Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2120 del 29/01/2018


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Civile Ord. Sez. L Num. 2120 Anno 2018
Presidente: DI CERBO VINCENZO
Relatore: BALESTRIERI FEDERICO

ORDINANZA

sul ricorso 17632-2013 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in

ROMA, VIALE MAZZINI

134, presso lo

studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente contro
2017
3642

GUASTELLA LAURA;
– intimata –

avverso la sentenza n. 746/2012 della CORTE D’APPELLO
di CATANIA, depositata il 17/07/2012 r.g.n. 177/2008.

Data pubblicazione: 29/01/2018

RG 17632/13

RILEVATO

Che con sentenza depositata il 17.7.12, la Corte d’appello di Catania
confermava la declaratoria di nullità del contratto a termine stipulato
tra le parti in data 24.5.03 (e sino al 30.9.03) ai sensi dell’art. 1
d.lgs. n. 368\01 (per “ragioni di carattere sostitutivo correlate alla
specifica esigenza di provvedere alla sostituzione del personale

trasporto presso il Polo Corrispondenza Sicilia assente con diritto alla
conservazione del posto di lavoro” nel periodo di cui al contratto),
anche per difetto di prova circa le specifiche esigenze dell’ufficio di
destinazione del lavoratore, condannando Poste al pagamento di una
indennità pari a 3,5 mensilità ex art. 32 L. n. 183\10.
Che per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la società
Poste Italiane, affidato a quattro motivi, poi illustrati con memoria,
mentre la Guastella è rimasta intimata.

CONSIDERATO
Che con il primo motivo la società ricorrente denuncia la violazione
dell’art. 1372 c.c., per avere la corte territoriale escluso la
risoluzione del rapporto del quo per mutuo consenso.
Che il motivo è infondato, avendo questa Corte più volte chiarito
(cfr. da ultimo Cass. n. 5240\15, Cass. n. 1780\14, Cass. n.
5887\11, ex aliis) che ai fini della configurabilità della risoluzione del
rapporto di lavoro per mutuo consenso -costituente una eccezione in
senso stretto, Cass. n. 10526\09, il cui onere della prova grava
evidentemente sull’eccepiente, Cass. n. 22740- non è di per sé
sufficiente la mera inerzia del lavoratore dopo l’impugnazione del
licenziamento, essendo piuttosto necessario che sia fornita la prova
di altre significative circostanze denotanti una chiara e certa volontà
delle parti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo.
Tali significative circostanze non possono ravvisarsi, come ritenuto
da Poste, nella mera percezione del t.f.r. (recte:indennità di fine
lavoro), trattandosi di emolumento connesso alle esigenze alimentari
del lavoratore, la cui pur volontaria accettazione non può costituire
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inquadrato nell’area operativa e addetto al servizio di smistamento e

RG 17632/13

indice di una volontà di risoluzione del rapporto (cfr. da ultimo, Cass.
ord. n. 10776\17), e neppure nel reperimento di nuova occupazione,
che, rispondendo ad esigenze di sostentamento quotidiano, non
indica la volontà del lavoratore di rinunciare ai propri diritti verso il
precedente datore di lavoro (cfr. Cass. ord. n. 10776\17, Cass.n.
21310\14, Cass. n. 8061\14, Cass. n. 663214).
Con il secondo motivo la società Poste censura la sentenza

fatto controverso e decisivo per il giudizio, e cioè in ordine alla prova
che la lavoratrice fosse stata in effetti adibita a mansioni connesse
alla causale di assunzione, evidenziando di aver esposto in tutti i
gradi di merito, riproducendo in questa sede le circostanziate
deduzioni svolte al riguardo e la relativa documentazione, la
situazione dei numerosi lavoratori assenti, e nominativamente
indicati, presso l’ufficio di destinazione della Guastella.
Che il motivo è fondato, avendo la sentenza impugnata
assertivamente osservato che tali deduzioni e documenti non
fornivano la prova necessaria a dimostrare il nesso causale tra le
ragioni sostitutive indicate nel contratto di assunzione e l’attività
lavorativa svolta dalla Guastella, per la mancata prova del tipo di
assenze e sostituzioni del (numeroso) personale assente presso il
C.P.O. di Ragusa.
Che tale motivazione risulta insufficiente, alla luce dei principi
enunciati da questa Corte secondo cui (cfr., in particolare, Cass. 26
gennaio 2010 n. 1577 e Cass. 26 gennaio 2010 n. 1576, Cass. 25
settembre 2014 n. 20227) in tema di assunzione a termine di
lavoratori subordinati per ragioni di carattere sostitutivo, nelle
situazioni aziendali complesse, in cui la sostituzione non è riferita ad
una singola persona, ma ad una funzione produttiva specifica,
occasionalmente scoperta, l’apposizione del termine deve
considerarsi legittima se l’enunciazione dell’esigenza di sostituire
lavoratori assenti – da sola insufficiente ad assolvere l’onere di
specificazione delle ragioni stesse – risulti integrata dall’indicazione
di elementi ulteriori (quali l’ambito territoriale di riferimento, il luogo
della prestazione lavorativa, le mansioni dei lavoratori da sostituire,
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impugnata per insufficiente e contraddittoria motivazione circa un

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il loro diritto alla conservazione del posto di lavoro) che consentano
di determinare il numero dei lavoratori da sostituire, ancorché non
identificati nominativamente, ferma restando, in ogni caso, la
verificabilità della sussistenza effettiva del prospettato presupposto
di legittimità. Il principio è ormai consolidato (v. fra le altre, Cass. n.
182\16, Cass. n. 565 del 2012, Cass. n. 8966 del 2012, n. 6216 del

14868 del 2011) ed avallato dalla stessa Corte Costituzionale, che,
nella sentenza n. 107/2013, ha osservato che l’orientamento
giurisprudenziale espresso da questa Corte in tema di contratti a
termine stipulati per esigenze sostitutive ai sensi dell’art. 1 d. Igs
368/2001, costituisce diritto vivente ai fini dello scrutinio di
legittimità costituzionale demandatole, esente sia da contrasti col
diritto costituzionale interno che con il diritto dell’Unione Europea.
Che la corte di merito non ha fatto corretta applicazione dei suddetti
principi, non sussistendo un onere probatorio nei termini individuati
dalla sentenza impugnata, essendo sufficiente la prova del notevole
numero di personale, svolgente mansioni equivalenti, assente con
diritto alla conservazione del posto nell’ufficio di destinazione della
lavoratrice, nella specie pacificamente superiore al numero degli
assunti a termine nel periodo di riferimento, tanto più ove si
consideri la mancata ammissione delle relative prove richieste da
Poste.
Che la sentenza impugnata deve essere dunque cassata in relazione
alla censura accolta, restando assorbiti i restanti motivi, con rinvio
ad altro giudice, in dispositivo indicato, affinché accerti in concreto la
sussistenza delle circostanze evidenziate dal riferito orientamento di
legittimità, mentre restano assorbite le restanti critiche (in ordine
alla conversione del rapporto ed alla applicazione dell’art. 32 L. n.
183\10). Lo stesso giudice provvederà anche in ordine alle spese di
lite, comprese quelle del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo e
dichiara assorbiti i restanti. Cassa la sentenza impugnata in
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2012, n. 8647 del 2012, n. 13239 del 2012, n. 9602 del 2011, n.

RG 17632/13

relazione alla censura accolta e rinvia, anche per le spese, alla Corte
d’appello di Palermo.

Roma, così deciso nella Adunanza camerale del 26 settembre 2017
Il Presidente

Itrazionazio I I • • •0

Dotts •

(dr. Vincenzo Di Cerbo)

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