Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21172 del 13/10/2011

Cassazione civile sez. I, 13/10/2011, (ud. 19/09/2011, dep. 13/10/2011), n.21172

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Grazia – Presidente –

Dott. BERRUTI Giuseppe Maria – Consigliere –

Dott. RORDORF Renato – rel. Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 17902-2009 proposto da:

B.C. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 12, presso l’avvocato

SMEDILE SERGIO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

DI MAJO ADOLFO, giusta procura a margine del ricorso e procura

speciale per Notaio Dott. ALFIO GRASSI di ROMA – Rep. n. 157153 del 2

6.7.2 011;

– ricorrente –

contro

V.P. (c.f. (OMISSIS)), N.C. (c.f.

(OMISSIS)), TAODUE FILM S.P.A. (c.f. (OMISSIS)), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliati in ROMA VIA DELLA SCROFA 22, presso l’avvocato ROCCHETTI

NICOLA, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

MICCICHE’ ANDREA, giusta procura a margine del controricorso;

RETI TELEVISIVE ITALIANE S.P.A. (P.I. (OMISSIS)), in persona del

procuratore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CICERONE 60, presso l’avvocato PREVITI STEFANO, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato PREVITI CARLA, giusta procura a

margine del controricorso;

– controricorrenti –

contro

NOVA FILMS S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 954/2009 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 02/03/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/09/2011 dal Consigliere Dott. RENATO RORDORF;

uditi, per il ricorrente, gli Avvocati S. SMEDILE e A. DI MAJO che

hanno chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente R.T.I., l’Avvocato C. PREVITI che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

uditi, per il controricorrente V., gli Avvocati N. ROCCHETTI

e A. MICCICHE’ che hanno chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso per il rigetto del ricorso e

condanna alle spese.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il sig. B.C., con atto notificato il 16 settembre 2003, citò in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma i sig.ri V.P. e N.C. e le società Taodue Film s.p.a e Nova Films s.p.a. Con altro atto citò poi dinanzi al medesimo tribunale anche la R.T.I. Reti Televisive Italiane s.p.a.

(in prosieguo indicata come RTI) e le due cause furono riunite.

L’attore sostenne di avere ideato lo schema (cd. format) di una serie televisiva, intitolata “Distretto di polizia”, avente ad oggetto vicende destinate a svolgersi in un commissariato di (OMISSIS) e caratterizzate dalla presenza di una figura femminile in veste di dirigente. La proposta di realizzare la serie televisiva, che era stata rivolta alla Rai nell’anno (OMISSIS), dopo lunghe trattative non aveva avuto esito; ma nel corso del (OMISSIS) la rete televisiva Canale 5, gestita dalla RTI, aveva messo in onda un programma in otto puntate, recante lo stesso titolo e che ricalcava il medesimo schema ideato dall’attore, prodotto dalle società Taodue Film e Nova Films, facenti capo ad un ex collaboratore del sig. B., il sig. V., ed alla di lui moglie sig.ra N.. Il sig. B., ravvisando nell’accaduto la violazione del suo diritto d’autore, o in via subordinata un’attività di concorrenza sleale, ne chiese l’accertamento con conseguente condanna dei convenuti al risarcimento dei danni.

Essendo state tali domande rigettate dal tribunale, il sig. B. interpose gravame, ma la Corte d’appello di Roma, con sentenza resa pubblica il 2 marzo 2009, confermò la decisione di primo grado, perchè ritenne, anche alla luce delle prove testimoniali e documentali acquisite, che lo schema di trasmissione televisiva ideato dall’attore non avesse raggiunto un grado di compiutezza nè avesse originalità tale da assurgere ad opera dell’ingegno tutelabile in base alla normativa sul diritto d’autore.

Fu altresì escluso che ricorressero gli estremi della concorrenza sleale, consistente nella parassitaria riproduzione di un’altrui opera dell’ingegno, sia per difetto dei requisiti necessari a configurare, nella specie, un’opera dell’ingegno, sia in quanto non risultava provato lo svolgimento in proprio di un’attività imprenditoriale da parte del sig. B..

Quest’ultimo ha proposto ricorso per cassazione avverso detta sentenza, formulando tre motivi di censura.

I sigg.ri V. e N. e la società Taodue Film si sono difesi con controricorso ed altrettanto ha fatto, ma separatamente, la società RTI. Nessuna difesa ha svolto invece in questa sede la società Nova Films.

Sia il ricorrente sia i controricorrenti hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso, volto a denunciare tanto la violazione degli artt. 2598, 2599 e 2600 c.c. quanto vizi di motivazione della sentenza impugnata, si riferisce alla reiezione della domanda proposta dall’attore in tema di concorrenza sleale.

Il ricorrente lamenta che tale domanda non avrebbe potuto esser rigettata per l’asserita non tutelabilità dell’opera dell’ingegno pedissequamente imitata, perchè, così argomentando, la corte territoriale ha sovrapposto indebitamente due piani diversi e tra loro non confondibili, essendo sanzionabile l’imitazione servile e la concorrenza parassitaria, o comunque la violazione delle regole di correttezza tra concorrenti, anche a prescindere dall’esistenza dei presupposti per la tutela del diritto d’autore.

Censura inoltre il ricorrente l’affermazione dell’impugnata sentenza che, negandogli la qualifica d’imprenditore, non avrebbe considerato come tale qualifica non implichi necessariamente la presenza di un’azienda dotata di un rilevante apparato esteriore e sussista, invece, ogni qual volta un’attività economica e commerciale sia riferibile ad un determinato soggetto; e tale sarebbe, appunto, il sig. B., al quale fa capo la società cinematografica “NordEst”, produttrice dello schema di programma televisivo di cui si discute.

2. Col secondo motivo di ricorso ugualmente vengono denunciati sia vizi di motivazione del provvedimento impugnato sia errori di diritto, questa volta riferiti all’art. 2575 e segg. c.c., ed alla L. n. 633 del 1941, artt. 1, 2 e 158.

Il ricorrente insiste nel sostenere la tutelabilità quale opera dell’ingegno dello schema di base (cd. format) dì un programma televisivo, negli stessi termini in cui si reputa tutelabile il diritto d’autore relativo ad un’opera incompleta. A suo giudizio, le affermazioni dell’impugnata sentenza in ordine all’incompletezza dello schema da lui ideato non varrebbero, perciò, ad escludere la tutela; e sarebbero errate laddove si riferiscono alla pretesa incompletezza del contenuto ideativo del programma, trascurando che non già il contenuto, bensì la forma, è ciò che caratterizza la creatività e l’originalità dell’opera dell’ingegno imprimendole l’impronta personale dell’autore.

3. L’ultimo motivo del ricorso attiene esclusivamente alla motivazione della sentenza impugnata, di cui si denuncia l’insufficienza e la contraddittorietà nell’interpretazione delle risultanze della prova orale e di quella documentale.

4. Prima di scendere all’esame del contenuto delle riferite censure una premessa s’impone.

Essendo stata emessa l’impugnata sentenza nel marzo 2009, al presente ricorso risultano applicabili, ratione temporis, le disposizioni contenute nell’art. 366-bis c.p.c., delle quali i controricorrenti hanno eccepito il mancato rispetto.

Il citato articolo del codice di rito prescrive, com’è noto, che i motivi di ricorso per cassazione con cui vengano denunciati errori di diritto siano corredati, a pena d’inammissibilità, da un quesito idoneo a far risultare la questione giuridica sulla quale si chiede alla Suprema Corte di pronunciarsi. I motivi volti, invece, a lamentare vizi di motivazione del provvedimento impugnato debbono, sempre a pena d’inammissibilità, contenere l’indicazione del fatto controverso, in riferimento al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione. E la giurisprudenza di questa corte in più occasioni ha precisato che detta indicazione deve consistere in un momento di sintesi, omologo del quesito di diritto, che si presenti specificamente destinato a circoscrivere riassuntivamente i limiti del fatto controverso in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr., ex multis, Sez. un. 24 marzo 2009r n. 7032; e Sez. un. 1 ottobre 2007, n. 20603).

Il ricorso ora in esame, come s’è detto, denuncia vizi di motivazione della sentenza impugnata tanto nei primi due motivi, nei quali si fa questione anche di errores in iudicando, quanto nel terzo. I primi due motivi si concludono con altrettanti quesiti di diritto, riferiti alle censure proposte a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 3 (quesiti peraltro, come si vedrà esaminando il primo motivo, non sempre formulati in modo completo), ma non contengono il momento di sintesi con l’indicazione riassuntiva e specifica del fatto controverso che dovrebbe corredare le ulteriori censure formulate con riferimento al successivo medesimo art. 360, n. 5. Donde l’inevitabile inammissibilità di tali ulteriori censure.

Non è invece carente, sotto questo profilo, il terzo motivo di ricorso, che contiene una sintesi conclusiva (impropriamente definita quesito di diritto) in cui si rinviene l’indicazione del fatto controverso – la completezza del prodotto ideato dal ricorrente – sul quale la censura verte.

5. Ciò premesso, sì può ora procedere ad esaminare i motivi del ricorso, ma appare preferibile cominciare dal secondo, che investe l’oggetto della domanda principale proposta in causa dall’attore.

Le censure contenute in detto motivo non appaiono fondate.

5.1. Non è la prima volta che si discute dinanzi a questa corte della tutelabilita, in base alla normativa sul diritto d’autore, del cosiddetto format di un programma televisivo, ossia dello schema predisposto in vista di una successiva, più dettagliata elaborazione del programma medesimo. La sentenza n. 17903 del 2004, dopo aver evidenziato l’esistenza di orientamenti diversi nella giurisprudenza di merito in ordine al livello di completezza occorrente perchè un simile elaborato possa ambire alla tutela autoriale, non ritenne di dover prendere esplicita posizione sul punto per l’assorbente ragione che, in quel caso, faceva comunque difetto il requisito dell’originalità dell’opera, giacchè lo schema di programma del quale in quella sede si discuteva era stato mutuato da esperienze già sviluppate in altri paesi.

Nella più recente sentenza n. 3817 del 2010 si è però affermato che, per stabilire se il format di un programma televisivo integri gli estremi dell’opera dell’ingegno protetta dal diritto d’autore, pur dovendosi prescindere da un’assoluta novità e originalità di esso nell’ambito dì un concetto giuridico di creatività comunque soggettivo, è possibile – in assenza di una definizione normativa – aver riguardo alla nozione risultante dal bollettino ufficiale della Siae n. 66 del 1994, secondo cui l’opera deve presentare, come elementi qualificanti, articolazioni sequenziali e tematiche, costituite da un titolo, un canovaccio o struttura narrativa di base, un apparato scenico e personaggi fissi, così realizzando una struttura esplicativa ripetibile del programma. Su tale presupposto, la Suprema corte ha ritenuto che correttamente, in quel caso, i giudici d’appello non avessero concesso tutela a programmi televisivi prevalentemente caratterizzati da dialoghi tra attore-autore e pubblico del tutto improvvisati e privi di qualsiasi struttura predefinita.

5.2. B. la definizione così prospettata sembri adattarsi meglio a spettacoli d’intrattenimento che non ad opere destinate ad avere un vero e proprio sviluppo narrativo, quale è quella di cui si discute nella presente causa, se ne può dedurre la conferma della necessità, ai fini della qualifica dì opera dell’ingegno in relazione alla quale possa essere tutelato il diritto d’autore, di una struttura programmatica dotata di un grado minimo di elaborazione creativa. Il che, quando appunto si tratti della rappresentazione televisiva di una vicenda destinata a svilupparsi in serie più o meno definita di episodi con un contenuto narrativo da elaborare via facendo, postula l’individuazione iniziale almeno degli elementi strutturali di detta vicenda, e quindi della sua ambientazione nel tempo e nello spazio, dei personaggi principali, del loro carattere e del filo conduttore della narrazione.

Se tali elementi facciano difetto, o se non siano elaborati in modo sufficientemente chiaro e definito, non è possibile invocare la tutela afferente alle opere dell’ingegno, perchè si è in presenza di un’ideazione ancora così vaga e generica da esser paragonabile ad una scatola vuota, priva di qualsiasi utilizzabilità mercantile e carente dei requisiti di creatività ed individualità indispensabili per la configurabilità stessa di un’opera dell’ingegno.

5.3. E’ bensì vero che, come il ricorrente sottolinea, la tutela del diritto d’autore è applicabile anche alle opere incomplete; ma altro è un’opera che abbisogna di un completamento, altro un’ideazione ancora così embrionale e vaga da non permettere di apprezzarne il livello minimo di creatività ed originalità: perchè è ben evidente che anche quest’ultimo requisito – quello, appunto, dell’originalità dell’opera – non può essere adeguatamente vagliato se non in presenza di un elaborato dotato di un minimo indispensabile di specificità; ed anche la distinzione tra profili formali e profili contenutistici dell’opera, sulla quale il ricorrente insiste, perde di significato quando l’idea creativa sia così vaga da non poter neppure assumere una forma connotata in modo sufficientemente specifico.

L’impugnata sentenza non si è in alcun modo discostata dal principio di diritto sopra enunciato sub 5.2.). Ne ha fatto invece applicazione, avendo accertato che quanto in concreto elaborato dal sig. B. – la mera ideazione, senza ulteriori dettagli, di una serie televisiva avente ad oggetto vicende personali e l’attività professionale di funzionari di un commissariato di polizia romano in cui fosse presente, in posizione di rilievo, anche una donna – non era sufficientemente specifico ed originale da poter ambire al richiesto livello di tutela. Correttamente inquadrato nei principi giuridici cui s’è accennato, un tale accertamento si risolve in una valutazione di merito, non censurabile in sede di legittimità.

6. L’accertamento e le valutazioni di merito di cui s’è detto potrebbero, ovviamente, essere censurate sotto il profilo della sufficienza e congruità della motivazione che le sorregge in punto di fatto.

S’è già visto, però, come il profilo di doglianza a tal riguardo contenuto nel secondo motivo del ricorso non sia ammissibile, ed ora va aggiunto che, sia pure per una ragione diversa, non è ammissibile neppure il terzo motivo, che proprio sulla motivazione dell’impugnata sentenza insiste.

Quel motivo, infatti, è volto a sostenere che la corte territoriale avrebbe fatto cattivo governo delle risultanze istruttorie testimoniali e documentali, dalle quali, contrariamente a quanto il giudice d’appello ha ritenuto, non si evincerebbe affatto che lo schema di programma televisivo del quale si discute era estremamente vago e generico.

Si tratta, tuttavia, di una censura che non pone in luce uno o più ben determinati vizi logici della motivazione della sentenza sul punto, ma sollecita una rivisitazione completa e complessiva delle risultanze di causa, senza la quale sarebbe del tutto impossibile esprimere il giudizio che il ricorrente invoca. Ma una tale rivisitazione è preclusa al giudice di legittimità, nè, d’altronde, il ricorrente ha cura di riportare il tenore integrale delle deposizioni testimoniali e della documentazione cui fa cenno, di indicare specificamente in quali atti del processo di merito esse si trovino e di depositarne copia unitamente al ricorso.

7. Resta da esaminare il primo motivo di ricorso, che si riferisce, come già detto, al mancato accoglimento della domanda subordinata, che era stata proposta dall’attore per ottenere il risarcimento dei danni per concorrenza sleale.

Ma tale motivo di ricorso non appare ammissibile.

7.1. La suddetta domanda è stata rigettata dalla corte d’appello sulla scorta di due distinte ed autonome rationes decidendi: la prima basata sulla già rilevata non configurabilità in capo all’attore dì un’idea sufficientemente definita, che potesse perciò essere pedissequamente imitata con effetti confusori da parte del convenuto;

l’altra (sulla quale si era più specificamente fondata la sentenza di primo grado) facente leva sul rilievo che l’attore non ha dimostrato di essere un imprenditore e di potere perciò ambire alla tutela prevista dall’art. 2598 c.c..

Il ricorrente intende censurare entrambe tali argomentazioni, onde può dirsi che il motivo di ricorso in esame, pur se unitariamente espresso, contiene due ben distinte doglianze.

In applicazione del disposto del già citato art. 366-bis c.p.c., però, ciò avrebbe dovuto condurre a corredare l’indicato motivo di ricorso con due quesiti, per porre questa corte in grado di enunciare (non già solo uno, bensì) due distinti principi di diritto, rispettivamente riferiti alla prima ed alla seconda ratio decidendi della sentenza impugnata. Così invece non è, perchè a conclusione del medesimo motivo di ricorso è stato enunciato un unico quesito, che rispecchia la prima delle due accennate doglianze, concernente la diversità dei presupposti occorrenti per la tutela del diritto d’autore e per il risarcimento del danno da concorrenza sleale, senza in alcun modo accennare all’altro decisivo profilo: quello relativo alla mancata prova della qualità d’imprenditore in capo al ricorrente (nè, come già accennato, si rinviene nel ricorso una qualche sintesi del fatto controverso che possa dare adito a censure di difetto di motivazione sul punto).

Ne deriva l’inammissibilità della censura riguardante tale ultimo profilo e, di riflesso, l’irrilevanza anche della censura inerente al primo dei due argomenti posti a base della decisione con cui è stata rigettata la domanda in tema di concorrenza sleale, perchè siffatta decisione manterrebbe comunque un sufficiente fondamento nell’argomentazione non ammissibilmente censurata.

8. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

Tali spese vengono liquidate in favore dei controricorrenti sigg.ri V. e N. e società Taodue Film, in Euro 4.200,00 (di cui 4.000,00 per onorari e 200,00 per esborsi), oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, ed in egual misura in favore dell’altra separata controricorrente società R.T.I..

PQM

La certe rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in favore dei controricorrenti sigg.ri V. e N. e società Taodue Film s.p.a., in Euro 4.200,00, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, ed in egual misura in favore della controricorrente società R.T.I. – Reti Televisive Italiane s.p.a..

Così deciso in Roma, il 19 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2011

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