Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21198 del 08/08/2019

Cassazione civile sez. lav., 08/08/2019, (ud. 12/06/2019, dep. 08/08/2019), n.21198

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18983/2015 proposto da:

L.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI

134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato RAFFAELE RICCARDI;

– ricorrente –

contro

LUNA S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CARLO CONTI ROSSINI 95,

presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE RUFFINI, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato ATTILIO REDI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 654/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 03/02/2015, R.G. N. 6959/2012.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. con sentenza 3 febbraio 2015, la Corte d’appello di Roma rigettava la domanda di L.M. di condanna della datrice Luna s.r.l. al pagamento, in proprio favore a titolo di differenze retributive del periodo 1991/2007, della somma di Euro 9.305,12, condannandolo alla restituzione alla società della somma di Euro 5.561,76, oltre interessi legali dal 13 giugno 2002, percepita in esecuzione della sentenza di primo grado: così riformandola, avendo essa pronunciato una tale condanna in parziale accoglimento dell’opposizione datoriale al decreto ingiuntivo ottenuto dal lavoratore per la somma richiesta;

2. avverso tale sentenza il lavoratore ricorreva con unico motivo, cui la società datrice resisteva con controricorso;

3. entrambe le parti comunicavano memoria ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 e ss., in relazione al contratto aziendale 9 novembre 1987, per violazione del criterio ermeneutico della chiarezza, sulla base del tenore letterale dell’accordo, erroneamente interpretato dalla Corte territoriale, senza considerazione dell’applicazione da parte della società datrice degli obblighi contrattuali per otto anni, avendo corrisposto l’importo relativo al premio ferie sotto la voce “quattordicesima mensilità” e della dichiarazione testimoniale di uno dei firmatari dell’accordo medesimo (unico motivo);

2. il collegio ritiene il motivo inammissibile;

2.1. la Corte territoriale ha, infatti, offerto un’interpretazione del testo dell’accordo sindacale 9 novembre 1987 assolutamente plausibile e congruamente argomentata (per le ragioni esposte dall’ultimo capoverso di pg. 2 al penultimo di pg. 3 della sentenza) e pertanto, avendo ad essa il ricorrente meramente contrapposto la propria, insindacabile in sede di legittimità (Cass. 10 maggio 2018, n. 11254);

2.2. la censura ha in tal modo ad oggetto il risultato interpretativo in sè (Cass. 10 febbraio 2015, n. 2465; Cass. 26 maggio 2016, n. 10891), discendente dalla contrapposizione di un’interpretazione dei fatti propria della parte a quella della Corte territoriale (Cass. 19 marzo 2009, n. 6694; Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197), peraltro ben plausibile, neppure essendo necessario che essa sia l’unica possibile o la migliore in astratto (Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178);

2.3. d’altro canto, la critica del ricorrente, neppure specifica (al terz’ultimo e penultimo capoverso di pg. 7 del ricorso) in ordine alla contestazione degli argomenti utilizzati a rinforzo (quali l’irrilevanza dell’indicazione in busta paga dell’emolumento corrisposto come quattordicesima mensilità e così pure delle dichiarazioni testimoniali assunte) dalla Corte capitolina, non contiene nemmeno l’indicazione dei canoni interpretativi violati, nè tanto meno la specificazione delle ragioni nè del modo in cui si sarebbe realizzata l’asserita violazione (Cass. 14 giugno 2006, n. 13717; Cass. 21 giugno 2017, n. 15350);

3. pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza;

4. ricorrono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato come da dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il lavoratore alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15 h e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 12 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 agosto 2019

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