personam se non ne ricorrono più i presupposti di fatto, tanto più per gli incarichi dirigenziale come quello di cui si discute;

d) ne deriva che è da escludere che la P.A., nell’esercizio della sua discrezionalità al riguardo, avesse l’obbligo di configurare come struttura complessa la UO Acque interne e marino costiere, con le relative conseguenze retributive;

e) anche se la P.A. di provenienza attribuiva l’indennità di esclusività è da escludere che il R. avesse un diritto soggettivo alla relativa corresponsione da parte del nuovo datore di lavoro, in assenza dei relativi presupposti di fatto;

f) lo stesso vale per la parte variabile dell’indennità di posizione e dell’indennità di risultato che, correttamente, è stata corrisposta da ARPAC soltanto dopo l’adozione delle Delib. n. 278 del 2004 e Delib. n. 280 del 2004 con riguardo all’incarico attribuito concretamente e sulla base dei risultati e delle responsabilità correlate.

2. Il ricorso di R.V. domanda la cassazione della sentenza per due motivi; resiste, con controricorso, l’ARPAC – Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Campania.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

I – Sintesi dei motivi di ricorso.

1. Il ricorso è articolato in due motivi.

1.1. Con il primo motivo si denunciano: a) violazione e falsa applicazione di numerose norme di diritto e di contrattazione collettiva nazionale di lavoro; b) error in judicando, consistente nell’erronea qualificazione giuridica della situazione di fatto; c) omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti.

Si sostiene che l’unico presupposto per la corresponsione, in misura massima, dell’indennità di esclusività per l’incarico di struttura complessa era la qualifica di dirigente di II livello posseduta dal R., senza necessità di un apposito atto aziendale, come stabilito dalla L.R. Campania n. 10 del 1998.

La ASL (OMISSIS) Napoli si era regolata in questo modo, invece l’ARPAC ha attribuito l’indennità di esclusività nella minore misura corrispondente all’incarico di struttura semplice.

Del resto, in base al CCNL 21 luglio 2005, il dirigente sanitario ex II livello del Comparto Sanità doveva essere inquadrato nelle ARPA come Dirigente di Struttura complessa.

Questo era il regime transitorio antecedente l’emanazione dell’atto aziendale in oggetto, di cui la Corte d’appello non tiene conto, visto che si riferisce alla normativa a regime.

Inoltre, la Corte territoriale confonde l’indennità di esclusività con la retribuzione di risultato. Visto che la prima non è soggetta a valutazione e consuntivo, ma fa parte dello stato giuridico del dirigente con rapporto a tempo pieno.

Il ricorrente chiede, quindi, che in riforma della sentenza impugnata, venga riconosciuto il proprio diritto a vedersi confermata l’indennità di esclusività nella misura massima, parametrata all’incarico di struttura complessa dalla data di trasferimento all’ARPAC fino alla proposizione del ricorso giudiziario oppure fino alla stipula del contratto individuale di conferimento dell’incarico di struttura semplice sottoscritto il 30 aprile 2004.

1.2. Con il secondo motivo si denunciano: a) violazione e falsa applicazione di numerose norme di diritto e di contrattazione collettiva nazionale di lavoro; b) omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, rilevandosi che l’ARPAC ha illegittimamente decurtato la parte variabile della retribuzione di posizione facendo esclusivo riferimento alla tipologia di incarichi da essa stessa attribuiti ai dirigenti e non anche alla graduazione delle funzioni, peraltro effettuata solo nel 2008, anche se annunciata nel 2003.

La Corte d’appello non ha colto il significato normativo sia della graduazione delle funzioni in relazione alla retribuzione di posizione ex art. 40 CCNL 8 giugno 2000 (in particolare comma 8) sia della retribuzione di posizione minima prevista dagli artt. 37 e 44 CCNL 3 novembre 2005 e della retribuzione di posizione unificata (art. 3 CCNL 5 luglio 2006, secondo biennio) per la quale si fa riferimento alla “composizione storica” della retribuzione di posizione del dirigente per la determinazione degli incrementi contrattuali e non alla semplicistica tipologia dell’incarico assegnato.

Infine, si sostiene che anche la retribuzione di risultato dovrebbe essere parametrata all’incarico di struttura complessa.

II – Esame delle censure.

2. L’esame congiunto dei due motivi di censura – reso opportuno dalla loro intima connessione – porta alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso, per le ragioni di seguito esposte.

3. In linea generale tutte le censure – al di là del formale richiamo alla violazione di norme di legge contenuto nell’intestazione di entrambi i motivi nella sostanza si risolvono nella denuncia di errata valutazione da parte del Giudice del merito del materiale probatorio acquisito ai fini della ricostruzione dei fatti, con l’intento di ottenere il complessivo trattamento retributivo proprio dell’incarico di dirigente di struttura complessa, pur in assenza della relativa attribuzione in concreto con l’assunzione delle correlate responsabilità, il che è palesemente contrario ai principi informatori della disciplina degli incarichi dirigenziali nel lavoro pubblico, che sono attuazione dei principi del buon andamento e dell’imparzialità cui deve uniformarsi la Pubblica Amministrazione in base all’art. 97 Cost..

Si tratta, in particolare – come risulta palesemente dalla denuncia di “error in judicando, consistente nell’erronea qualificazione giuridica della situazione di fatto” presente nella rubrica del primo motivo – di censure che finiscono con l’esprimere un mero dissenso rispetto alle motivate valutazioni delle risultanze probatorie effettuate dal Giudice del merito, che come tale è di per sè inammissibile.

4. A ciò va aggiunto che in base all’art. 360 c.p.c., n. 5 – nel testo risultante dalla modifica ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis – la ricostruzione del fatto operata dai Giudici di merito è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensibili (Cass. SU 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. SU 20 ottobre 2015, n. 21216; Cass. 9 giugno 2014, n. 12928; Cass. 5 luglio 2016, n. 13641; Cass. 7 ottobre 2016, n. 20207).

Tali evenienze che qui non si verificano e le denunce di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti”, contenute in entrambi i motivi, al di là della forma, sono in sostanza inammissibili perchè non sono conformi al suindicato art. 360 c.p.c., n. 5.

5. Nella descritta situazione, risultano inammissibili anche tutte le numerose denunce di violazione di norme di legge o di contratti collettivi nazionali di lavoro, in quanto, per costante e condiviso indirizzo di questa Corte, la deduzione del vizio di violazione di legge nel ricorso per cassazione, consistendo nella erronea riconduzione del fatto materiale nella fattispecie legale deputata a dettarne la disciplina (cd. vizio di sussunzione), postula che l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia considerato fermo ed indiscusso, sicchè è estranea alla denuncia del vizio di sussunzione ogni critica che investa la ricostruzione del fatto materiale, esclusivamente riservata al potere del giudice di merito (vedi, per tutte: Cass. 13 marzo 2018, n. 6035).

III – Conclusioni.

6. In sintesi, il ricorso va dichiarato inammissibile.

7. Le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza, dandosi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in Euro 200,00 (duecento/00) per esborsi, Euro 5500,00 (cinquemilacinquecento/00) per compensi professionali, oltre spese forfetarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 4 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 agosto 2019

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