Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21181 del 23/07/2021

Cassazione civile sez. III, 23/07/2021, (ud. 23/02/2021, dep. 23/07/2021), n.21181

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5008-2019 proposto da:

V.R., V.V., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA SAN NICOLA DA TOLENTINO N. 50, presso lo studio dell’Avvocato

MASSIMO VETROMILE RICCIULLI, rappresentati e c.c. difesi

dall’Avvocato INNOCENZO MILITERNI;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI NAPOLI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA APPENNINI,

N. 46, presso lo STUDIO LEGALE LEONE, rappresentato e difeso dagli

Avvocati FABIO MARIA FERRARI, è MARIA ANNA AMORETTI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 3325/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 03/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/02/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. V. e V.R. ricorrono, sulla base di quattro motivi, per la cassazione della sentenza n. 3225/18, del 3 luglio 2018, della Corte di Appello di Napoli, che ha dichiarato inammissibile il gravame esperito dagli odierni ricorrenti e da P.F. avverso la sentenza n. 1494/16, del 5 febbraio 2016, del Tribunale di Napoli, sul presupposto che gli appellanti non avessero fornito prova della loro qualità di successori a titolo particolare nel diritto controverso, e, segnatamente, di essersi resi cessionari del diritto di credito spettante alla società V. Costruzioni S.p.a., nei confronti del Comune di Napoli, in relazione ad un contratto di appalto sottoscritto il 5 luglio 1999, concernente l’esecuzione di opere per il recupero di un complesso immobiliare sito in (OMISSIS).

2. In punto di fatto, i ricorrenti riferiscono che la predetta società, adito il Tribunale napoletano con atto di citazione del 4 febbraio 2005, per far dichiarare l’avvenuta risoluzione, per inadempimento del Comune, del contratto di appalto, nonché per conseguire il risarcimento del danno, vedeva parzialmente soddisfatta la sua pretesa, atteso che l’adito giudicante condannava il convenuto a pagare la somma di Euro 641.038,45, oltre interessi dalla data della sentenza al soddisfo.

Nelle more del giudizio di primo grado la società attrice, con scrittura privata dell’11 marzo 2015, cedeva “pro soluto”, a V., G. e V.R., il credito relativo al contratto oggetto di causa, mentre – dopo la pronuncia del primo giudice – era V.G. a cedere, con scrittura del 29 giugno 2016, a P.F. il credito di cui si era reso cessionario, credito del quale, per effetto di ulteriori cessioni, l’ultima delle quali eseguita con scrittura del 29 gennaio 2019, si rendeva cessionaria V.R..

Tutti i citati atti di cessione, assumono gli odierni ricorrenti, vennero notificati al Comune di Napoli, ai sensi dell’art. 1264 c.c.

Esperito gravame da V. e V.R., nonché da P.F., asserendo gli appellanti di aver diritto all’ulteriore importo di Euro 487,444,40, il giudice di appello, con sentenza che gli odierni ricorrenti qualificano “a sorpresa” (anche in ragione dell’assenza di qualsiasi contestazione, da parte del Comune, della loro qualità di cessionari del credito per cui è causa), provvedeva nei termini sopra illustrati, sul presupposto della mancata presenza, tra i documenti del fascicolo di parte appellante, delle scritture comprovanti le avvenute cessioni.

3. Avverso la pronuncia della Corte partenopea ricorrono per cassazione V. e V.R., sulla base – come detto – di quattro motivi (il quinto, per vero, risolvendosi solo nella richiesta di decidere la causa nel merito, una volta cassata la sentenza impugnata).

3.1. Il primo motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 cc.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), – denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in relazione agli artt. 58,165,166,169,347 c.p.c., nonché agli artt. 72,73,74,77 e 98 disp. att. c.p.c., ed agli artt. 24 e 111 Cost., lamentando, inoltre, nullità della sentenza impugnata.

I ricorrenti censurano la decisione della Corte territoriale perché essa, accertato il parziale smarrimento della produzione di parte, non ha rimesso la causa sul ruolo, né disposto le opportune ricerche, né, infine, concesso – in caso di esito negativo delle stesse – la ricostruzione del fascicolo, decidendo, invece, la causa nel merito, con iniziativa assunta in contrasto con il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità.

La sentenza impugnata, difatti, avrebbe disatteso il principio secondo cui, poiché “il ritiro e il rideposito del fascicolo di parte devono necessariamente avvenire per il tramite del cancelliere che custodisce l’incartamento processuale, ove non risulti alcuna annotazione dell’avvenuto ritiro del fascicolo di una parte (e quindi neanche del successivo rideposito), il giudice non può rigettare una domanda, o un’eccezione, per mancanza di una prova documentale inserita del fascicolo di parte, ma deve ritenere (in carenza di contraria risultanza, ovvero della prova rigorosa fornita da controparte che l’appellante abbia ritirato il proprio fascicolo) che le attività delle parti e dell’ufficio si siano svolte nel rispetto delle norme processuali e quindi che il fascicolo non sia mai stato ritirato dopo l’avvenuto deposito”; di talché “il giudice deve disporre le opportune ricerche tramite la cancelleria, e, in caso di insuccesso, concedere un termine all’appellante per la ricostruzione del proprio fascicolo, non potendo gravare sulla parte le conseguenze del mancato reperimento”, con l’ulteriore conseguenza che solo “all’esito infruttuoso delle ricerche da parte della cancelleria, ovvero in caso di inottemperanza della parte all’ordine di ricostruire il proprio fascicolo, il giudice potrà pronunciare sul merito della causa in base agli atti a sua disposizione” (e’ citata Cass. Sez. 3, sent. 9 ottobre 2003, n. 15060, Rv. 567358-01, nonché la conforme Cass. Sez. 6-1, ord. 6 settembre 2013, n. 20587).

3.2. Il secondo motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), – denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 111,112,113,115 e 352 c.p.c., nonché agli artt. 2697 e 2729 c.c., oltre a nullità della sentenza.

I ricorrenti censurano la decisione della Corte territoriale per aver ritenuto applicabile al caso in esame, pur non sussistendone i presupposti (ovvero, lo smarrimento di documenti attestanti la loro legittimazione “ad causam”), il principio secondo cui il giudice ha il potere di rilevare d’ufficio il difetto di legittimazione.

In particolare, viene censurata l’affermazione della Corte partenopea secondo cui il fascicolo di parte sarebbe stato composto dalla “sentenza del primo giudice e dalla produzione di primo grado costituita da 9 volumi più 2 faldoni”. Orbene, osservano i ricorrenti, dall’esame degli atti processuali emerge che, sull’indice foliario del fascicolo di parte appellante, si trovano apposti due timbri a secco della cancelleria. Di essi, il primo, datato 26 settembre 2016, attesta l’avvenuto deposito dei documenti costituiti da “copia velina atto di appello e sentenza e produzione di primo grado”, mentre il secondo timbro, recante la data 20 ottobre 2016, attesta la produzione di “9 volumi più 2 faldoni”, ciò che evidenzia come in tale data fossero stati prodotti ulteriori documenti, tra i quali erano ricompresi anche gli atti di cessione del credito.

In punto di diritto, invece, i ricorrenti sottolineano come la dedotta violazione di legge sarebbe resa evidente dal fatto che la sentenza impugnata fa riferimento ad una serie di precedenti di questa Corte assolutamente non conferenti rispetto alla vicenda che occupa, avendo ciascuna di quelle pronunce riguardato casi in cui difettava addirittura l’allegazione (e non la prova) di una vicenda successoria riconducibile alla previsione di cui all’art. 111 c.p.c..

Nel caso in esame, invece, i ricorrenti deducono di avere specificamente allegato, nel proporre gravame contro la sentenza del primo giudice, la loro qualità di cessionari del credito vantato dalla società V. Costruzioni, sicché la Corte partenopea avrebbe dovuto fare applicazione dei principi enunciati dalle Sezioni Unìte di questa Corte nell’arresto con cui essa ha distinto tra legittimazione ad agire e resistere in giudizio e titolarità, dal lato attivo e passivo, del diritto controverso (e’ citata Cass. Sez. Un., sent. 16 febbraio 2016, n. 2591).

In particolare, il citato arresto chiarisce che, mentre la legittimazione ad agire difetta tutte le volte in cui dalla stessa prospettazione della domanda emerga che il diritto vantato in giudizio non appartiene all’attore, la titolarità della posizione giuridica soggettiva che rende la parte tale deve essere dalla stessa provata, prova che può ritenersi raggiunta, come appunto nel caso che occupa, anche il difetto di contestazione ad opera della controparte.

3.3. Il terzo motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), – denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 182 c.p.c., oltre a nullità della sentenza.

La sentenza della Corte territoriale, in questo caso, è censurata nella parte in cui ha ritenuto non applicabile l’art. 182 c.p.c., escludendo, così, la possibilità di concedere un termine per la sanatoria del vizio di costituzione, dal momento che la norma richiamata, invece, deve ritenersi applicabile – secondo i ricorrenti anche ai casi in cui la parte, nel costituirsi in giudizio, abbia mancato di fornire la prova della propria “legitimatio ad causam”.

3.4. Il quarto motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), – denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 77,101,112,115 e 359 c.p.c., nonché all’art. 2697 c.c. e agli artt. 24 e 111 Cost., oltre a nullità della sentenza.

In questo caso, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso di poter applicare il disposto dell’art. 101 c.p.c., comma 2, ovvero, più in particolare, ha ritenuto di poter rilevare in assenza di contraddittorio tra le parti, oltre che di eccezione di parte, il difetto legittimazione degli appellanti, trattandosi di questione di diritto.

Per contro, dalla giurisprudenza di questa Corte si ricaverebbe che non sussiste sentenza cd. “a sorpresa” solo allorché la pronuncia del giudice investa una questione di puro diritto, sicché quello commesso si risolve in un “error iuris in iudicando” o un “error in iudicando de iure procedendi”, mentre l’ipotesi della violazione del contraddittorio sussiste quando la pronuncia intervenga su una questione di fatto, alla quale, come chiarito, dovrebbe ricondursi quella relativa alla titolarità del diritto controverso, vale a dire quella rilevante nel caso che occupa.

4. Ha resistito, con controricorso, all’avversaria impugnazione il Comune di Napoli, chiedendone la declaratoria di inammissibilità, sotto plurimi profili, ovvero, in subordine, il rigetto.

5. Fissata la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c., è stata depositata memoria esclusivamente dai ricorrenti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

6. Il ricorso va accolto, nei limiti di seguito precisati.

6.1. Il secondo motivo, che presenta carattere assorbente, e’, infatti, fondato.

6.1.1. La Corte partenopea, per vero, non dando alcun rilievo alla mancata contestazione, da parte del Comune di Napoli, della qualità di cessionari del credito oggetto di causa in capo agli (allora) appellanti, ha disatteso la giurisprudenza di questa Corte in tema prova della qualità di successori a titolo particolare nel diritto controverso.

In base ad essa, infatti, il soggetto che eserciti il potere di impugnazione della sentenza, assumendo, appunto, di essere subentrato ex art. 111 c.p.c. nella titolarità del diritto controverso, è esonerato, appunto, dalla prova di tale sua qualità, in caso di mancata contestazione della stessa ad opera della controparte.

In tal senso, oltre alla giurisprudenza – anche a Sezioni Unite (cfr. Sez. Un., sent. 18 maggio 2006, n. 11650, Rv. 589427-01) formatasi in materia di vicende estintive/modificative che interessino una società, e che attribuisce rilievo alla non contestazione della qualità di successore nel diritto controverso della parte appellante, persino in caso in cui “taluno degli appellati sia rimasto contumace”, giacché “il giudice può ritenere accertata la successione anche nei confronti di quest’ultimo traendo a tal fine argomenti dalla mancata contestazione di essa da parte degli appellati costituiti” (Cass. Sez. 1, sent, 19 maggio 2020, n. 9137, Rv. 657762-01), va dato rilievo a quella specifica riguardante la cessione di crediti (Cass. Sez. 6-1, ord. 5 novembre 2020, n. 24798, Rv. 659464-01; Cass. Sez. 1, sent. 2 marzo 2016, n. 4116, Rv. 638861-01).

Di qui, allora, la necessità dell’accoglimento del presente motivo di ricorso, con assorbimento di tutti gli altri, cui segue la cassazione, in relazione, della sentenza impugnata e il rinvio alla Corte di Appello di Napoli, in diversa composizione, per la decisione nel merito essendo necessari accertamenti di fatti, preclusi a questa Corte – e sulle spese anche del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso e dichiara assorbiti gli altri, cassando in relazione la sentenza impugnata e rinviando alla Corte di Appello di Napoli, in diversa composizione, per la decisione nel merito e sulle spese anche del presente giudizio.

Così deciso in Roma, all’esito di adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 23 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2021

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