Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21183 del 13/09/2017

Cassazione civile, sez. VI, 13/09/2017, (ud. 30/03/2017, dep.13/09/2017),  n. 21183

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12337/2015 proposto da:

MINISTERO PUBBLICA ISTRUZIONE, in persona pro tempore e II IPSAR –

ISTITUTO DI STATO PER I SERVIZI ALBERGHIERI E LA RISTORAZIONE DI

ROMA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

C.O., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTESANTO 68,

presso lo studio dell’avvocato PIERLUIGI ANGELONI, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1907/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 21/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 30/03/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

C.O. convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Roma, il Ministero della Pubblica Istruzione e il II IPSAR Istituto di Stato per i Servizi Alberghieri e la Ristorazione di Roma, per sentirli condannare al risarcimento dei danni che l’attore sosteneva aver riportato nel sinistro verificatosi in data (OMISSIS), nei locali di detta scuola, allorchè, “a seguito di una caduta accidentale e chiusura della porta a vetri da parte di un altro studente”, la vetrata di tale porta gli era caduta addosso, provocandogli lesioni.

Si costituì in giudizio il solo istituto scolastico convenuto, che contestò la domanda nell’an e nel quantum.

Il Tribunale adito, con sentenza depositata il 3 febbraio 2000, condannò i convenuti in solido al risarcimento dei danni in favore dell’attore.

La Corte di appello di Roma, con sentenza depositata in data 8 luglio 2002, accolse le impugnazioni proposte dalle Amministrazioni soccombenti avverso la sentenza di primo grado e rigettò l’appello incidentale proposto dal C. avverso la medesima sentenza, volto ad ottenere un risarcimento maggiore di quello riconosciuto e, in riforma integrale della sentenza di primo grado, rigettò la domanda.

Questa Corte di cassazione, con sentenza n. 17474/07 del 9 agosto 2007, accolse il ricorso proposto dal C. avverso la sentenza di secondo grado, che cassò con rinvio.

Riassunta la causa, la Corte di appello di Roma, con sentenza pubblicata il 21 marzo 2014, rigettò l’appello principale e quello incidentale, per l’effetto, condannò il Ministero della Pubblica Istruzione e il II IPSAR – Istituto di Stato per i Servizi Alberghieri e la Ristorazione di Roma al pagamento, in solido, tra loro e in favore del C., a titolo di risarcimento del danno, della somma di Euro 66.846,05, oltre interessi legali dal 9 dicembre 1999 al saldo, e regolò le spese tra le parti.

Avverso la sentenza della Corte di merito il Ministero della Pubblica Istruzione e il II IPSAR – Istituto di Stato per i Servizi Alberghieri e la Ristorazione di Roma hanno proposto ricorso per cassazione basato su un unico motivo, cui ha resistito C.O. con controricorso.

La proposta del relatore, ex art. 380 bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il Collegio ha disposto la redazione dell’ordinanza con motivazione semplificata.

2. Con l’unico motivo, rubricato “Violazione dell’art. 384 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – Omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, i ricorrenti sostengono che la Corte di merito, “lungi dall’attenersi alle direttive impartite” da questa Corte, avrebbe “omesso di esaminare fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti, eliminando, in tal modo, una fase prodromica e sotto il profilo logico assolutamente necessaria ai fini del compimento dell’Indagine” richiesta” da questa Corte.

In particolare i ricorrenti sostengono che, con la sentenza impugnata, sarebbe stata affermata la loro esclusiva responsabilità “per il sol fatto di non aver provveduto ad eliminare la situazione di pericolo costituita dalla presenza di una vetrata scheggiata e traballante e per la circostanza di aver lasciato i minori agire senza vigilanza”, “senza dare conto del percorso logico-giuridico seguito ed omettendo di esaminare… elementi che, verosimilmente, avrebbero potuto portare ad una decisione (quanto meno parzialmente) diversa”.

Ad avviso dei ricorrenti sarebbe stato configurabile nella specie “un potenziale concorso colposo alla causazione dell’evento da parte del danneggiato e/o del compagno”, atteso che la presenza del vetro scheggiato nella porta era nota a questi ultimi, sicchè essi sarebbero stati nelle condizioni di prevedere le conseguenze di un loro comportamento imprudente e, inoltre, sarebbe stato obliterato “qualsiasi accenno alla fase di autogestione e all’età dei soggetti coinvolti (prossimi al compimento della maggiore età)”.

2.1. Il motivo è inammissibile sotto vari profili.

2.2. Nella specie questa Corte, con la sua precedente sentenza sopra richiamata, ha cassato la sentenza impugnata con rinvio al Giudice del merito per la valutazione fattuale dell’entità dell’incidenza causale (indubitabile nell’an) ex ante, “sia sotto il profilo di cui all’art. 2051 c.c., rispetto al rapporto dei responsabili dell’istituto con la res, sia sotto quello, di cui all’art. 2048 c.c., del dovere di sorveglianza dei docenti, della situazione di oggettivo pericolo che un vetro scheggiato all’interno di una porta di passaggio all’interno dell’istituto scolastico evidentemente costituisce e rappresenta”.

2.3. I ricorrenti, al di là delle censure indicate nella rubrica del motivo, in realtà, con il mezzo all’esame, tendono ad una rivalutazione dei fatti non consentita in questa sede.

2.4. Nè, in particolare, la censura fondata sulla violazione dell’art. 384 c.p.c., coglie nel segno, avendo la Corte di merito proceduto alla già richiamata valutazione fattuale, nè, peraltro, i ricorrenti hanno rappresentato specificamente quando e in che termini hanno fatto riferimento agli elementi fattuali che assumono non essere stati valutati dalla Corte di merito, nè hanno riportato le deposizioni dei testi, richiamate a p. 8 del ricorso, nè risulta indicato a chi sia attribuibile il brano di una deposizione testimoniale riportata a p. 11 del medesimo ricorso e neppure hanno precisato dove sia ora reperibile la relazione del 30 novembre 1994 indicata a p. 7 del ricorso (v. a tale ultimo riguardo, Cass., sez. un., ord., 25/03/2010, n. 7161). Ed invero l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque – come nella specie (v. sentenza impugnata p. 5 e 6) – preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., sez. un., 7/04/2014, n. 8053).

3. Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile.

4. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

5. Va dato atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, atteso che l’obbligo di tale versamento non sussiste a carico di quelle parti della fase o del giudizio di impugnazione, come le Amministrazioni dello Stato, che siano istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (Cass. 14/03/2014, n. 5955).

6. Va disposto che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

PQM

 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.200,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 30 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 settembre 2017

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