Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2119 del 25/01/2022
Cassazione civile sez. VI, 25/01/2022, (ud. 14/12/2021, dep. 25/01/2022), n.2119
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –
Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 30036-2020 proposto da:
C.G., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la
CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa
dall’avvocato ROSA DI NARDO;
– ricorrente –
contro
GENERALI ITALIA SPA, in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 35,
presso lo studio dell’avvocato MARCO VINCENTI, che la rappresenta e
difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 887/2020 del TRIBUNALE di NAPOLI NORD,
depositata il 07/04/2020;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non
partecipata del 14/12/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MARILENA
GORGONI.
Fatto
RILEVATO
che:
C.G. ricorre avverso la sentenza n. 887/2020 del Tribunale di Napoli Nord, avvalendosi di due motivi.
Resiste con controricorso, corredato di memoria, Generali Italia SPA, in qualità di impresa designata per il Fondo di Garanzia Vittime della Strada.
C.G. rappresenta in fatto di aver convenuto in giudizio, dinanzi al Giudice di Pace di Napoli Nord, Generali Italia SPA, quale impresa designata per la Regione Campania alla gestione del Fondo di Garanzia Vittime della Strada, al fine di sentirla condannare al risarcimento dei danni subiti in conseguenza del sinistro verificatosi in data 4 giugno 2008. A tal fine adduceva che mentre era fuori dalla propria abitazione, ferma sul portoncino, veniva violentemente urtata al braccio e scaraventata a terra da un’autovettura di media cilindrata che procedeva ad alta velocità, poi allontanatasi senza prestare soccorso. In conseguenza del sinistro asseriva di aver riportato una invalidità permanente dell’8%, per la quale richiedeva un risarcimento non inferiore ad Euro 15.000,00.
Il Giudice di Pace, con la sentenza n. 1042/2017, rigettava la domanda ritenendola sfornita di prova.
C.G. ricorreva in appello, dinanzi al Tribunale di Napoli Nord, chiedendo la riforma della sentenza impugnata, nella parte in cui aveva ritenuto contraddittorie le dichiarazioni dei testi escussi non solo tra di loro, ma anche in relazione alla denuncia resa ai Carabinieri ed ai sanitari del Pronto soccorso.
Il Tribunale di Napoli Nord, con la sentenza impugnata, rigettava il gravame, ritenendo inverosimile il fatto storico e non convincente la descrizione della dinamica del sinistro.
Avendo ritenuto sussistenti le condizioni per la trattazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata ritualmente notificata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.
Diritto
CONSIDERATO
che:
1. La ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., e dell’art. 2700 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Premesso che il Giudice d’Appello, pur non avendo riscontrato contraddizioni nelle prove testimoniali, ha giudicato la discordanza tra la dinamica del sinistro descritta nell’atto di citazione, ove l’incidente era stato collocato nel giorno (OMISSIS), e l’orario riferito dalla vittima presso l’unità di Pronto soccorso, ove si parlava delle ore 15.00, tale da far apparire inverosimile il fatto storico, secondo la ricorrente, la pronuncia si baserebbe solo sulla discordanza dell’ora in cui sarebbe avvenuto l’incidente, emersa ponendo a confronto la denuncia ai carabinieri e il referto del pronto soccorso. Il Tribunale non avrebbe, però, considerato che il referto del pronto soccorso, facendo fede esclusivamente relativamente agli aspetti diagnostici, ma non anche di quanto al medico del pronto soccorso è riferito dal paziente in condizioni, peraltro, di assenza di lucidità e di attenzione, avrebbe dovuto, per la parte non diagnostica, quindi anche relativamente all’indicazione dell’orario in cui aveva avuto luogo l’incidente, essere sottoposto alla regola di giudizio di cui all’art. 116 c.p.c..
Il motivo è inammissibile, perché le censure mosse alla sentenza impugnata, giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, avrebbero richiesto non solo l’indicazione delle norme asseritamente violate, ma anche, e soprattutto, di specifiche
argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a
motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo a questa Corte di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione. Nel caso di specie il motivo non è stato affatto argomentato soddisfacendo tali prescrizioni. Vale appena la pena di aggiungere che la violazione dell’art. 116 c.p.c., non è stata dedotta in conformità con quanto affermato da questa Corte, secondo cui per lamentare la violazione del paradigma dell’art. 116 c.p.c., è necessario considerare che, poiché l’art. 116 c.p.c., prescrive come regola di valutazione delle prove quella secondo cui il giudice deve valutarle secondo prudente apprezzamento, a meno che la legge non disponga altrimenti, la sua violazione e, quindi, la deduzione in sede di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, è concepibile solo: a) se il giudice di merito valuta una determinata prova ed in genere una risultanza probatoria, per la quale l’ordinamento non prevede uno specifico criterio di valutazione diverso dal suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore ovvero il valore che il legislatore attribuisce ad una diversa risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale); b) se il giudice di merito dichiara di valutare secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza soggetta ad altra regola, così falsamente applicando e, quindi, violando la norma in discorso (oltre che quelle che presiedono alla valutazione secondo diverso criterio della prova di cui trattasi): Cass. 10/06/2016, n. 11892.
2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 342 c.p.c., comma 1, n. 1, perché con l’atto di appello era stata chiesa la riforma della sentenza impugnata relativamente alla sola valutazione delle prove testimoniali, mentre, invece, il giudice d’Appello aveva riconsiderato l’intero compendio probatorio, prospettando una questione di fatto non richiamata nell’atto di appello né sollevata dalla controparte.
Va premesso che questa Corte può procedere a riscontrare mediante l’esame diretto degli atti l’intero fatto processuale, a condizione che la parte ricorrente indichi gli elementi caratterizzanti il fatto processuale di cui chiede il riesame, nel rispetto delle disposizioni contenute nell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 (ex plurimis, Cass. 18/11/2014, n. 24481; Cass. 04/04/2014, n. 8008; Cass., Sez. Un., 22/05/2012, n. 8077).
Non risulta che le prescrizioni di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, siano state nella specie rispettate, posto che nel presente ricorso non vengono puntualmente illustrati i passaggi argomentativi della sentenza con riferimento al contenuto del ricorso in appello ed alla correlata sentenza di primo grado, anche in considerazione del fatto che nel controricorso è sostenuto, al contrario, che l’atto di appello censurava la sentenza di prime cure per erronea valutazione delle risultanze istruttorie ed insisteva circa il fatto che sia la documentazione allegata sia le testimonianze assunte in corso di causa dimostravano compiutamente e ampiamente l’accadimento, la dinamica dell’incidente, i luoghi e il tempo in cui i fatti si sono verificati (p. 3 del controricorso).
Pertanto, la ricorrente è incorsa nella violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, atteso che, lamentando che il Tribunale si sia pronunciato su questioni non oggetto dell’atto di impugnazione, ha trascurato di adempiere l’onere di fornire idonea e completa indicazione circa il contenuto dell’atto di appello, con ciò precludendo a questa Corte la possibilità di apprezzare la concludenza delle censure formulate al fine di giudicare la fondatezza del motivo d’impugnazione proposto.
E’ appena il caso di aggiungere che non può ritenersi incorso nel vizio di ultrapetizione il giudice che, senza interferire nel potere dispositivo delle parti e quindi senza attribuire o negare ad uno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nell’ambito della domanda o delle richieste delle parti, si limiti a basare il suo convincimento su tutti gli elementi ritualmente acquisiti al processo, anche o solo documentali (Cass. 03/07/2019, n. 17897).
Infatti il giudice deve tener conto, nella valutazione globale della fondatezza o meno della domanda, di tutti gli elementi di prova ritualmente acquisiti riguardo a concrete circostanze di fatto ed indipendentemente dalla parte che li abbia dedotti e dallo specifico interesse perseguito con la loro deduzione, senza dover mantenere settorialmente distinte le varie fonti di convincimento a seconda del particolare profilo della controversia rispetto a cui sia stata dedotta l’opportunità di una loro rivalutazione (Cass. 23/01/1988, n. 569).
Più in generale, al giudice del gravame è precluso esclusivamente di estendere le sue statuizioni a punti che non siano compresi, neanche implicitamente, nel tema del dibattito esposto nei motivi d’impugnazione, mentre non viola il principio del “tantum devolutum quantum appellatum” il giudice di appello che fondi la decisione su ragioni che, pur non specificamente fatte valere dall’appellante, tuttavia, appaiano, nell’ambito della censura proposta, in rapporto di diretta connessione con quelle espressamente dedotte nei motivi stessi, costituendone necessario antecedente logico e giuridico. Nel giudizio d’appello, infatti, il giudice può riesaminare l’intera vicenda nel complesso dei suoi aspetti, purché tale indagine non travalichi i margini della richiesta, coinvolgendo punti decisivi della statuizione impugnata suscettibili di acquisire forza di giudicato interno in assenza di contestazione, e decidere, con pronunzia che ha natura ed effetto sostitutivo di quella gravata, anche sulla base di ragioni diverse da quelle svolte nei motivi d’impugnazione (Cass. 13/04/2018, n. 9202; Cass. 10/02/2006, n. 2973).
3. Il ricorso va dichiarato inammissibile.
4. Le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza, dandosi atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della parte controricorrente, liquidandole in Euro 1.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2022