Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21175 del 23/07/2021

Cassazione civile sez. lav., 23/07/2021, (ud. 10/03/2021, dep. 23/07/2021), n.21175

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 34620-2018 proposto da:

AZIENDA SANITARIA LOCALE N. (OMISSIS) (A.S.L.) di PESCARA,

domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA DELLA CORTE

SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato CARLA

MUNDO;

– ricorrente –

contro

A.A., + ALTRI OMESSI, tutti domiciliati in ROMA PIAZZA

CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dall’avvocato GIUSEPPE CANNATI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 404/2018 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 07/06/2018 R.G.N. 453/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/03/2021 dal Consigliere Dott. AMELIA TORRICE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE GIOVANNI, che ha concluso per accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato CARLA MUNDO;

udito l’Avvocato GIUSEPPE CANNATI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Gli odierni controricorrenti, medici di base in regime di convenzione con il servizio Sanitario Nazionale, avevano convenuto in giudizio, innanzi al Tribunale di Pescara, la ASL di Pescara per chiedere l’accertamento dell’inadempimento di quest’ultima, compendiatosi nella riduzione dei compensi dovuti a titolo di indennità per visite per appuntamento, di cui all’art. 21 dell’Accordo Integrativo Regionale (anche A.I.R, di seguito), concernente la disciplina dei rapporti tra i medici di medicina generale e il SSN, nonché per quota parte, per nuclei per le cure primarie in rete, gruppo ed indennità prevista dall’art. 5 p. 7 A, B, C, e D, del medesimo AIR e la condanna della medesima ASL al pagamento delle correlate differenze retributive.

2. Il Tribunale di Pescara rigettò le domande. La Corte di Appello di L’Aquila, adita dagli odierni controricorrenti, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato il diritto di questi ultimi a percepire i compensi domandati nella misura prevista dall’A.I.R. ed ha condannato la ASL di Pescara al pagamento delle differenze tra le somme dovute e quelle erogate per i titoli azionati in giudizio.

3. La Corte territoriale ha evidenziato che l’operato dell’Azienda non poteva essere ritenuto legittimo solo perché finalizzato a salvaguardare l’equilibrio tra i livelli assistenziali e la disponibilità finanziaria, atteso che, se la fissazione dei limiti di spesa costituisce atto discrezionale di pianificazione autoritativa, non altrettanto può dirsi con riferimento alle modalità concrete di realizzazione dell’obiettivo, allorquando queste comportino modifiche ed integrazioni di disposizioni contrattuali, che non possono essere unilateralmente attuate dall’amministrazione pubblica, vincolatasi al loro rispetto.

4. Ha osservato, al riguardo, che la Delib. della G.R. Abruzzo n. 592/2008, nel fissare alle ASL i tetti di spesa, aveva dettato le linee guida alle quali le Aziende avrebbero dovuto attenersi ed aveva precisato che la riduzione doveva essere attuata attraverso la riapertura dei tavoli di concertazione, in attuazione di un principio generale quale è quello della vincolatività dei contratti collettivi.

5. Avverso questa sentenza la Azienda Sanitaria Locale n. (OMISSIS) – A.S.L.- di Pescara ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, al quale A.A. e gli altri litisconsorti indicati nell’epigrafe di questa sentenza, hanno resistito con controricorso.

6. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

7. La Procura Generale ha concluso, D.L. n. 137 del 2020, ex art. 23, comma 8 bis, convertito dalla L. n. 176 del 2020, per l’accoglimento del ricorso. Le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

8. Le prospettazioni difensive e le conclusioni della Procura Generale sono state ulteriormente illustrate nel corso della discussione orale, richiesta dal difensore della A.S.L.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Sintesi dei motivi.

La ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3:

9. con il primo motivo, violazione o falsa applicazione degli artt. 1362 c.c. e ss. in tema di interpretazione dei contratti applicabili agli atti e provvedimenti amministrativi;

violazione o falsa applicazione delle regole ermeneutiche di cui agli artt. 1362 c.c. e ss., nella misura in cui impongono di ricostruire la volontà dell’amministrazione;

10. sostiene che i criteri ermeneutici previsti dall’art. 1362 c.c. si applicano agli atti amministrativi e anche agli atti normativi a contenuto generale, quale doveva ritenersi la Delib. della Giunta Regionale Abruzzo n. 592 del 2008, e che, nell’interpretazione dell’atto amministrativo, occorre avere riguardo non solo al tenore letterale ma anche alla effettiva volontà dell’amministrazione e al potere concretamente esercitato;

11. imputa alla corte territoriale di avere compiuto plurime violazioni dei criteri ermeneutici, laddove ha affermato che la concertazione e la riapertura dei tavoli di negoziazione costituiva presupposto indispensabile per potere operare la riduzione di spesa;

12. asserisce che la Delib. mirava a procedere immediatamente alla riduzione degli oneri finanziari, riduzione strettamente funzionale alle indilazionabili esigenze di risanamento e che, di contro, la riapertura dei tavoli di negoziazione e la rinegoziazione degli Accordi Integrativi Regionali attiene ad un momento successivo, al fine di consentire, in futuro, l’adeguamento degli accordi integrativi alle nuove esigenze finanziarie;

13. assume che tanto è desumibile: dalla urgenza della riduzione degli oneri economici che derivava dalla “presa d’atto” che il Piano di risanamento concordato con lo Stato prevedeva (per la medicina di base da convenzione la spesa (Voce del Conto Economico 80221): anno 2007 di Euro 136.000.000; anno 2008 di Euro 138.000.000; anno 2009 di Euro 141.000.00; dal fatto che i conti economici consuntivi dell’esercizio finanziario 2007 mettevano in evidenza che le aziende sanitarie avevano sostenuto per la medicina convenzionata di base la spesa complessiva di Euro 150.786.000 (Voce del Conto Economico B 0221) contro quella prevista dal Piano di Risanamento di Euro 136.000.000; dalla espressione obbligo giuridico di garantire l’equilibrio economico finanziario del servizio sanitario regionale nonché delle proprie Aziende sanitarie locali; dal collegamento funzionale tra lo “sforamento” dei limiti economici imposti dal piano di risanamento e la necessità di intervenire per contenere i costi della medicina di base; dalla successione delle decisioni contenuta nella parte Deliberativa del provvedimento, che esprime una gerarchia interna al medesimo atto, dove vengono elencate prima le decisioni di immediata applicazione e, poi, quelle che possono essere adottate in un secondo momento;

14. in altri termini, la ricorrente sostiene che, in una situazione come quella descritta, connotata da inderogabili obiettivi di contenimento dei costi da realizzare in temi rapidi, non è plausibile subordinare l’operazione di risanamento alla lunghezza fisiologica di un processo negoziale, al quale le organizzazioni sindacali interessate si sarebbero opposte e che soltanto una lettura “acefala” della parte della Delib., in cui si fa cenno alla riapertura del tavolo di concertazione, conduce alla conclusione di vedere nella rinegoziazione una condizione indispensabile per poter procedere alla effettiva riduzione delle tariffe.

15. con il secondo motivo, violazione o falsa applicazione: della L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, commi 173, 174, 176, 178 e 180; dell’Accordo sottoscritto il 6 marzo 2007 tra la Regione Abruzzo, il Ministero della Salute e il Ministero dell’Economia e delle Finanze in esecuzione della L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 180,; della Delib. della Giunta Regionale della Regione Abruzzo del 13 marzo 2007, n. 224 (pubblicata sul BURA Regione Abruzzo del 23 marzo 2007) di approvazione dell’Accordo 6 marzo 2007 relativo al Piano di Rientro di Individuazione degli Interventi per il perseguimento dell’equilibrio economico ai sensi della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 180, e sempre in esecuzione di quanto previsto dalla legge indicata; della Delib. di Giunta Regionale 1 luglio 2008, n. 592 di attuazione di quanto previsto dalla L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 180, dell’Intesa Stato Regioni del 23 marzo 2005 (stipulata ai sensi della L. 5 giugno 2003, n. 131, art. 8, comma 6, in attuazione della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 173) e dell’Accordo tra Regione Abruzzo, il Ministero della Salute e il Ministero dell’Economia e delle Finanze in esecuzione della L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 180; della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 796, lett. b); del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 2; della L. n. 266 del 2005, art. 1, commi 278 e 281; delle Delibere del Commissario ad Acta della regione Abruzzo n. 7 del 2009, Delib. n. 22 del 2009, Delib. n. 47 del 2010, Delib. n. 69 del 2010, Delib. n. 27 del 2011 in esecuzione della legislazione in precedenza indicata finalizzata al risanamento finanziario delle spese sanitarie della Regione Abruzzo; delle Delibere di Direzione Generale della Azienda Sanitaria Locale di Pescara 28 agosto 2008, n. 948, Delib. 30 marzo 2009, n. 150, Delib. 10 luglio 2009, n. 542, Delib. 5 febbraio 2010, n. 133 in esecuzione della Delib. di Giunta Regionale n. 592 del 2008 e dei Decreti del Commissario ad Acta della Regione Abruzzo sopra indicati, in attuazione della legislazione in precedenza descritta e finalizzata al risanamento finanziario delle spese sanitarie della Regione Abruzzo; dei provvedimenti della ASL di Pescara n. 1552 del 4.11.2010, n. 145493U11 del 7.9.2011 e n. 17 000071009 del 18.01.2012, in esecuzione della Delib. del Commissario ad Acta della Regione Abruzzo n. 22/2009 del 2.4.2009, in attuazione della legislazione in precedenza citata e finalizzata al risanamento finanziario delle spese sanitarie della Regione Abruzzo;

16. sostiene che: la Corte costituzionale con numerose decisioni (oggetto di specifica menzione nel ricorso) ha sancito l’illegittimità costituzionale di varie disposizioni di leggi regionali relative a enti territoriali sottoposti a Commissariamento che si ponevano in contrasto con i Piani di rientro definiti dallo Stato; se vincoli così stringenti operano su un’attività legislativa a fondamento costituzionale, a maggior ragione essi si impongono anche agli Accordi Economici Collettivi di regolazione delle remunerazioni dei medici del servizio sanitario nazionale, i quali, pur espressione di autonomia privata, sono sottoposti ai limiti finanziari imposti dallo Stato; l’art. 39 Ciost. non si riferisce agli Accordi Economici Collettivi dei professionisti medici; l’autonomia sindacale è recessiva rispetto ai superiori interessi generali; l’accordo Stato Regioni e la Delib. n. 592 del 2008 hanno precisato che le azioni delle ASL devono assicurare l’erogazione dei livelli essenziali di assistenza, in primis contenendo gli istituti di minor impatto sull’utenza, ragione per la quale i tagli erano stati limitati agli istituti di minor impatto sull’utenza, cioè sulle quote variabili del salario accessorio per prestazioni rese volontariamente dai medici ma non sulla parte fissa per le prestazioni che i medici devono obbligatoriamente erogare ai loro assistiti;

17. invoca i principi affermati da questa Corte nelle sentenze n. 511 del 2007 e n. 723 del 2007 e dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 109 del 2017, nella parte in cui hanno affermato che, sia la definizione dei tetti di spesa, sia la loro attuazione, mediante riduzione delle somme spettanti ai soggetti privati coinvolti, sono sottratti alla contrattazione con le Organizzazioni Sindacali o con le persone interessate e devono essere applicati in modo unilaterale.

18. in sintesi, la ricorrente asserisce che le disposizioni richiamate in rubrica hanno imposto alle Regioni di perseguire l’obiettivo del contenimento della complessiva spesa sanitaria e dell’equilibrio economico nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza e che gli atti della cui legittimità si discute sono stati adottati nel pieno rispetto della legislazione statale perché le finalità perseguite dal legislatore sarebbero compromesse in radice qualora venissero riconosciuti ai medici convenzionati gli importi dagli stessi pretesi.

19. con il terzo motivo, violazione o falsa applicazione dell’art. 1355 c.c., applicabile anche ai provvedimenti amministrativi per apposizione di condizione sospensiva potestativa, nulla perché rimessa alla mera volontà delle Organizzazioni sindacali; assume che la Corte territoriale ha sottoposto l’attuazione della Delib. n. 592 del 2018 ad una condizione potestativa rimessa alla mera volontà dell’obbligato e richiama la giurisprudenza amministrativa in punto di applicabilità anche ai provvedimenti della P.A. dell’art. 1355 c.c.

Esame delle censure.

20. Il primo motivo è inammissibile.

21. In primo luogo, perché la censura non ha carattere decisivo. Ciò che è in discussione, infatti, come correttamente affermato dalla Corte territoriale, sono le modalità con le quali la ASL ha ritenuto di potere perseguire l’obiettivo fissato dalla Delib. della Regione Abruzzo n. 592 del 2008, concernente la fissazione dei tetti di spesa, Delib. che la Corte territoriale ha ritenuto espressione di poteri autoritativi discrezionali, non soggetti a interventi di natura pattizia (sentenza impugnata, p.4, terzo cpv.)

22. In secondo luogo, perché la ricorrente si è limitata a prospettare una lettura della Delib. regionale n. 592 del 1998 alternativa a quella data dalla Corte territoriale e a richiamare in via generica l’art. 1362 c.c. senza precisare quali criteri interpretativi la Corte territoriale ha violato.

23. Il secondo ed il terzo motivo, da trattare unitariamente, in ragione della loro connessione logica e giuridica, deve essere preceduto dalla sintetica ricostruzione del quadro normativo di specifico rilievo, che ricomprende sia la disciplina del rapporto convenzionale instaurato con il Servizio Sanitario Nazionale, sia gli interventi legislativi con i quali, nel settore della tutela della salute e della gestione del connesso servizio, il legislatore statale ha imposto vincoli alla spesa regionale al fine di contenere i disavanzi del settore sanitario e di assicurare l’equilibrio unitario della finanza pubblica (cfr. Corte Cost. n. 91/2012).

24. Sin dall’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale, risalente alla L. n. 833 del 1978, la disciplina del rapporto convenzionale con i medici di medicina generale ed i pediatri di libera scelta è stata configurata in termini di necessaria uniformità sull’intero territorio nazionale. L’art. 48 ha a tal fine previsto che le convenzioni debbano essere conformi agli accordi collettivi nazionali resi esecutivi con decreto del Presidente della Repubblica ed ha assicurato la necessaria conformazione agli stessi attraverso la previsione della nullità delle pattuizioni, individuali ed anche collettive, sottoscritte in contrasto con i richiamati accordi (commi 7 e 8).

25. Il D.Lgs. n. 502 del 1992 di riordino della disciplina in materia sanitaria ha ribadito, all’art. 8, il ruolo centrale dell’accordo collettivo, assegnando allo stesso il compito di definire, fra l’altro, “la struttura del compenso spettante al medico prevedendo una quota fissa per ciascun soggetto affidato, corrisposta su base annuale come corrispettivo delle funzioni previste in convenzione, e una quota variabile in funzione delle prestazioni e attività previste negli accordi di livello regionale” (lett. f della formulazione originaria).

26. La disposizione in commento è stata più volte modificata ed integrata dal legislatore e, a partire dal D.Lgs. n. 299 del 1999, la distinzione, contenuta nella lett. f), fra quota fissa e quota variabile è stata sostituita da quella inserita nella lett. d) che, oltre a distinguere il compenso fisso da quello variabile, opera un’ulteriore suddivisione fra la quota variabile connessa al raggiungimento di obiettivi e quella, parimenti variabile, legata da nesso di corrispettività a prestazioni, previste dagli accordi nazionali e regionali, funzionali allo sviluppo di specifici programmi adottati dalle aziende sanitarie locali (la riformulata lett. d) recita: ridefinire la struttura del compenso spettante al medico, prevedendo una quota fissa per ciascun soggetto iscritto alla sua lista, corrisposta su base annuale in rapporto alle funzioni definite in convenzione; una quota variabile in considerazione del raggiungimento degli obiettivi previsti dai programmi di attività e del rispetto dei conseguenti livelli di spesa programmati di cui alla lettera f); una quota variabile in considerazione dei compensi per le prestazioni e le attività previste negli accordi nazionali e regionali, in quanto funzionali allo sviluppo dei programmi di cui alla lettera f)…).

27. In tutte le versioni succedutesi nel tempo è rimasto pressoché immutato l’incipit della disposizione che, quanto al contenuto delle convenzioni, rinvia agli accordi collettivi nazionali da stipulare ai sensi della L. n. 412/1991, art. 4.

28. Detta norma, nella sua formulazione originaria, al comma 9 disciplinava la composizione della delegazione di parte pubblica per il rinnovo degli accordi riguardanti sia i dipendenti del comparto sanità sia il personale sanitario con rapporto convenzionale, e, quindi, equiparava già, quanto alle forme di contrattazione, quest’ultimo rapporto a quello di impiego pubblico.

29. Con l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 165 del 2001 la procedura è stata superata, per il personale del comparto sanità, da quella disciplinata dagli artt. 40 e seguenti stesso decreto, mentre per i rapporti convenzionali, sottratti all’abrogazione della L. n. 412 del 1991, art. 4, comma 9 disposta dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 72 il legislatore è intervenuto a modificare il testo originario e, con la L. n. 289 del 2002, art. 52, comma 27, ha istituito la struttura tecnica interregionale per la disciplina dei rapporti con il personale convenzionato, alla quale ha affidato il compito di rappresentare la parte pubblica in occasione dei rinnovi degli accordi collettivi.

30. Quanto alla procedura di contrattazione, lo stesso art. 52, pur affidandone la definizione all’accordo da adottare in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e di Bolzano, ha richiamato il D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. da 40 a 49 (ad eccezione degli artt. 43 e 45) riconoscendo, quindi, alla contrattazione collettiva il medesimo ruolo centrale che la stessa riveste nell’ambito dell’impiego pubblico contrattualizzato.

31. Questo ruolo centrale degli accordi collettivi è stato, poi, ribadito dal D.L. n. 81 del 2004, art. 2 nonies convertito dalla L. n. 138 del 2004, secondo cui “il contratto del personale sanitario a rapporto convenzionale è garantito sull’intero territorio nazionale da convenzioni conformi agli accordi collettivi nazionali stipulati mediante il procedimento di contrattazione collettiva definito con l’accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano previsto dalla L. 30 dicembre 1991, n. 412, art. 4, comma 9, e successive modificazioni. Tale accordo nazionale è reso esecutivo con intesa nella citata Conferenza permanente, di cui al D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281, art. 3”.

32. Attraverso il rinvio alla disciplina dettata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, il legislatore ha esteso al rapporto convenzionale il medesimo “equilibrato dosaggio di fonti regolatrici” (Corte Cost. nn. 313/1996 e 309/1997) che caratterizza l’impiego pubblico contrattualizzato, ed ha affidato la realizzazione dell’obiettivo della disciplina uniforme dei rapporti convenzionali alla “forte integrazione tra la normativa statale e la contrattazione collettiva nazionale, con una rigorosa delimitazione degli ambiti della contrattazione decentrata e con un limitato rinvio alla legislazione regionale per aspetti e materie ben definite” (Corte Cost. n. 157/2019 e Corte Cost. n. 186/2016).

33. Da ciò il giudice delle leggi ha tratto la conseguenza che, quanto ai limiti della potestà legislativa regionale, valgono i medesimi principi affermati per l’impiego pubblico e, pertanto, non è consentito alla legge regionale intervenire sulla fase esecutiva del rapporto in convenzione, ridisegnando i diritti ed i doveri delle parti relativamente alla percezione di compensi, perché all’adempimento delle obbligazioni, che rientra nell’ambito dell’ordinamento civile riservato al legislatore statale, si applicano gli istituti uniformi del diritto privato (cfr. le pronunce sopra richiamate).

34. A conclusioni non dissimili, circa la natura del rapporto convenzionale e degli atti che attengono alla gestione dello stesso, è pervenuta anche questa Corte la quale, con giurisprudenza costante, ha sottolineato che i rapporti tra i medici convenzionati e le aziende sanitarie locali, pur se costituiti allo scopo di soddisfare le finalità istituzionali del servizio sanitario nazionale in funzione della tutela della salute pubblica, hanno la natura di rapporti libero professionali parasubordinati, che si differenziano da quelli di pubblico impiego per il difetto del vincolo della subordinazione. L’ente pubblico opera, pertanto, nell’ambito esclusivo del diritto privato ed assume nei confronti del professionista gli obblighi che derivano dalla disciplina collettiva, alla quale la legge assegna un ruolo centrale, affidandole la funzione specifica di garantire, su base pattizia, “l’uniformità del trattamento economico e normativo del personale sanitario a rapporto convenzionale… sull’intero territorio nazionale”.

35. Si e’, di conseguenza, sottolineato che l’ente pubblico non esercita nei confronti del medico convenzionato alcun potere autoritativo, all’infuori di quello di sorveglianza, né può incidere unilateralmente, limitandole o degradandole ad interessi legittimi, sulle posizioni di diritto soggettivo nascenti, per il professionista, dal “rapporto di lavoro autonomo, continuativo e coordinato”, sicché le iniziative delle parti ed i rispettivi comportamenti vanno valutati secondo i principi propri che regolano l’esercizio dell’autonomia privata (Cass. S.U. n. 8632/1996; Cass. S.U. n. 813/1999; Cass. S.U. n. 20344/2005; Cass. S.U. n. 6574/2006; Cass. n. 13235/2009).

36. Muovendo da dette premesse le Sezioni Unite hanno, poi, affermato che il potere del giudice ordinario, al quale è riservata la cognizione delle controversie riguardanti le obbligazioni che dal rapporto scaturiscono, si modella anch’esso su quello disciplinato per l’impiego pubblico contrattualizzato dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63 e, pertanto, qualora la domanda del professionista denunci, quale mezzo al fine della tutela dei diritti scaturenti dal detto rapporto, l’illegittimità di atti regolamentari o provvedimenti emessi dalla pubblica amministrazione, degli stessi è consentita la disapplicazione (cfr. le pronunce sopra richiamate).

37. Premesso, quindi, che la disciplina generale del rapporto convenzionale assegna un ruolo centrale alla contrattazione collettiva, non dissimile da quello a quest’ultima riconosciuto in relazione all’impiego pubblico contrattualizzato, occorre valutare l’incidenza, rispetto al delineato riparto delle fonti regolatrici, della normativa speciale dettata dal legislatore per il rientro da eccessivi disavanzi del sistema sanitario (a partire dal D.L. n. 347 del 2001 e dalla Legge finanziaria n. 448/2001).

38. Con la L. n. 311 del 2004, art. 1 è stata disciplinata la procedura per il ripianamento dei disavanzi di gestione ed il legislatore, al comma 174, ha previsto l’obbligo per le Regioni di adottare i provvedimenti necessari ai fini del rispetto dell’equilibrio economico finanziario.

39. Il piano di rientro, il cui contenuto è indicato dal successivo comma 180, è l’atto con il quale la Regione, previa ricognizione delle cause che hanno determinato strutturalmente l’emersione del disavanzo di gestione, elabora il programma operativo di riorganizzazione, di riqualificazione o di potenziamento del Servizio sanitario regionale, prodromico all’accordo, da stipulare con il Ministero competente, “che individua gli interventi necessari per il perseguimento dell’equilibrio economico, nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza e degli adempimenti di cui alla intesa prevista dal comma -173.”.

40. La disposizione in commento, più volte modificata dal legislatore, nel testo risultante all’esito delle modifiche apportate dalla L. n. 266 del 2005, art. 1 comma 277, dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 796, e dalla L. n. 191 del 2009, art. 2, comma 76, prevede che in caso di mancata adozione delle misure “si applicano comunque il blocco automatico del turo over del personale del servizio sanitario regionale fino al 31 dicembre dell’anno successivo a quello di verifica, il divieto di effettuare spese non obbligatorie fino al 31 dicembre dell’anno successivo a quello di verifica e nella misura massima prevista dalla vigente normativa l’addizionale all’imposta sul reddito delle persone fisiche e le maggiorazioni dell’aliquota dell’imposta regionale sulle attività produttive “. Aggiunge che sono nulli gli atti emanati e i contratti stipulati “in violazione del blocco automatico del turn over e del divieto di effettuare spese non obbligatorie”.

41. Non interessa in questa sede esaminare in dettaglio le misure alle quali la legislazione nazionale affida la realizzazione dell’obiettivo del rientro dal disavanzo. Ciò che rileva, ai fini della questione qui controversa, è sottolineare che né la L. n. 311 del 2004, né i successivi interventi normativi, applicabili alla fattispecie ratione temporis, hanno attribuito alle Regioni ed alle Aziende Sanitarie Locali il potere di sottrarsi unilateralmente al rispetto delle obbligazioni contrattuali assunte quanto al trattamento economico spettante al personale del comparto sanità ed a quello in regime convenzionale sulla base delle previsioni contenute nei contratti e negli accordi collettivi nazionali ed integrativi.

42. Un siffatto potere non è desumibile dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 796, (nella parte in cui prescrive che “gli interventi individuati dai programmi operativi di riorganizzazione, qualificazione o potenziamento del servizio sanitario regionale, necessari per il perseguimento dell’equilibrio economico… sono vincolanti per la regione che ha sottoscritto l’accordo e le determinazioni in esso previste possono comportare effetti di variazione dei provvedimenti normativi ed amministrativi già adottati dalla medesima regione in materia di programmazione sanitaria”) perché la modificazione degli atti in precedenza adottati è significativamente riferita a quelli normativi ed amministrativi inerenti la programmazione sanitaria, fra i quali non possono essere ricompresi gli accordi stipulati all’esito delle procedure di contrattazione regionale.

43. Analoghe considerazioni vanno espresse quanto all’ambito di applicazione della L. n. 191 del 2009, art. 2, comma 95, che, parimenti, obbliga la Regione “a rimuovere i provvedimenti, anche legislativi, e a non adottarne di nuovi che siano di ostacolo alla piena attuazione del piano di rientro” e non si riferisce, quindi, agli atti negoziali che qui rilevano.

44. Al contrario, sia la L. n. 311 del 2004 che la L. n. 191 del 2009 contengono significative disposizioni dalle quali si evince che il legislatore non ha inteso sminuire il ruolo che la disciplina generale assegna alla contrattazione collettiva, nazionale e decentrata, anche nel contesto particolare delle Regioni interessate dalla situazione di disavanzo.

45. Invero la L. n. 311 del 2004, art. 1 ribadisce, al comma 178, che “il rapporto tra il Servizio sanitario nazionale, i medici di medicina generdle, i pediatri di libera scelta, i medici specialisti ambulatoriali interni e le altre professioni sanitarie non dipendenti dal medesimo è disciplinato da apposite convenzioni conformi agli accordi collettivi nazionali stipulati ai sensi della L. 30 dicembre 1991, n. 412, art. 4, comma 9, e successive modificazioni, con le organizzazioni sindacali di categoria maggiormente rappresentative in campo nazionale” e la L. n. 191 del 2009, all’art. 2, commi 71 e 72, impone adempimenti finalizzati alla riduzione della spesa complessiva del personale, anche a convenzione, ma richiama pur sempre la contrattazione e persegue l’obiettivo del contenimento attraverso “i/ ridimensionamento dei pertinenti fondi della contrattazione integrativa”.

46. Resta, quindi, escluso il potere unilaterale di rideterminazione del trattamento retributivo, potere che questa Corte, con orientamento consolidato (cfr. fra le più recenti Cass. n. 31387/2019 e la giurisprudenza ivi richiamata), ha ritenuto non sussistere per l’impiego pubblico contrattualizzato sulla base di argomenti che, per quanto illustrato nei punti che precedono, devono valere anche in relazione ai rapporti convenzionali.

47. Al riguardo è solo il caso di precisare che, sebbene quell’orientamento si sia formato in relazione a fattispecie nelle quali erano stati attribuiti trattamenti di miglior favore rispetto alla previsione della contrattazione collettiva, lo stesso fa leva sul sistema delle fonti regolatrici del rapporto delineato dal legislatore e sul ruolo centrale svolto dalla contrattazione, che nell’impiego pubblico, ma anche nel rapporto convenzionale, è lo strumento attraverso il quale si realizza il principio della parità di trattamento (non dissimile dall’uniformità sull’intero territorio nazionale di cui alla L. n. 833 del 1978, art. 4, comma 9), e si valorizzano, attraverso gli spazi di intervento concessi alla contrattazione integrativa, le specificità dei singoli enti. Si tratta, quindi, di principi che a maggior ragione impediscono la determinazione unilaterale in peius, che contrasta, oltre che con la necessaria conformazione del contratto individuale a quello collettivo, con la disciplina generale dettata in tema di adempimento delle obbligazioni negoziali.

48. Ne’ si può sostenere che il potere unilaterale dell’ente pubblico di sottrarsi all’adempimento delle obbligazioni che trovano titolo nella contrattazione nazionale o integrativa sarebbe legittimato dalla disciplina dettata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 40 al quale, si è detto, rinvia la L. n. 412 del 1991, art. 4 come modificato dalla L. n. 289 del 2002, art. 52.

49. Il richiamato art. 40 è stato più volte modificato ed integrato dal legislatore, ma in tutte le versioni succedutesi nel tempo è rimasto immutato il comma 4 secondo cui “le pubbliche amministrazioni adempiono agli obblighi assunti con i contratti collettivi nazionali o integrativi dalla data della sottoscrizione definitiva e ne assicurano l’osservanza nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti”.

50. Quanto, poi, alla contrattazione integrativa, il legislatore ne ha previsto la doverosa “disapplicazione” nelle sole ipotesi di nullità delle clausole contrattuali, espressamente affermata in relazione ai contratti che, al momento della sottoscrizione, risultino essere in contrasto con i vincoli imposti dal contratto nazionale o comportino oneri non previsti dagli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione (art. 40, comma 3, della versione originaria; art. 40, comma 3 quinquies del testo modificato dal D.Lgs. n. 150 del 2009). La nullità prevista dall’art. 40 è quella genetica del contratto, che rende inefficaci le clausole della contrattazione integrativa sin dal momento della loro stipulazione.

51. Il potere unilaterale di intervento sulle materie riservate alla contrattazione integrativa è stato eccezionalmente attribuito al datore di lavoro pubblico dal D.Lgs. n. 150 del 2009, ma solo alle condizioni previste dal modificato art. 40, commi 3 bis e 3 ter ossia in via provvisoria e alla scadenza del termine fissato per la sessione negoziale in sede decentrata, dopo che le parti, in caso di mancato accordo, abbiano riassunto “le rispettive prerogative e libertà di iniziativa e decisione”.

52. E’ significativo, al riguardo, evidenziare che il successivo D.Lgs. n. 75 del 2017, nel rimarcare il carattere eccezionale del potere unilaterale di intervento, ha ritenuto necessario richiamare il principio, immanente in tema di obbligazioni contrattuali, del necessario rispetto della correttezza e della buona fede ed ha reso esplicito l’obbligo, già desumibile dall’attribuzione di un potere provvisorio, di proseguire le trattative “al fine di pervenire in tempi celeri alla conclusione dell’accordo”.

53. Il potere unilaterale, lo si ripete eccezionale, è stato pensato dal legislatore, a partire dal D.Lgs. n. 150 del 2009, al dichiarato fine di assicurare la funzionalità dell’azione amministrativa, ma è stato disciplinato in termini che non smentiscono il ruolo centrale attribuito alla contrattazione né consentono di ricondurre il potere stesso all’esercizio di potestà autoritativa.

54. Va, poi, aggiunto che il richiamato potere va esercitato nell’ambito della contrattazione di competenza, sicché lo stesso non può certo essere invocato per incidere su istituti contrattuali la cui disciplina sia riservata ad un altro livello di contrattazione.

55. Il principio rileva nella fattispecie oggetto di causa, giacché per i rapporti convenzionali che si instaurano con i pediatri di libera scelta, l’accordo collettivo nazionale del 28 settembre 2005, all’art. 2, riserva al livello di negoziazione aziendale solo il potere di definire “i progetti e le attività del personale sanitario convenzionato necessari all’attuazione degli obiettivi individuati dalla programmazione regionale”, mentre attribuisce alla contrattazione regionale il compito di definire ” obiettivi di salute, modelli organizzativi e strumenti operativi per attuarli, in coerenza con le strategie e le finalità del Servizio Sanitario Regionale, integrando elencazione, incentivazione e remunerazione di compiti con il perseguimento di obiettivi e risultati”.

56. E’ indiscusso tra le parti (cfr. sentenza impugnata pg. 4, sul punto non oggetto di alcuna censura) che i compensi dei quale si discute nella fattispecie (cfr. p. 1 di questa sentenza) sono stati previsti dall’Accordo Integrativo Regionale e non dalla contrattazione aziendale sicché sugli importi unitari degli stessi non poteva intervenire unilateralmente la singola Azienda Sanitaria per le plurime ragioni che sono state indicate nei punti che precedono.

57. Al riguardo, va rimarcato che l’esigenza di assicurare sul territorio nazionale l’uniformità di trattamento nei rapporti convenzionali, che ispira il sistema delle fonti illustrato innanzi, impone anche che l’omogeneità venga assicurata, nel più ristretto ambito territoriale della Regione, in relazione agli istituti la cui disciplina è riservata alla contrattazione di competenza di quest’ultima e, non a caso, la Delib. n. 592 del 2008, richiamata dalla Corte territoriale e trascritta nel ricorso, faceva riferimento alla necessità “di riaprire i tavoli di concertazione per le necessarie modifiche ed integrazioni da apportare agli Accordi Integrativi Regionali”.

58. Non è in contestazione fra le parti, e ne dà atto la sentenza impugnata, che non è mai stata realizzata la condizione posta dalla richiamata Delib., sicché non poteva la singola Azienda sottrarsi unilateralmente all’adempimento delle obbligazioni previste dalla contrattazione regionale.

59. Deve, poi, ribadirsi che l’atto con il quale la ASL ha unilateralmente ridotto il compenso non è espressione di un potere di supremazia e partecipa della medesima natura privatistica del rapporto che si instaura con il professionista convenzionato, sicché non si pone questione, neppure dedotta dalla ricorrente, della disapplicazione di provvedimenti amministrativi.

60. Il rapporto di parasubordinazione con i medici di medicina generale e con i pediatri di libera scelta è soggetto alla disciplina di cui si è dato conto e non è assimilabile a quello che si instaura con le strutture accreditate, oggetto di disposizioni specifiche, dettate dal D.Lgs. n. 502 del 1992, artt. da 8 quater a 8 sexies che, come sottolineato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (sentenza n. 3 del 2012), delineano un modello bifasico nel quale la determinazione delle tariffe ha matrice autoritativa e vincolante.

61. Al contrario, nel rapporto convenzionale con i pediatri di libera scelta e con i medici di medicina generale, l’ente agisce su un piano di parità sicché l’atto con il quale lo stesso pretende di rideterminare il compenso, in peius rispetto alle previsioni della contrattazione collettiva, non è espressione di potestà pubblica e va equiparato a quello con il quale il debitore, privato, rifiuta di adempiere, in toto o parzialmente, l’obbligazione posta a suo carico.

62. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato perché la sentenza impugnata è conforme ai principi di diritto di seguito enunciati:

63. “a) Il rapporto convenzionale con il Servizio Sanitario Nazionale dei pediatri di libera scelta e dei medici di medicina generale è disciplinato, quanto agli aspetti economici, dagli accordi collettivi nazionali e integrativi ai quali devono conformarsi, a pena di nullità, i contratti individuali.

64. b) La disciplina dettata dalla L. n. 833 del 1978, art. 48 e dal D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8 non è derogata da quella speciale prevista per il rientro da eccessivi disavanzi del sistema sanitario e pertanto le esigenze di riduzione della spesa non legittimano la singola azienda sanitaria a ridurre unilateralmente i compensi previsti dalla contrattazione integrativa regionale.

65. c) Le esigenze di riduzione della spesa, sopravvenute alla valutazione di compatibilità finanziaria dei costi della contrattazione, devono essere fatte valere nel rispetto delle procedure di negoziazione collettiva e degli ambiti di competenza dei diversi livelli di contrattazione, pertanto l’eventuale atto unilaterale di riduzione del compenso, adottato dalla P.A., non ha natura autoritativa perché il rapporto convenzionale si svolge su un piano di parità ed i comportamenti delle parti vanno valutati secondo i principi propri che regolano l’esercizio dell’autonomia privata”.

66. Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo.

67. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dalla ricorrente.

PQM

LA CORTE

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 12.000,00 per competenze professionali ed Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali forfetarie, oltre IVA e CPA.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2021

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