Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21194 del 13/09/2017


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Cassazione civile, sez. un., 13/09/2017, (ud. 04/07/2017, dep.13/09/2017),  n. 21194

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMOROSO Giovanni – Primo Presidente f.f. –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente di Sez. –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27779/2016 proposto da:

DAUNIA WIND S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PAISIELLO 55, presso lo

studio dell’avvocato FRANCO GAETANO SCOCA, che la rappresenta e

difende unitamente agli avvocati GIUSEPPE MESCIA e GIACOMO MESCIA;

– ricorrente –

contro

Z.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1542/2015 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata l’8/10/2015.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/07/2017 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso;

udito l’Avvocato Franco Gaetano Scoca.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Daunia Wind S.r.l. propone “ricorso per cassazione con istanza di rimessione in termini”, notificato il 28 novembre 2016, per l’annullamento e la riforma della sentenza della Corte d’appello di Bari n. 1542/2015, pubblicata l’8 ottobre 2015, notificata con la formula esecutiva in data 19 ottobre 2015.

La ricorrente espone che, con atto di citazione in data 29 giugno 2009, Z.A. ha convenuto in giudizio la società, lamentando che, a seguito dell’entrata in funzione di alcuni aerogeneratori installati dalla convenuta in prossimità del confine col fondo di proprietà dell’attore, il rumore provocato dalle pale eoliche era superiore ai limiti di normale tollerabilità e chiedendo che la società fosse condannata al risarcimento dei danni.

Costituitasi la Daunia Wind S.r.l. ed eccepito il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, l’adito Tribunale di Foggia, con ordinanza – sentenza in data 18/19 novembre 2010, ha ritenuto la giurisdizione del Tribunale Amministrativo della Puglia, Sezione di Bari.

2. Proposto appello da parte dello Z., la Corte di appello di Bari, con la sentenza qui impugnata, ha accolto il gravame e, per l’effetto, in riforma dell’impugnato provvedimento, ha dichiarato che la controversia rientra nella giurisdizione dell’adito Tribunale di Foggia, dinanzi al quale ha rimandato le parti, con condanna della società al pagamento delle spese dei due gradi.

3. La società Daunia Wind S.r.l. ha riassunto il giudizio dinanzi al Tribunale senza proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello.

Col presente ricorso si dà atto che la causa risulta attualmente pendente innanzi al Tribunale di Foggia e si chiede la rimessione in termini per l’impugnazione della sentenza di appello, illustrando le ragioni poste a fondamento di questa richiesta e formulando quindi i motivi di ricorso attinenti alla giurisdizione, al fine di sostenere il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore del giudice amministrativo.

L’intimato Z.A. non ha svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.La ricorrente premette che la sentenza della Corte d’appello è stata notificata al procuratore costituito della Daunia Wind in data 19 ottobre 2015 e che perciò un eventuale ricorso avrebbe dovuto essere proposto entro il 18 dicembre 2015.

Deduce quindi che a questa data era consolidata l’interpretazione dell’art. 360 c.p.c., comma 3, da parte della Corte di Cassazione, per la quale la decisione sulla giurisdizione doveva essere impugnata unitamente alla decisione di merito; che su questa interpretazione la società aveva fatto affidamento, ritenendo di dover attendere la decisione di merito nel giudizio riassunto dinanzi al Tribunale di Foggia per censurare l’accertamento della giurisdizione del giudice ordinario; che, infatti, alla data predetta, non era stata ancora pubblicata la decisione della Corte di Cassazione che ha attuato il revirement interpretativo dell’art. 360 c.p.c., comma 3 (Cass. S.U., 22 dicembre 2015, n. 25774), per il quale la decisione sulla giurisdizione che non decide il merito è autonomamente e immediatamente impugnabile.

Dopo aver dato conto del precedente indirizzo interpretativo ed aver evidenziato che questo è stato espressamente riconosciuto come esistente con la sentenza n. 25774/2015, la ricorrente esamina il contenuto di questa decisione e rileva che, con riferimento al caso di specie, il principio di diritto che è stato affermato ha comportato “un cambiamento delle regole in corso di causa”.

1.2. Dato il mutamento, ad opera della Corte di Cassazione, di un’interpretazione consolidata di norme regolatrici del processo, la ricorrente sostiene che ricorra un’ipotesi di overruling (così come definito già da Cass. S.U., 11 luglio 2011, n. 15144 e, successivamente, tra le tante, da Cass., 9 gennaio 2015, n. 174 e 27 gennaio 2015, n. 1483).

Soggiunge che il rimedio applicabile rispetto alle situazioni processuali interessate dall’overruling sarebbe la rimessione in termini a favore della parte che abbia fatto incolpevole affidamento sulla precedente giurisprudenza.

Invoca perciò l’applicazione dell’art. 153 c.p.c., al fine di essere rimessa in termini per impugnare la sentenza notificata il 19 ottobre 2015, non avendo proposto ricorso entro il 18 dicembre 2015 per causa a sè non imputabile, in quanto la condotta processuale e la mancata impugnazione sarebbero dipese unicamente dall’affidamento creato dalla giurisprudenza allora prevalente e quindi la decadenza sarebbe dipesa da un imprevedibile mutamento di giurisprudenza che, se applicato al caso di specie, “comporterebbe un effetto preclusivo del diritto di azione e di difesa della società”.

2. Non sussistono i presupposti per la rimessione in termini.

Come nota la ricorrente, queste Sezioni Unite con la sentenza del 22 dicembre 2015, n. 25774 hanno riconosciuto il revirement sull’interpretazione dell’art. 360 c.p.c., comma 3, relativamente, tra le altre, alle sentenze di secondo grado che dichiarano la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario che il giudice di primo grado ha escluso, ed hanno affermato il seguente principio di diritto: “La sentenza, con cui il giudice d’appello riforma o annulla la decisione di primo grado e rimette la causa al giudice a quo ex artt. 353 o 354 c.p.c., è immediatamente impugnabile con ricorso per cassazione, trattandosi di sentenza definitiva, che non ricade nel divieto, dettato dall’art. 360 c.p.c., comma 3, di separata impugnazione in cassazione delle sentenze non definitive su mere questioni, per tali intendendosi solo quelle su questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito che non chiudono il processo dinanzi al giudice che le ha pronunciate”.

Con l’affermazione di questo principio di diritto si è venuto a determinare un mutamento della precedente interpretazione della norma processuale da parte del giudice della nomofilachia che dà luogo ad un’ipotesi di c.d. overruling. Questo è quanto, d’altronde, risulta testualmente dalla motivazione della sentenza del 2015, laddove è premesso che “le sollecitazioni provenienti dall’ordinanza di rimessione e le critiche sollevate dalla dottrina all’indirizzo giurisprudenziale finora invalso (cui non sempre tuttavia è corrisposta una pratica costante di applicazione) inducono le Sezioni Unite ad abbandonare la lettura fin qui seguita e a fornire una diversa interpretazione dell’art. 360 c.p.c., comma 3”.

3. Le conseguenze non sono tuttavia quelle prospettate dalla ricorrente ed il rimedio per tutelare la parte che abbia fatto incolpevole affidamento sul precedente orientamento giurisprudenziale non è quello della rimessione in termini, specificamente della rimessione in termini per impugnare autonomamente, in pendenza del giudizio riassunto dinanzi al primo giudice, la sentenza di appello che abbia affermato la giurisdizione del giudice ordinario ed abbia rimesso le parti davanti al primo giudice ai sensi dell’art. 353 c.p.c..

Il fenomeno di overruling rilevante alla stregua della giurisprudenza di questa Corte, alla quale si intende qui dare continuità, è quello che si verifica quando il mutamento della precedente interpretazione della norma processuale da parte della cassazione porti a ritenere esistente, in danno di una parte del giudizio, una decadenza od una preclusione prima escluse, di modo che l’atto compiuto dalla parte od il comportamento da questa tenuto secondo l’orientamento precedente risultino irrituali per effetto ed in conseguenza diretta del mutamento dei canoni interpretativi. Se questo mutamento è poi connotato dall’imprevedibilità (per essere intervenuto in modo inopinato e repentino sul consolidato orientamento pregresso) si deve escludere – per le ragioni esposte, soprattutto, nel precedente a Sezioni Unite 11 luglio 2011, n. 15144, cui si fa rinvio – l’operatività della preclusione o della decadenza che derivino dall’overruling nei confronti della parte che abbia confidato incolpevolmente nella consolidata precedente interpretazione della regola.

3.1. Orbene, nella fattispecie qui esaminata, il vizio di inammissibilità del presente ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Bari che ha dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario, negata dal primo giudice, ed ha rimandato le parti davanti a quest’ultimo, non è l’effetto immediato e diretto del mutamento di giurisprudenza determinato dalla sentenza a S.U. n. 25774/2015, più volte citata.

L’inammissibilità è dovuta al decorso del termine di giorni sessanta dalla notificazione della sentenza, ai sensi dell’art. 325 c.p.c., senza che la parte abbia proposto il ricorso per cassazione.

Tuttavia, la mancata immediata proposizione dell’impugnazione che sia stata o meno causata dall’affidamento sul precedente orientamento giurisprudenziale – non ha, di per sè, privato la parte del diritto di azione e di difesa in giudizio, in quanto questo, alla stregua del precedente orientamento, si sarebbe potuto esercitare censurando l’accertamento della giurisdizione del giudice ordinario unitamente alla decisione di merito.

Specificamente, la statuizione sulla questione di giurisdizione contenuta nella sentenza d’appello che ha disposto la rimessione al primo giudice avrebbe potuto essere portata all’esame della Corte di Cassazione nell’ipotesi in cui la decisione, sfavorevole nel merito, del giudice di primo grado avesse trovato conferma da parte di quello di appello (cfr. Cass. S.U. 22 aprile 2013, n. 9688); con la conseguente necessità per la parte soccombente di impugnare la sentenza di primo grado per conservare la possibilità di discutere della giurisdizione nel caso che sul merito fosse risultata soccombente anche in secondo grado (cfr. Cass. S.U. 31 ottobre 2012, n. 18698). In sintesi, la parte avrebbe dovuto (ma anche potuto) attendere la pronuncia d’appello sul merito della controversia, per dolersi dinanzi alla Corte di Cassazione pure della (precedente) decisione d’appello sulla giurisdizione.

3.2. L’orientamento giurisprudenziale inaugurato da Cass. S.U. n. 25774/2015 finisce per rendere intempestiva l’impugnazione della sentenza sulla giurisdizione proposta dopo la sentenza (di primo grado e) d’appello sul merito, facendo incorrere la parte soccombente nella preclusione relativa all’impugnazione differita.

Infatti, qualificando la sentenza emessa ai sensi dell’art. 353 c.p.c., come sentenza definitiva – che perciò non ricade nel divieto, dettato dall’art. 360 c.p.c., comma 3, di separata impugnazione in cassazione, consentita soltanto per le sentenze non definitive – l’overruling è frutto di un’interpretazione “correttiva” con la quale si è tornati direttamente sul testo della disposizione. Se ne è quindi desunta l’immediata impugnazione della sentenza d’appello sulla questione di giurisdizione, pervenendo a delineare una differente disciplina di tempo, oggetto e modalità di proposizione del ricorso per cassazione, pur essendo questo comunque assicurato, ma con regime differente, dalla precedente esegesi giurisprudenziale della stessa norma.

La conseguenza pregiudizievole per la parte, che deriva da siffatta situazione di overruling, non attiene al comportamento di inerzia precedente o successivo alla scadenza del termine per impugnare – in quanto questo, in sè considerato, è giuridicamente neutro – ma attiene alla (eventuale) impugnazione differita. Sarebbe infatti irrituale, perchè intempestiva, “ora per allora”, la censura della sentenza d’appello sulla giurisdizione che la parte proponesse col ricorso per cassazione contro la sentenza di merito di secondo grado a sè sfavorevole, in conformità al pregresso, oramai superato, orientamento.

Tuttavia, si tratta di un pregiudizio non attuale. Esso si produrrà, a danno della parte del processo, solo nel caso che, essendo definitivamente soccombente nel merito, intenda sottoporre a revisione anche la decisione sulla giurisdizione.

Infatti, dal momento che questa non è stata mai esaminata dalla cassazione, nè la parte ha avuto la possibilità di sollecitarne l’esame, mediante impugnazione immediata della sentenza d’appello che l’ha vista soccombente, il repentino mutamento di giurisprudenza intervenuto a termini oramai scaduti per l’impugnazione tempestiva – potrà comportare una lesione del diritto di azione e di difesa della parte, se e quando questa si dovesse trovare preclusa la possibilità di censurare la decisione sulla giurisdizione unitamente al merito.

4. Diversamente da quanto si assume in ricorso, i meccanismi di tutela dell’affidamento che la parte abbia riposto in un pregresso diritto vivente, di cui non fosse prevedibile il mutamento, vanno modulati in correlazione alla peculiarità delle situazioni processuali interessate dall’eventuale (non prevedibile) overruling.

Così, se in diverse situazioni, lo strumento è stato coerentemente individuato nell’istituto della rimessione in termini al fine di consentire alla parte di riproporre ritualmente l’impugnazione, nel caso, invece, in cui venga in rilievo, come nella specie, un problema di tempestività dell’atto (sussistente in base alla giurisprudenza overruled, ma venuta meno in conseguenza del successivo mutamento di esegesi della regola di riferimento), il valore del giusto processo potrà trovare diretta attuazione attraverso l’esclusione dell’operatività della preclusione derivante dall’overruling nei confronti della parte che abbia confidato nella consolidata precedente interpretazione della regola.

4.1. Pertanto, la tutela della parte soccombente a seguito della sentenza d’appello che abbia riformato la sentenza di primo grado dichiarando che il giudice ordinario ha sulla causa la giurisdizione negata dal primo giudice ed abbia rimandato le parti davanti a quest’ultimo e non abbia tempestivamente impugnato questa sentenza facendo affidamento nell’interpretazione dell’art. 360 c.p.c., comma 3, che la riteneva non immediatamente ed autonomamente impugnabile (in quanto rientrante nel divieto ivi previsto), non va assicurata mediante la rimessione in termini per impugnare autonomamente dinanzi alla Corte di Cassazione la sentenza d’appello, mentre pende il giudizio di merito riassunto dinanzi al primo giudice.

Piuttosto, consiste nel riconoscere a quella parte la stessa facoltà processuale che è venuta meno a seguito dell’overruling, eventualmente escludendo l’operatività della preclusione dell’impugnazione differita, nella quale la parte aveva fatto incolpevole affidamento in forza del pregresso consolidato orientamento giurisprudenziale.

4.2. Allo stato, la richiesta di rimessione in termini va rigettata, in applicazione del principio di diritto per il quale la parte che non abbia proposto immediato ricorso per cassazione – avverso la sentenza d’appello che abbia riformato la sentenza di primo grado, dichiarando che il giudice ordinario ha sulla causa la giurisdizione negata dal primo giudice ed abbia rimandato le parti davanti a quest’ultimo – facendo affidamento sull’interpretazione dell’art. 360 c.p.c., comma 3, che riteneva non immediatamente ed autonomamente impugnabile la sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 353 c.p.c., non ha diritto ad essere rimessa in termini, mentre pende il giudizio di merito riassunto dinanzi al primo giudice, per impugnare autonomamente detta sentenza d’appello, a seguito del mutamento di giurisprudenza realizzato con la sentenza a Sezioni Unite 22 dicembre 2015, n. 25774.

Malgrado questa pronuncia abbia dato luogo ad una situazione di c.d. “overruling”, la quale porta a ritenere esistente, in danno della parte soccombente sulla questione di giurisdizione, la preclusione prima esclusa – a censurare la sentenza d’appello pronunciata ai sensi dell’art. 353 c.p.c., unitamente alla sentenza di secondo grado sul merito della controversia, l’effetto preclusivo si produrrà soltanto a seguito di quest’ultima pronuncia e soltanto se la stessa parte rimanga definitivamente soccombente anche nel merito. Pertanto, solo in tale evenienza, dovrà essere individuato lo strumento processuale tramite il quale realizzare la tutela piena della parte, onde evitare che resti precluso il diritto di azione e di difesa in giudizio sulla questione di giurisdizione, a causa del mutamento di giurisprudenza sopravvenuto quando erano oramai decorsi i termini per impugnare per cassazione la sentenza d’appello su detta questione.

5. Conseguentemente, è tardivo il ricorso per cassazione notificato il 28 novembre 2016 avverso la sentenza della Corte d’appello di Bari pubblicata l’8 ottobre 2015 e notificata il 19 ottobre 2015, a seguito della quale il giudizio è stato riassunto dinanzi al Tribunale di Foggia.

Il ricorso va perciò dichiarato inammissibile.

Non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, poichè l’intimato non si è difeso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 4 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 settembre 2017

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