Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 212 del 05/01/2011

Cassazione civile sez. III, 05/01/2011, (ud. 02/12/2010, dep. 05/01/2011), n.212

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – rel. Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 26734-2009 proposto da:

V.U. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA LUDOVISI 35, presso lo studio dell’avvocato LAURO MASSIMO,

che lo rappresenta e difende, giusta procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

CUSTODIA GIUDIZIARIA DEI BENI S. in persona dell’avv. C.

G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA STEFANO LONGANESI, 9,

presso lo studio dell’avvocato RUSSO CARMELO, rappresentata e difesa

dall’avvocato D’AGOSTINO NICOLA, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

e contro

G.E. (quale custode dei beni appartenenti agli eredi

S.), SIGAT SPA, SERM SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2550/2008 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

17.6.08, depositata il 21/10/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

02/12/2010 dal Consigliere Relatore Dott. MASSERA Maurizio;

udito per il ricorrente l’Avvocato Ariella Cozzi (per delega avv.

Massimo Lauro) che si riporta agli scritti;

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. GOLIA

Aurelio che nulla osserva rispetto, alla relazione scritta.

La Corte, letti gli atti depositati:

Fatto

OSSERVA

E’ stata depositata la seguente relazione:

1 – Con ricorso notificato il 26 novembre 2009 V.U. ha chiesto la cassazione della sentenza, non notificata, depositata in data 21 ottobre 2008 dalla Corte d’Appello di Roma, confermativa della sentenza del Tribunale che aveva ritenuto esistente il rapporto di locazione di un immobile appartenente agli eredi S. e lo aveva condannato all’immediato rilascio dovendosi risolvere il contratto per inadempimento del conduttore. La Custodia Giudiziaria dei beni S. ha resistito con controricorso, mentre gli altri intimati, G.E., SIGAT S.p.A e SERM S.p.A., non hanno espletato attività difensiva.

2- I due motivi del ricorso risultano inammissibili, poichè la loro formulazione non soddisfa i requisiti stabiliti dall’art. 366-bis c.p.c.. Occorre rilevare sul piano generale che, considerata la sua funzione, la norma indicata (art. 366 bis c.p.c.) va interpretata nel senso che per, ciascun punto della decisione e in relazione a ciascuno dei vizi, corrispondenti a quelli indicati dall’art. 360, per cui la parte chiede che la decisione sia cassata, va formulato un distinto motivo di ricorso.

Per quanto riguarda, in particolare, il quesito di diritto, è ormai jus receptum (Cass. n. 19892 del 2007) che è inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis c.p.c, introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, il ricorso per cassazione nel quale esso si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo. Infatti la novella dei 2006 ha lo scopo di innestare un circolo selettivo e “virtuoso” nella preparazione delle impugnazioni in sede di legittimità, imponendo al patrocinante in cassazione l’obbligo di sottoporre alla Corte la propria finale, conclusiva, valutazione della avvenuta violazione della legge processuale o sostanziale, riconducendo ad una sintesi logico- giuridica le precedenti affermazioni della lamentata violazione.

In altri termini, la formulazione corretta del quesito di diritto esige che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione.

Quanto al vizio di motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione; la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass. Sez. Unite, n. 20603 del 2007).

3. – Il primo motivo ipotizza: art. 360 c.p.c., n. 5 anche con riferimento all’art. 115 c.p.c.. Siffatto modus censurandi non rispetta il dettato dell’art. 366 c.p.c., n. 4, il quale esige la specificazione delle ragioni d’impugnazione. Le argomentazioni poggiano su documenti nei cui confronti non è stato rispettato il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione e implicano un’attività interpretativa dei fatti all’origine della controversia che è riservata al giudice di merito. Il momento di sintesi finale (il fatto controverso è costituito dall’epoca della modifica dell’immobile posta in relazione con quella della stipula del contratto di locazione) conferma che la doglianza attiene alla mancata valutazione di un documento di cui non viene dimostrata la decisività in relazione alla motivazione della Corte territoriale, la quale ha privilegiato l’elemento contrattuale. Il secondo motivo prospetta: art. 360 c.p.c., n. 4 anche con riferimento all’art. 1455 c.c.. Anche per questo motivo vale il rilievo mosso al precedente.

Tra l’altro la violazione o falsa applicazione (che il ricorrente non specifica) di una norma sostanziale va fatta valere ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 3.

Il ricorrente spiega di lamentare che la sentenza punti al “consenso” o “ratifica” che ritiene inesistente in mancanza di manifestazione espressa. Si imputa alla Corte territoriale di non avere motivato al riguardo. Ma essa, richiamata la distinzione, tra scienza, inerzia e tolleranza del titolare del diritto, diversa dalla volontà del soggetto di convalidazione e ratificare l’altrui operato, ha rilevato una mancanza di esplicita e non equivoca manifestazione al riguardo.

Ancora una volta le argomentazioni del ricorrente implicano disamina e apprezzamento delle risultanze processuali. La censura si conclude con l’indicazione del fatto controverso, cioè con un momento di sintesi incongruo rispetto al vizio denunciato.

4.- La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori delle parti;

Non sono state presentate conclusioni scritte nè memorie; il ricorrente ha chiesto d’essere ascoltato in camera di consiglio;

5.- Ritenuto:

che, a seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, il collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione; che pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese seguono la soccombenza;

visti gli artt. 380-bis e 385 c.p.c..

P.Q.M.

Tra l’altro la violazione o falsa applicazione (che il ricorrente non specifica) di una norma sostanziale va fatta valere ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 3.

Il ricorrente spiega di lamentare che la sentenza punti al “consenso” o “ratifica” che ritiene inesistente in mancanza di manifestazione espressa. Si imputa alla Corte territoriale di non avere motivato al riguardo. Ma essa, richiamata la distinzione, tra scienza, inerzia e tolleranza del titolare del diritto, diversa dalla volontà del soggetto di convalidazione e ratificare l’altrui operato, ha rilevato una mancanza di esplicita e non equivoca manifestazione al riguardo.

Ancora una volta le argomentazioni del ricorrente implicano disamina e apprezzamento delle risultanze processuali. La censura si conclude con l’indicazione del fatto controverso, cioè con un momento di sintesi incongruo rispetto al vizio denunciato.

4.- La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori delle parti;

Non sono state presentate conclusioni scritte nè memorie; il ricorrente ha chiesto d’essere ascoltato in camera di consiglio;

5.- Ritenuto:

che, a seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, il collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione; che pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese seguono la soccombenza;

visti gli artt. 380-bis e 385 c.p.c..

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2011

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