Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21177 del 08/08/2019

Cassazione civile sez. II, 08/08/2019, (ud. 05/04/2019, dep. 08/08/2019), n.21177

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20758-2015 proposto da:

D.F., rappresentato e difeso dall’Avvocato BRUNO

CIARMOLI, ed elettivamente domiciliati presso lo studio del Dott.

Ferdinando Montaldi in ROMA, VIA LICIO GIORGIERI 82;

– ricorrente –

contro

ESPROSTUDIO s.r.l., in persona del legale rappresentante

C.M., rappresentata e difesa dall’Avvocato GIANNI CERISANO, ed

elettivamente domiciliati presso lo studio Placidi in ROMA, VIA

COSSERIA 2;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 971/2014 della CORTE di APPELLO di BARI,

pubblicata il 20/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

5/04/2019 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione, notificato in data 31.3.2003, D.F., quale titolare dell’omonima impresa edile premesso che il Tribunale di Foggia aveva declinato la propria competenza, in ordine alla controversia insorta con la ESPROSTUDIO s.r.l. avente a oggetto il corrispettivo di un contratto d’appalto, in favore di apposito collegio arbitrale stante la previsione in contratto di una clausola compromissoria (richiamata per relationem) e che l’Esprostudio s.r.l., a cui l’attore aveva notificato la nomina del proprio arbitro, aveva omesso di nominare, a sua volta, quello di sua fiducia nel termine di legge – conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Foggia la suddetta società per sentire condannare la convenuta: al pagamento della somma di Euro 43.429,81, quale residuo corrispettivo del prezzo per i lavori effettuati in favore della committente presso il complesso edilizio sito in (OMISSIS), nonchè al risarcimento dei danni, oltre interessi e danno da svalutazione monetaria; al risarcimento dei danni subiti dall’attore in conseguenza del ritardato pagamento, oltre interessi e danno da svalutazione monetaria; al risarcimento dei danni subiti dall’istante in conseguenza del comportamento tenuto dalla convenuta relativamente alla mancata costituzione del collegio e instaurazione del procedimento arbitrale, da quantificare in corso di causa; ed alle spese di lite.

Si costituiva in giudizio l’Esprostudio s.r.l., eccependo l’inammissibilità della domanda e assumendo che l’attore avrebbe dovuto rivolgersi al Tribunale per ottenere la nomina del secondo arbitro di fronte all’inerzia dell’avente diritto; nel merito chiedeva di rigettare le domande avverse perchè infondate in fatto e in diritto, affermando l’insussistenza del credito alla luce dei pagamenti già effettuati e delle inesattezze riportate nella “contabilità lavori”; con vittoria di spese di lite.

Con sentenza n. 560/2006, depositata in data 29.3.2006, il Tribunale di Foggia dichiarava risolta, per inadempimento di entrambe le parti, la clausola compromissoria inserita (per relationem) nel contratto d’appalto stipulato dalle parti; rigettava la domanda di risarcimento proposta dall’attore per i danni subiti a causa dell’inadempimento della convenuta agli obblighi imposti dalla legge per la nomina del collegio arbitrale; rimetteva, con separata ordinanza, la causa sul ruolo per l’espletamento della fase istruttoria; spese al definitivo.

Istruita la causa, con sentenza n. 1726/2008, depositata in data 22.10.2208, il Tribunale di Foggia accoglieva la domanda e, per l’effetto, condannava l’Esprostudio s.r.l. al pagamento della somma complessiva di Euro 84.887,55, oltre interessi legali, ed al pagamento delle spese di lite.

Contro detta sentenza proponeva appello l’Esprostudio s.r.l. chiedendo di annullare sia la sentenza non definitiva n. 560/2006 sia quella definitiva n. 1726/2008 e, per l’effetto, dichiarare inammissibile la domanda attorea data la competenza arbitrale a conoscere la questione; ed in via subordinata di dichiarare infondata la domanda e condannare l’appellato alle spese di lite del doppio grado.

Si costituiva l’attore chiedendo il rigetto dell’appello.

Con sentenza n. 971/2014, depositata in data 20.6.2014, la Corte d’Appello di Bari accoglieva l’appello e, per l’effetto, annullava le sentenze appellate e dichiarava l’inammissibilità della domanda proposta dal D., condannandolo alle spese di lite del doppio grado di giudizio. In particolare, rilevava che, con sentenza n. 1942/2001, il Tribunale di Foggia dichiarava il difetto di competenza del Giudice adito per essere la controversia devoluta alla cognizione di un Collegio arbitrale e che tale sentenza non essendo stata impugnata passava in giudicato.

Avverso la sentenza d’appello propone ricorso per cassazione D.F. sulla base di tre motivi, illustrati da memoria; resiste la Esprostudio s.r.l. con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la “Nullità della sentenza e/o del procedimento (art. 360 c.p.c., n. 4) per violazione degli artt. 277,279 E 340 c.p.c. e art. 129 disp. att. c.p.c.”, là dove la Corte d’Appello avrebbe disatteso erroneamente l’eccezione di inammissibilità dell’appello proposto nei confronti della sentenza n. 560/2006, ritenendola non definitiva, in quanto limitava la decisione ad alcune delle questioni proposte, disponendo per altre questioni i mezzi istruttori e rimandando la pronuncia definitiva (con la suddetta sentenza il Tribunale di Foggia aveva deciso sulla domanda di risoluzione per inadempimento della clausola compromissoria, nonchè su quella di risarcimento dei danni a causa dell’inadempimento dell’Esprostudio s.r.l. agli obblighi imposti dalla legge per la nomina del Collegio arbitrale). Il ricorrente richiama la giurisprudenza di legittimità che si divide in due orientamenti: uno formalista che ritiene necessario un provvedimento di separazione per potersi avere sentenza definitiva ma parziale, con decisività del provvedimento sulle spese (Cass. sez. un. 1577 del 1990; comf. Cass. n. 28467 del 2013; Cass. n. 3537 del 1996); e l’altro sostanzialista, secondo il quale la definitività va verificata con riferimento al solo contenuto della sentenza, sussistendo ove la pronuncia attribuisca o neghi il bene della vita in contestazione (Cass. n. 9448 del 1995; Cass. n. 5703/1993). Ritenuta “insoddisfacente” la soluzione formalista, il ricorrente rileva che è definitiva (secondo i criteri deducibili dagli atti del processo e, comunque, indicati dalla disciplina positiva), la sentenza che, per valutazioni oggettive di economia processuale o per concorde richiesta di tutte le parti, abbia deciso alcune soltanto delle domande; essendo viceversa non definitiva, e quindi riservabile, la sentenza che abbia deciso alcune soltanto delle domande, in funzione dell’interesse apprezzabile di una sola parte. Poichè il Tribunale di Foggia, nel decidere sulla domanda di risarcimento del danno da inadempimento della clausola compromissoria, aveva compiuto una valutazione di oggettiva economia processuale e ritenuto rispondente al criterio dell’art. 277 c.p.c., comma 2, la definizione della questione relativa all’operatività della clausola compromissoria, dalla quale dipendeva il riconoscimento o meno del suo potere di decidere la controversia, la sentenza n. 560/2006 del Tribunale di Foggia doveva ritenersi parziale, emessa ai sensi dell’art. 277 c.p.c., e avrebbe dovuto essere impugnata negli ordinari termini di legge.

1.1. – Il motivo non è fondato.

1.2. – La Corte di merito sottolinea come costituisca principio consolidato che, ai fini della proponibilità del gravame differito, sono da considerare sentenze non definitive non solo quelle che non contengono pronunce definitive, ma anche le altre che, in caso di pluralità di domande o questioni, non definiscono l’intera controversia, ma limitano la decisione ad alcune soltanto delle questioni proposte, o ad alcuno dei capi autonomi di domanda e dispongono invece, per altre questioni o per gli altri capi, dei mezzi istruttori, rimandando la pronuncia definitiva (v. sentenza impugnata pagina 4).

Questa Corte ha ripetutamente affermato (conformemente ai consolidati che questo Collegio fa integralmente propri) che “in tema di impugnazioni, nella ipotesi di cumulo di domande tra gli stessi soggetti, è da considerarsi non definitiva, agli effetti della riserva di impugnazione differita, la sentenza con la quale il giudice si pronunci su una (o più) di dette domande con prosecuzione del procedimento per le altre, senza disporre la separazione ex art. 279 c.p.c., comma 2, n. 5, e senza provvedere sulle spese in ordine alla domanda (o alle domande) così decise, rinviandone la relativa liquidazione all’ulteriore corso del giudizio” (Cass. sez. un. 711 del 1999; conf. ex plurimis Cass. n. 28467 del 2013; Cass. n. 22440 del 2010; Cass. n. 1200 del 2003; Cass. n. 5443 del 2002; nonchè Cass. n. 9441 del 2011, secondo cui tale criterio formale di identificazione è applicabile anche per le pronunce declinatorie della giurisdizione, poichè vale a fondare l’affidamento della parte nella possibilità che, ricorrendo tali condizioni, la sentenza sia suscettibile di riserva di impugnazione differita).

Orbene, nella specie, dallo stesso svolgimento dei fatti della sentenza de qua si evince che “Con sentenza n. 560/2006, depositata in data 29.3.2006, il Tribunale di Foggia dichiarava risolta, per inadempimento di entrambe le parti, la clausola compromissoria inserita (per relationem) nel contratto d’appalto stipulato dalle parti; rigettava la domanda di risarcimento proposta dall’attore per i danni subiti a causa dell’inadempimento della convenuta agli obblighi imposti dalla legge per la nomina del collegio arbitrale; rimetteva, con separata ordinanza, la causa sul ruolo per l’espletamento della fase istruttoria; spese al definitivo” (v. sentenza impugnata pagina 2). E risulta, altresì, che la causa veniva successivamente istruita con prove testimoniali, e con deferimento dell’interrogatorio formale al legale rappresentante della società convenuta.

Sicchè, va ritenuto che, in coerenza con i suddetti principi, la Corte di merito abbia correttamente affermato la natura non definitiva della sentenza del Tribunale di Foggia n. 560/2006, ed in ragione di ciò la tempestività della sua impugnazione.

2. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la “Nullità della sentenza e/o del procedimento (art. 360 c.p.c., n. 4) per violazione dell’art. 2909 c.c. – contrarietà a Corte Costituzionale n. 223/2013; violazione delle norme sulla competenza (art. 360 c.p.c., n. 2)”, poichè erroneamente la sentenza impugnata accoglie l’appello proposto dall’Esprostudio s.r.l., ritenendo che la sentenza n. 1942/2001 del Tribunale di Foggia (con cui il Giudice aveva declinava la propria competenza a favore degli arbitri), avrebbe dovuto considerarsi sentenza di merito, non impugnata e quindi passata in giudicato. Secondo il ricorrente la sentenza della Corte distrettuale (oltre che contraddittoria) non ha tenuto conto della disciplina dei rapporti tra giurisdizione statale e arbitrato, inquadrabili oggi nell’ambito dei rapporti di competenza (D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 21), come tra l’altro affermato dalla Corte costituzionale (sent. n. 223 del 2013). Di conseguenza, nessuna efficacia di giudicato può riconoscersi alla sentenza del Tribunale di Foggia n. 1942/2001, in quanto le sentenze che statuiscono sulla competenza non sono suscettibili di passare in giudicato in senso sostanziale, poichè la decisione sulla questione di competenza, emessa dal Giudice di merito con sentenza non più impugnabile, dà luogo solo al giudicato formale, il quale si concreta nella preclusione alla riproposizione della questione davanti al Giudice dello stesso processo, ma non fa stato in un distinto giudizio promosso dalle stesse parti dinanzi a un Giudice diverso (laddove, peraltro, la sentenza impugnata sarebbe comunque viziata non avendo tenuto conto del fatto che tra la sentenza n. 1942/2001 e quella n. 560/2006 non c’è identità di oggetto; e che, dopo l’ipotetica formazione del giudicato sulla sentenza n. 1942/2001, sono sopravvenuti nuovi fatti, oggetto della valutazione compiuta dal Tribunale di Foggia con la sentenza n. 560/2006, quali il comportamento scorretto della società, che impediva l’attivazione della procedura di nomina del collegio arbitrale).

2.1. – Il motivo non è fondato.

2.2. – La Corte distrettuale sottolinea che, con sentenza 1942/2001, il Tribunale di Foggia, al quale era stata proposta dal D. la stessa domanda poi riproposta nel presente giudizio con l’atto di citazione notificato il 31.3.2003, “dichiarò il “difetto di competenza” del giudice adito per essere la controversia devoluta alla cognizione di un Collegio arbitrale” (sentenza impugnata pagina 5).

Ciò premesso la Corte richiama i principi largamente consolidati, secondo cui “nella giurisprudenza di legittimità (a partire dalla sentenza n. 527 del 2000 delle sezioni unite) è ormai pacifico il principio secondo cui, in materia di arbitrato, la questione conseguente all’eccezione di arbitrato rituale o irrituale sollevata innanzi al giudice ordinario adito nonostante che la controversia fosse stata deferita ad arbitri (…) attiene al merito e non alla giurisdizione o alla competenza in quanto i rapporti tra giudici ed arbitri non si pongono sul piano della ripartizione del potere giurisdizionale tra giudici, ed il valore della clausola compromissoria consiste proprio nella rinuncia alla giurisdizione ed all’azione giudiziaria; ne deriva che, ancorchè formulata nei termini di decisione di accoglimento o rigetto di un’eccezione d’incompetenza, la decisione con cui il giudice, in presenza di un’eccezione di compromesso, risolvendo la questione così posta, chiude o non chiude il processo davanti a sè va riguardata come decisione pronunziata su questione preliminare di merito perchè inerente alla validità o all’interpretazione del compromesso o della clausola compromissoria” (Cass. n. 24681 del 2006, che richiama Cass. n. 11315 del 2005; Cass. n. 14234 del 2004; Cass. n. 19865 del 2003; Cass. n. 14223 del 2003; Cass. n. 12855 del 2003; e che a sua volta è richiamata da Cass. n. 15445 del 2007).

L’affermazione della peculiare natura ed effetti della questione conseguente all’eccezione di arbitrato rituale o irrituale sollevata innanzi al giudice ordinario adito nonostante la controversia fosse stata deferita ad arbitri, rende inconferente rispetto alla fattispecie, il richiamo operato dal ricorrente sia al diverso atteggiarsi delle pronunce che statuiscono sulla competenza, che non sono suscettibili di passare in giudicato in senso sostanziale, poichè la decisione sulla questione di competenza, emessa dal Giudice di merito con sentenza non più impugnabile, dà luogo solo al giudicato formale, il quale si concreta nella preclusione alla riproposizione della questione davanti al Giudice dello stesso processo, ma non fa stato in un distinto giudizio promosso dalle stesse parti dinanzi a un Giudice diverso (Cass. n. 26178 del 2017; Cass. n. 3291 del 2013; Cass. n. 17248 del 2003); sia alla valenza della pronuncia della Corte costituzionale (sent. n. 223 del 2013, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 819-ter c.p.c., comma 2, nella parte in cui esclude l’applicabilità, ai rapporti tra arbitrato e processo, di regole corrispondenti alle previsioni dell’art. 50 c.p.c., ferma la parte restante dello stesso art. 819-ter) afferente al tutt’affatto diverso tema della conservazione degli effetti sostanziali e processuali della domanda nel caso in cui la parte erri nell’individuazione del giudice munito della giurisdizione (v. altresì Cass. n. 22002 del 2003, richiamata in sentenza a pagine 5 e 6).

2.3. – Ne consegue la correttezza dell’assunto della Corte di merito, per la quale “la decisione con cui il giudice, in presenza di una eccezione di compromesso, risolvendo la questione così posta chiude o non chiude il processo davanti a sè, va riguardata come decisione pronunciata su questione preliminare di merito, impugnabile con l’appello”. Sicchè “nel caso in cui non viene proposto appello, come nel caso di specie, si forma il giudicato” (sentenza impugnata, pagina 5).

3. – Con il terzo motivo, il ricorrente eccepisce la “Nullità della sentenza e/o del procedimento (art. 360 c.p.c., n. 4) per violazione degli artt. 808 e 810 c.p.c. – violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) per violazione degli artt. 1372 e 1453 c.c.”, in quanto la sentenza impugnata sarebbe viziata per aver dichiarato inammissibile la domanda proposta dal D. davanti al Tribunale di Foggia, avendo ritenuto che con l’atto di nomina dell’arbitro e contestuale invito alla controparte, notificato in data 9.1.2003, si fosse instaurato il procedimento arbitrale. Il ricorrente lamenta contraddittorietà della sentenza che, da un lato, escludeva che la sentenza n. 1942/2001 fosse una sentenza declinatoria della competenza (considerandola di merito), dall’altro, però, qualificava come riassunzione l’atto di nomina di arbitro da parte del ricorrente. Altre “sviste” attribuite alla Corte di merito sono quelle di avere considerato pendente il procedimento arbitrale dalla notifica dell’atto di nomina di arbitro e contestuale invito alla controparte, notificato in data 9.1.2003; nonchè quello di ritenere che l’attore avrebbe dovuto seguire la procedura di cui all’art. 810 c.p.c., comma 2, chiedendo con ricorso che la nomina dell’arbitro fosse fatta dal Presidente del Tribunale. Inoltre, il ricorrente rileva come la clausola compromissoria ben possa sciogliersi per mutuo consenso oppure per recesso unilaterale, quando vi sia una giusta causa. Nella fattispecie, la condotta dell’Esprostudio, oltre a mettere in difficoltà il D., che subiva un considerevole ritardo per ottenere giustizia, lo poneva dinanzi all’alternativa tra l’attivazione del procedimento ex art. 810 c.c., comma 2 e la proposizione della domanda giudiziale davanti all’AGO, affinchè fosse accertato l’inadempimento della committente. Il ricorrente sceglieva quest’ultima possibilità dopo aver preso atto dell’atteggiamento ostruzionistico della società Esprostudio in ordine alla valida costituzione del Collegio arbitrale.

3.1. – Il motivo non è fondato.

3.2. – Correttamente, la Corte distrettuale ha rilevato che il D. ritualmente ebbe a riassumere il giudizio attivando la procedura arbitrale con “atto di nomina di arbitro e contestuale invito alla controparte”, notificato alla Esprostudio in data 9.1.2003. Ed altrettanto correttamente ha affermato che “a seguito di detta notifica si instaurò il procedimento arbitrale”; ciò in coerenza con principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui “All’esito delle modifiche (applicabili alla fattispecie ratione temporis: v. Cass. n. 15445 del 2012) introdotte dalla L. n. 25 del 1994 al procedimento arbitrale in particolare, con l’art. 1 (introduttivo dell’art. 669 octies c.p.c.), art. 25 (sostitutivo dell’art. 2943 c.c., comma 4, ed additivo dell’art. 2945, comma 4) e art. 26 (additivo di un capoverso agli artt. 2652,2653,2690 e 2691 c.c.) – deve ritenersi che tale procedimento si instauri con la notificazione della domanda di accesso all’arbitrato, e non anche con la costituzione del collegio arbitrale, con la conseguenza che, determinatosi l’effetto della pendenza del giudizio con la detta notifica, il giudizio si radica fin da tale momento tra i soggetti sottoscrittori della clausola compromissoria (Cass. n. 5457 del 2003; conf. Cass. n. 18116 del 2003; Cass. n. 10922 del 2002).

Pertanto, si conviene con la Corte di merito che anche sotto tale profilo (oltre che sulla analizzata formazione del giudicato circa la devoluzione della controversia alla cognizione di un Collegio arbitrale, in quanto tale intangibile da sopravvenute pronunce di incostituzionalità) risulta inammissibile la riproposizione della domanda davanti al Tribunale di Foggia, giacchè, “di fronte all’asserita inerzia della controparte, o della asserita illegittimità della nomina del proprio arbitro, l’attore avrebbe dovuto seguire la procedura di cui all’art. 810 c.p.c., comma 2 chiedendo mediante ricorso che la nomina fosse fatta dal presidente del tribunale” (sentenza impugnata pagina 6).

La affermazione della legittimità anche di tale ratio decidendi rende superflua l’analisi degli ulteriori profili di censura prospettati nel motivo, che peraltro si risolvono, in sostanza, nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso del procedimento, così mostrando i ricorrenti di anelare ad una impropria trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi e per ciò censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata (Cass. n. 5939 del 2018).

4. – Il ricorso va dunque rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa altresì la dichiarazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 4.300,00 di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 agosto 2019

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