Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21173 del 13/10/2011

Cassazione civile sez. I, 13/10/2011, (ud. 26/09/2011, dep. 13/10/2011), n.21173

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Grazia – Presidente –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.A., elettivamente domiciliata in Roma, via degli

Scipioni 268/A, presso l’avv. Grazioso Gerardo, che la rappresenta e

difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

M.G., elettivamente domiciliato in Roma, via Arezzo 1

presso Ludovico De Cesare, rappresentato e difeso dall’avv. De Cesare

Massimo giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Bari n. 698/2006 in data

14.7.2006;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26.9.2011 dal Relatore Cons. Carlo Piccininni;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LETTIERI Nicola che ha concluso per il rigetto del primo e del terzo

motivo e per l’inammissibilità del secondo.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con sentenza del 14.7.2006 la Corte di Appello di Bari confermava la decisione di primo grado, con la quale il tribunale della medesima città aveva: a) dichiarato lo scioglimento del matrimonio fra M.G. e S.A.; b) rigettato la domanda di attribuzione di un assegno divorzile proposta da quest’ultima; c) affidato la figlia minore alla madre, cui aveva assegnato anche la casa coniugale; d) condannato infine il M. a corrispondere la somma di Euro 309,87, a titolo di mantenimento della figlia minore.

Il giudice del gravame era stato adito dalla S., che aveva in particolare lamentato il mancato riconoscimento di un assegno di mantenimento in suo favore (al quale aveva peraltro rinunciato in sede di separazione personale), in ragione del fatto che le situazioni economiche delle due parti si sarebbero modificate, in senso favorevole per l’appellato e sfavorevole per essa appellante.

La Corte di appello, tuttavia, aveva disatteso la censura, rilevando che la situazione reddituale del M. sarebbe emersa con la dovuta chiarezza dalla documentazione fiscale acquisita, e che non erano stati prospettati elementi deponenti in senso contrario. Avverso la decisione S. proponeva ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui resisteva il M. con controricorso, con i quali rispettivamente e denunciava:

1) violazione della L. n. 898 del 1970, artt. 5 e 6 e successive modifiche, art. 2729 c.c., art. 116 c.p.c., nonchè vizio di motivazione, per la genericità del richiamo alla motivazione della sentenza del primo giudice, motivazione che fra l’altro sarebbe errata per l’omessa considerazione della sua non giovane età e per la precarietà dei lavori svolti;

2) violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5 e art. 345 c.p.c., comma 3, perchè a torto ritenuta tardiva la documentazione prodotta nel giudizio di impugnazione, trattandosi di documenti formati dopo la sentenza di primo grado;

3) violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, artt. 184 e 187 c.p.c., artt. 147, 148 e 2729 c.c., art. 24 Cost., in relazione al mancato accoglimento della richiesta di indagini relativa, alle condizioni economiche del M.. Osserva innanzitutto il Collegio che è inammissibile il primo motivo, per essere il prescritto quesito di diritto (la sentenza impugnata è stata infatti emessa nel luglio 2006) formulato nei confronti della decisione di primo grado (“Si esprima la Corte nel senso di valutare, in sede di divorzio, se l’impossibilità di procurarsi redditi adeguati possa essere ritenuto sufficiente elemento presuntivo ed elemento determinante l’aver effettuato prima dei quaranta anni di età una serie di attività lavorative. Si esprima ancora, nel rispondere al quesito poco sopra suesposto, se l’essere tali attività lavorative saltuarie e/o interinali, possa comunque escludere che la circostanza possa essere considerata prova contraria all’impossibilità, di procurarsi redditi adeguati”).

E’ poi ugualmente inammissibile il secondo motivo di impugnazione per difetto di autosufficienza. La doglianza ivi prospettata è stata infatti proposta in relazione all’affermazione della Corte di appello, secondo la quale la documentazione prodotta in sede di gravame sarebbe stata preesistente alla sentenza di primo grado, e risulta in particolare incentrata su una pretesa svista (definita marchiana) in cui sarebbe incorso il giudicante, che più precisamente non avrebbe percepito che la detta documentazione sarebbe stata successiva alla sentenza di primo grado.

Rileva tuttavia in proposito il Collegio che la ricorrente non ha indicato l’esatto contenuto dei documenti, la rispettiva data della loro formazione, l’epoca della relativa acquisizione, il grado e la fase del processo in cui avrebbero dovuto essere prodotti alla data della loro formazione, elementi tutti indispensabili ai fini della delibazione circa la fondatezza o meno dei rilievi svolti.

E’ infine inconsistente la censura formulata con il terzo motivo di impugnazione, atteso che la Corte di appello ha dato ampia motivazione delle ragioni per le quali ha ritenuto di non disporre ulteriori indagini di polizia tributaria relativamente alla situazione reddituale del M..

Ed invero la Corte ha in proposito fatto espresso richiamo alla circostanza che la detta situazione sarebbe risultata “ampiamente dalla documentazione fiscale acquisita agli atti (p. 5) e che questa sarebbe stata inoltre avvalorata dal fatto che l’appellante, il quale pure avrebbe potuto, aveva omesso di indicare” la presenza di segni di disponibilità finanziarie maggiori” (p. 6).

Si tratta dunque di valutazione di merito congruamente motivata con argomentazioni immuni da vizi logici, contrastata con una non condivisa interpretazione del materiale probatorio acquisito, e quindi con rilievi non meritevoli di attenzione in questa sede di legittimità.

Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato con condanna della ricorrente, soccombente, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 26 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2011

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