Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21202 del 13/09/2017


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Cassazione civile, sez. I, 13/09/2017, (ud. 19/04/2017, dep.13/09/2017),  n. 21202

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. GENOVESE Francesco A. – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9748/2011 proposto da:

IPM S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via Barberini n. 86, presso

l’avvocato Cardia Marco, che la rappresenta e difende, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) S.p.a. in Liquidazione, in persona del

liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via

Donatello n. 23, presso l’avvocato Villa Piergiorgio, rappresentato

e difeso dall’avvocato Pizzirusso Gerardo, giusta procura a margine

del controricorso;

– controricorrente –

avverso il provvedimento del TRIBUNALE di MACERATA, depositato il

24/01/2011;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/04/2017 dal Cons. Dott. ACIERNO Maria;

lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. SALVATO Luigi, che chiede che la Corte

rigetti il ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il provvedimento del giudice delegato del fallimento s.p.a. (OMISSIS), ha determinato l’equo indennizzo L. Fall., ex art. 79, dovuto alla s.r.l. IPM, affittuaria di un ramo d’azienda della società fallita, in virtù del recesso operato dal curatore in Euro 13000 invece dei 49.433,33 richiesti.

Avverso tale provvedimento ha proposto reclamo la s.r.l. IPM. Il Tribunale di Macerata lo ha rigettato sulla base delle seguenti argomentazioni:

– A fronte del recesso esercitato dalla curatela, la società, pur diffidata al rilascio ha continuato a godere dell’intero compendio aziendale. Può pertanto escludersi che il rapporto sia proseguito per facta concludentia anche se la affittuaria ha proseguito nell’esercizio dell’attività aziendale oltre la naturale scadenza del contratto fissata nel 31/12/2009.

– Tale circostanza rileva ai fini dell’indennizzo, inteso come giusto compenso per l’anticipata risoluzione. Al giudice è rimessa una valutazione discrezionale che muove dall’accertamento dei fattori causali del pregiudizio subito e che, di conseguenza, non è ancorata necessariamente all’entità dei canoni maturati per tutta la durata del contratto.

– Nella specie il ridotto lasso di tempo intercorso tra la comunicazione del recesso e la naturale scadenza del contratto; la prosecuzione dell’attività produttiva; l’assenza di elementi di prova relativi ad ulteriori danni oltre a quelli connessi all’anticipata risoluzione del rapporto induce a ritenere del tutto congrua la determinazione dell’equo indennizzo, rapportata al rateo trimestrale del canone contrattualmente previsto, nè pare conferente il richiamo operato dalla reclamante alla clausola contrattuale n. 15.3 (“il canone già corrisposto complessivamente sarà decurtato dal prezzo del bene acquistato”) o la n. 20 relativa al diritto di prelazione in caso di vendita del ramo d’azienda in quanto non opponibili alla curatela.

Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per cassazione la s.r.l. IPM. Resiste con controricorso il fallimento. La causa è stata avviata alla trattazione camerale. Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta.

Nel primo motivo viene dedotta la violazione della L. Fall., art. 79, per avere il Tribunale di Macerata ritenuto inopponibile al fallimento il regolamento d’interessi contenuto nel contratto d’affitto d’azienda, laddove l’art. 79, prevede che il fallimento non sia causa di scioglimento del contratto d’affitto d’azienda e la norma sia comunemente interpretata nel senso che il curatore subentri nel rapporto nella stessa posizione del fallito. Da tale premessa e dalla conseguente applicabilità diretta delle clausole contrattuali dello stesso deriva il diritto all’indennizzo in misura pari ai mesi di durata del contratto di affitto dall’8/1/2009 al 23/12/2009.

Nel secondo motivo viene dedotto il vizio d’insufficiente motivazione per non avere il Tribunale fornito una risposta adeguata alla questione relativa alla prosecuzione o reviviscenza del rapporto dopo l’esercizio della facoltà di recesso.

Nel terzo motivo viene dedotto il vizio di contraddittoria motivazione per aver ritenuto che l’affittuaria avesse proseguito nell’attività aziendale oltre la naturale scadenza fissata al 31/12/2009 ed aver ritenuto tale circostanza rilevante ai fini della determinazione dell’indennizzo. Al contrario, il contratto è cessato in data 23/12/2009 con l’aggiudicazione dell’asta indetta per la vendita di tutti i beni costituenti il complesso aziendale e non è proseguito oltre la sua naturale scadenza. Il fondamento dell’indennizzo su un rilievo errato ha inficiato la valutazione di congruità dello stesso.

Preliminarmente, come esattamente rilevato dal procuratore generale, il ricorso per cassazione deve ritenersi ammissibile in quanto il provvedimento ha ad oggetto il diritto soggettivo all’equo indennizzo ed ha natura decisoria e definitiva. Il procedimento applicato, di natura camerale davanti al giudice delegato e regolato, in sede di reclamo dalla L. Fall., art. 26, è quello effettivamente applicabile sia in virtù dell’interpretazione letterale dell’art. 79, secondo il quale in caso di dissenso il giudice delegato decide sentite le parti, sia per l’esigenza di celerità sottesa alla peculiarità del rapporto.

Il primo motivo è inammissibile dal momento che non coglie la ratio decidendi effettivamente posta a base della contestata congruità del compenso stabilito dal giudice delegato. Il Tribunale non afferma affatto che il rapporto sia proseguito de jure fino al 31 dicembre 2009 ma si limita a rilevare che non vi è stata soluzione di continuità di fatto nell’esercizio dell’attività aziendale, escludendo espressamente che vi sia stata una prosecuzione per facta concludentia del rapporto al fine di escludere l’applicabilità della clausola contrattuale invocata dalla reclamante. L’efficacia del recesso non è condizionata al pagamento dell’indennizzo e comporta l’automatico scioglimento del rapporto con conseguente inapplicabilità della disciplina contrattuale eventualmente prevista per il recesso convenzionale.

Il tribunale ha soltanto ritenuto, insindacabilmente, attesa la motivazione del tutto adeguata che sostiene l’argomentazione svolta, che la prosecuzione dell’attività aziendale costituiva un fattore di rilievo ai fini del computo dell’indennizzo.

I due motivi relativi al vizio di motivazione sono inammissibili in quanto tendono mediante lo strumento del vizio di motivazione a prospettare una valutazione della circostanza relativa alla mancata soluzione di continuità nell’attività aziendale alternativa a quella indicata con motivazione del tutto esauriente dal tribunale.

In conclusione il ricorso deve ritenersi inammissibile con applicazione del principio della soccombenza in ordine alle spese processuali di questo giudizio.

PQM

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio da liquidarsi in Euro 5000 per compensi ed Euro 200 per spese oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 settembre 2017

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