Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21186 del 13/10/2011

Cassazione civile sez. I, 13/10/2011, (ud. 27/09/2011, dep. 13/10/2011), n.21186

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.M., elettivamente domiciliato in Roma, alla piazza

Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione,

unitamente all’avv. MARRA Alfonso Luigi, dal quale è rappresentato e

difeso in virtù di procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimato –

avverso il decreto della Corte di Appello di Napoli depositato l’11

settembre 2008.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27

settembre 2011 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. CESQUI Elisabetta, la quale ha concluso per il rigetto

del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con decreto dell’11 settembre 2008, la Corte di Appello di Napoli ha accolto la domanda di equa riparazione proposta da S. M. nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze per la violazione del termine di ragionevole durata del processo, verificatasi in un giudizio dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sede di Napoli, promosso dall’istante nei confronti del Comune di Napoli per il riconoscimento degl’interessi e del maggior danno da svalutazione monetaria su importi tardivamente corrisposti a titolo di retribuzione.

Premesso che il giudizio presupposto, iniziato nell’anno 1994, non si era ancora concluso, la Corte ne ha determinato la ragionevole durata in tre anni, avuto riguardo alla non particolare complessità della controversia, e, sulla base dei parametri elaborati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ha liquidato equitativamente il danno non patrimoniale in complessivi Euro 10.499,00, pari ad Euro 1.000,00 per ogni anno di ritardo, condannando infine il Ministero al pagamento della metà delle spese processuali e dichiarando compensato tra le parti il residuo.

2. – Avverso il predetto decreto lo S. propone ricorso per cassazione, articolato in sette motivi. Il Ministero non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con i primi tre motivi d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89 e dell’art. 6, par. 1, della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo, nonchè l’omessa, insufficiente, contraddittoria o incongrua motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha immotivatamente riconosciuto l’indennizzo soltanto per il periodo di tempo eccedente la ragionevole durata del processo, anzichè per l’intera durata del giudizio presupposto, astenendosi dal disapplicare le norme interne contrastanti con la Convenzione e contravvenendo ai principi enunciati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

1.1. – I motivi sono infondati.

Ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), infatti, l’indennizzo per la violazione del termine di ragionevole durata del processo non dev’essere correlato alla durata dell’intero processo, ma al solo segmento temporale eccedente la durata ragionevole della vicenda processuale presupposta, che risulti in punto di fatto ingiustificato o irragionevole. Tale criterio di calcolo appare non solo conforme al principio enunciato dall’art. 111 Cost., il quale prevede che il giusto processo abbia comunque una durata connaturata alle sue caratteristiche concrete e peculiari, seppure contenuta entro il limite della ragionevolezza, ma, come riconosciuto dalla stessa Corte EDU nella sentenza 27 marzo 2003, resa sul ricorso n. 36813/97, non si pone neppure in contrasto con l’art. 6, par. 1, della CEDU, in quanto non esclude la complessiva attitudine della L. n. 89 del 2001 a garantire un serio ristoro per la lesione del diritto in questione (cfr. Cass., Sez. 1^, 23 novembre 2010, n. 23654: 14 febbraio 2008, n. 3716).

2. – Sono parimenti infondati il quarto ed il quinto motivo, con cui il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., nonchè l’omessa, insufficiente, contraddittoria o incongrua motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, rilevando che la Corte d’Appello ha omesso di pronunciare in ordine alla domanda di riconoscimento del bonus di Euro 2.000,00 dovuto in relazione alla natura del giudizio presupposto, avente ad oggetto un credito retribuivo, senza fornire alcuna motivazione.

2.1. – L’inclusione delle cause di lavoro e di quelle previdenziali ed assistenziali nel novero di quelle per le quali la Corte EDU ha ritenuto che la violazione del termine di ragionevole durata possa giustificare il riconoscimento di un importo forfetario aggiuntivo, in ragione della particolare importanza della controversia, non significa infatti che dette cause debbano necessariamente considerarsi particolarmente importanti, con la conseguente automatica liquidazione del predetto maggior indennizzo. Ne consegue da un lato che il giudice di merito può tener conto della particolare incidenza del ritardo sulla situazione delle parti, che la natura della controversia comporta, nell’ambito della valutazione concernente la liquidazione del danno, senza che ciò implichi uno specifico obbligo di motivazione al riguardo, nel senso che il mancato riconoscimento del maggior indennizzo si traduce nell’implicita esclusione della particolare rilevanza della controversia (cfr. Cass., Sez. 1^, 3 dicembre 2009, n. 25446; 29 luglio 2009, n. 17684); dall’altro che, ove sia stato negato il riconoscimento di tale pregiudizio, la critica della decisione sul punto non può fondarsi sulla mera affermazione che il bonus in questione spetta ratione materia, era stato richiesto e la decisione negativa non è stata motivata, ma deve avere riguardo alle concrete allegazioni ed alle prove addotte nel giudizio di merito, che nella specie non sono state in alcun modo richiamate (cfr. Cass., Sez. 1^, 28 gennaio 2010, n. 1893; 28 ottobre 2009, n. 22869).

3. – Sono infine infondati il sesto ed il settimo motivo, con cui il ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, dell’art. 6, par. 1, della CEDU e degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., nonchè l’omessa, insufficiente, contraddittoria o incongrua motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, censurando il decreto impugnato nella parte in cui, nonostante l’accoglimento della domanda, ha dichiarato parzialmente compensate tra le parti le spese processuali, senza un’adeguata motivazione.

3.1. – Il giudizio in esame è stato instaurato in data successiva al 1 marzo 2006 ma precedente al 4 luglio 2009, e ad esso si applica pertanto l’art. 92 cod. proc. civ., comma 2, nel testo modificato dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a), ed anteriore all’ulteriore modifica introdotta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 11, il quale, nel richiedere l’esplicita indicazione, nella motivazione, dei giusti motivi che, al di fuori dei casi di soccombenza reciproca, giustificano la compensazione totale o parziale delle spese processuali, non impone l’adozione di motivazioni specificamente riferite a tale provvedimento, purchè le ragioni poste a fondamento dello stesso siano chiaramente e inequivocabilmente desumibili dal complesso della motivazione adottata a sostegno della statuizione di merito (cfr. Cass., Sez. 3^, 30 marzo 2010, n. 7766: Cass., Sez. lav., 31 luglio 2009, n. 17868).

E’ proprio un esame complessivo della motivazione, nella specie, a far emergere le ragioni della scelta compiuta attraverso la compensazione parziale delle spese, sinteticamente motivata dalla Corte d’Appello mediante il riferimento alla natura della controversia ed all’esito del giudizio, caratterizzato dalla liquidazione di un indennizzo (Euro 10.499,00) notevolmente inferiore a quello richiesto da ricorrente (Euro 21.625,00), e quindi da un ridimensionamento della pretesa azionata la cui considerazione, immune da vizi logico-giuridici, appare idonea a sorreggere la decisione, sottraendola al sindacato di questa Corte.

4. – Il ricorso va pertanto rigettato, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo al mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 27 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2011

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