Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21179 del 08/08/2019

Cassazione civile sez. II, 08/08/2019, (ud. 08/04/2019, dep. 08/08/2019), n.21179

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15558-2015 proposto da:

BUNDER & CO. S.A.S., rappresentata e difesa dall’Avvocato ROBERTO

CARBONE ed elettivamente domiciliata a Roma, piazza Adriana 15,

presso lo studio dell’Avvocato GIANLUCA FERA, per procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

FARID INDUSTRIE S.P.A., rappresentata e difesa dall’Avvocato

PIERFILIPPO BARTOLONI SAINT OMER e dell’Avvocato ANGELO VALLEFUOCO,

presso il cui studio a Roma, viale Regina Margherita 294,

elettivamente domicilia, per procura speciale a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1204/2014 della CORTE D’APPELLO DI TORINO,

depositata il 11/6/2014;

udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale

dell’8/4/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La s.a.s. Bunder & Co. ha proposto opposizione al decreto con il quale, nel 2008, il Tribunale di Torino le aveva ingiunto il pagamento, in favore della s.p.a. Farid Industrie, della somma di Euro 55.187,04, oltre interessi e spese, quale residuo corrispettivo dovuto per i servizi di manutenzione svolti dalla ricorrente. L’opponente ha, in sostanza, dedotto di non essere debitrice per la somma oggetto dell’ingiunzione in ragione della mancata verificazione della condizione sospensiva, costituita dal collaudo, da parte della stazione appaltante AMIU s.p.a., dei mezzi oggetto della manutenzione.

La s.p.a. Farid Industrie si è costituita in giudizio, chiedendo il rigetto dell’opposizione e la conferma del decreto ingiuntivo opposto o, in subordine, la condanna dell’attrice al pagamento della minor somma di Euro 24.645,17.

Il tribunale, con sentenza del 31/3/2011, ha respinto l’opposizione.

La s.a.s. Bunder ha proposto appello avverso tale sentenza, chiedendone la riforma ed insistendo per la revoca del decreto ingiuntivo opposto.

La società appellata ha resistito al gravame, chiedendone il rigetto.

La corte d’appello, con la sentenza impugnata, ha ritenuto che i motivi sollevati dalla società appellante erano infondati ed ha, quindi, rigettato il gravame proposto.

La corte, in particolare, per quanto ancora rileva, ha ritenuto che non era stata fornita la prova, nè in primo grado, nè in sede d’impugnazione, della pretesa pattuizione della condizione sospensiva, costituita dal collaudo da parte della stazione appaltante dei mezzi oggetto dei servizi di manutenzione svolti dalla società appellata, e che non poteva ritenersi rilevante, a tal proposito, il fatto che l’appellata avesse trasmesso le proprie coordinate bancarie alla controparte, poichè tale circostanza non costituisce un’accettazione certa ed esplicita di quanto indicato, peraltro genericamente, nel fax del 20/12/2005, inviato dall’appellante.

La s.a.s. Bunder & Co. con ricorso notificato il 16/6/2015, ha chiesto, per due motivi, la cassazione della sentenza della corte d’appello, dichiaratamente non notificata.

La Farid Industrie s.p.a. ha resistito con controricorso notificato in data 10/8/2015.

La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, la società ricorrente, lamentando l’omessa pronuncia su un motivo d’appello, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 112 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello non ha esaminato nè si è pronunciata sul motivo con il quale la stessa, con l’atto d’appello, aveva censurato la sentenza del tribunale per aver erroneamente deciso circa la prova del credito ed erroneamente applicato il principio inadimplenti non est adimplendum. L’opponente, infatti, con il motivo rubricato con il n. 3), aveva dedotto: – per un verso, che la sentenza appellata, per giustificare la spettanza dell’intero corrispettivo, aveva fatto applicazione delle norme in materia di eccezione di inadempimento (art. 1460 c.c.) e di responsabilità del debitore (art. 1218 c.c.), laddove, in realtà, come emerge dagli atti del giudizio di primo grado, la società opposta non risulta aver mai proposto una domanda di risoluzione nè formulato una richiesta di risarcimento nè ha proposto l’eccezione di inadempimento, la quale non è rilevabile d’ufficio, ed è, in ogni caso, ingiustificata e contraria a buona fede, a fronte della pattuizione di termini diversi per i rispettivi adempimenti delle parti, posto che l’appellata, attraverso la manutenzione dei macchinari, avrebbe dovuto adempiere prima dell’appellante; – e, per altro verso, che il tribunale aveva erroneamente ritenuto infondata la difesa, svolta dalla deducente sin dall’atto d’opposizione, di non dover corrispondere l’importo pattuito in ragione della parziale esecuzione della prestazione da parte dell’appellata.

2. Con il secondo motivo, la società ricorrente,

lamentando la violazione e la falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 1460 c.c. ed ai principi generali in tema di contratti a prestazioni corrispettive e di adempimento delle obbligazioni, dopo aver premesso che: – la s.p.a. Farid ha incontestatamente svolto la manutenzione dei mezzi venduti alla Bunder s.a.s. per un tempo massimo di 489 giorni, laddove nel contratto di affidamento del servizio di manutenzione da parte della Bunder a Farid è inserita la clausola che prevede lo svolgimento del servizio di manutenzione “Full service”, sia per i tre mezzi attrezzati da Farid, che per la lava cassonetti, per la durata di 36 mesi; – la s.p.a. Farid non ha offerto, nè in via giudiziale, nè in via stragiudiziale, il completamento della propria prestazione; – la s.p.a. Farid, quale attore in senso sostanziale, ha proposto, con il ricorso per decreto ingiuntivo, una domanda di adempimento dell’obbligazione di pagamento a carico della Bunder s.a.s.; ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello l’ha condannata a pagare l’intera prestazione pattuita, in tal modo violando il principio generale che disciplina la condanna all’adempimento in materia di contratto a prestazioni corrispettive, pur se ad esecuzione continuata o periodica, secondo il quale la parte che chiede in giudizio l’esecuzione della prestazione a lui dovuta non dev’essere, a sua volta, inadempiente. Ne consegue, ha aggiunto la ricorrente, che l’appaltatore, ove agisca in giudizio per il pagamento del corrispettivo convenuto, ha l’onere di provare, quale fatto costitutivo del proprio credito, di aver adempiuto alla propria obbligazione in maniera conforme alle prescrizioni contrattuali ovvero di offrire il completamento della prestazione. Nel caso di specie, quindi, ha concluso la ricorrente, emergendo ex actis l’adempimento solo parziale delle prestazioni da parte della Farid, quest’ultima poteva al più pretendere il pagamento delle prestazioni effettuate ma non dell’intero corrispettivo, vale a dire quello relativo alla parte di manutenzione mai eseguita.

3. Il primo motivo è fondato con assorbimento del secondo. Gli atti del giudizio di merito, per come incontestatamente riprodotti in ricorso (p. 6-9), dimostrano, in effetti, che: – innanzitutto, il tribunale di Torino, con la sentenza poi appellata, ha rigettato l’opposizione al decreto ingiuntivo proposta dalla Bunder s.a.s. sul rilievo che il mancato pagamento a distanza di quasi un anno e mezzo dalla consegna dei mezzi senza che fosse stato contestato alcun inadempimento rispetto alla prestazione di manutenzione pattuita, giustificava la decisione della Farid di sospendere la manutenzione stessa e che tale decisione, non integrando un inadempimento colpevole, non legittimava la pretesa della società appellante “di corrispondere solo in parte l’importo pattuito… che per tale motivo deve essere corrisposto nella sua interezza…”; – in secondo luogo, la società appellante, con il motivo contrassegnato dal n. 3, ha espressamente censurato, con l’atto d’appello, tale decisione deducendo: per un verso, che la sentenza impugnata, per giustificare la spettanza dell’intero corrispettivo, aveva fatto applicazione delle norme in materia di eccezione di inadempimento (art. 1460 c.c.) e di responsabilità del debitore (art. 1218 c.c.), laddove, in realtà, come emergeva dagli atti del giudizio di primo grado, la società opposta non risultava aver mai proposto una domanda di risoluzione nè formulato una richiesta di risarcimento, nè aveva proposto l’eccezione di inadempimento, che non è rilevabile d’ufficio ed è, in ogni caso, ingiustificata e contraria a buona fede, a fronte della pattuizione di termini diversi per i relativi adempimenti; e, per altro verso, che il tribunale aveva erroneamente ritenuto illegittima la pretesa della deducente di non corrispondere l’importo pattuito in ragione della parziale esecuzione della prestazione da parte dell’appellata. La sentenza impugnata, dal suo canto, dopo aver dichiarato l’infondatezza, nel merito, dei motivi d’appello sollevati dall’appellante, si è, poi, limitata ad affermare che non era stata fornita la prova, nè in primo grado, nè in sede d’impugnazione, della pretesa pattuizione della condizione sospensiva, costituita dal collaudo da parte della stazione appaltante dei mezzi oggetto dei servizi di manutenzione svolti dalla società appellata, e che, a tal proposito, non poteva ritenersi rilevante il fatto che l’appellata avesse trasmesso le proprie coordinate bancarie alla controparte, poichè tale circostanza non costituisce un’accettazione certa ed esplicita di quanto indicato nel fax inviato dall’appellante il 20/12/2005: in tal modo omettendo, anche solo implicitamente, di pronunciarsi sul motivo d’appello, come sopra esposto, con il quale, in effetti, la società appellante aveva contestato la sentenza del tribunale (anche) per ciò che lo stesso aveva deciso in ordine al quantum della pretesa azionata. Ed è, invece, noto che la decisione del giudice di secondo grado che non esamini e non decida un motivo di censura della sentenza del giudice di primo grado è impugnabile per cassazione (Cass. n. 12952 del 2007) poichè l’omessa pronuncia su un motivo di appello integra la violazione dell’art. 112 c.p.c. (Cass. n. 6835 del 2017).

4. Il ricorso, quindi, nei limiti indicati, dev’essere accolto, e la sentenza impugnata, per l’effetto, cassata, con rinvio, per un nuovo esame, ad altra sezione della corte d’appello di Torino, anche ai fini delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

la Corte così provvede: accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio, per un nuovo esame, ad altra sezione della corte d’appello di Torino, anche ai fini delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 8 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 agosto 2019

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