Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21171 del 13/10/2011

Cassazione civile sez. I, 13/10/2011, (ud. 13/07/2011, dep. 13/10/2011), n.21171

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 32183-2005 proposto da:

F.A. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA TRIONFALE 5637, presso l’avvocato D’AMARIO FERDINANDO,

rappresentato e difeso dall’avvocato DI LIBERATORE LUIGI, giusta

mandato in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI NOTARESCO, D.G.F., DI.GI.

G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 66/2005 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 15/02/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/07/2011 dal Consigliere Dott. MAGDA CRISTIANO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il geometra F.A., affermando di aver eseguito prestazioni professionali in favore del Comune di Notaresco, citò in giudizio l’ente territoriale dinanzi al Tribunale di Teramo per sentirlo condannare al pagamento del compenso dovutogli.

Il Comune, costituitosi in giudizio, eccepì l’inesistenza di un valido contratto stipulato con il F., cui l’incarico era stato conferito verbalmente dai sindaci succedutisi nella carica all’epoca dello svolgimento delle prestazioni, sigg.ri Di.Gi.

G. e D.G.F..

Secondo quanto si legge nella sentenza impugnata, il convenuto chiamò in giudizio i due sindaci, per essere da costoro garantito.

Il Tribunale adito, con sentenza del 18.1.95, accolse la domanda dell’attore e condannò il Comune di Notaresco a pagargli la somma di L. 12.554.365, oltre agli interessi legali ed alle spese di lite.

La sentenza fu appellata dall’ente territoriale con citazione del 24.2.96, notificata unicamente ad F.A..

La Corte d’Appello dell’Aquila, con ordinanza del 2.7.02, ordinò l’integrazione del contraddittorio nei confronti di Di.

G.G. e di D.G.F..

Con successiva sentenza del 15.2.05, la Corte territoriale, in accoglimento dell’appello ed in riforma della decisione impugnata, rigettò la domanda svolta dal F. nei confronti del Comune di Notaresco. Il collegio decidente rilevò preliminarmente che, benchè il Comune non avesse provveduto a notificare l’atto di integrazione del contraddittorio ai litisconsorti entro il termine perentorio assegnatogli, l’appello doveva ritenersi ugualmente ammissibile, posto che, poichè nè l’ente appellante nè il F. (che, costituendosi in giudizio si era limitato a domandare il rigetto dell’impugnazione) avevano chiesto in sede di gravame l’accertamento dell’eventuale responsabilità dei due sindaci, la questione dell’individuazione del soggetto effettivamente obbligato al pagamento non era più in discussione, con la conseguenza che, non ricorrendo l’ipotesi di dipendenza di cause, l’ordinanza del 2.7.02, erroneamente emessa, andava revocata.

Tanto premesso, il giudice affermò che difettava la forma scritta ad substantiam del contratto d’opera professionale e che doveva pertanto escludersi che il F. potesse richiedere al Comune l’adempimento dell’obbligazione di pagamento.

F.A. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, affidato ad otto motivi.

Il Comune di Notaresco, Di.Gi.Gi. e D. G.F. non hanno svolto difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Con il primo motivo di ricorso, F.A. denuncia violazione degli artt. 101, 102 e 311 c.p.c.. Rileva che la mancata notificazione dell’appello ai due litisconsorti, entro il termine perentorio assegnato dalla Corte dell’Aquila al Comune di Notaresco con l’ordinanza del 2.7.02, gli ha precluso la possibilità di riproporre in sede di gravame la domanda formulata nei loro confronti durante il processo di primo grado, posto che, ai sensi dell’art. 101 c.p.c. “il giudice, salvo che la legge disponga altrimenti, non può statuire sopra alcuna domanda se la parte contro la quale è stata proposta non è stata regolarmente citata e non è comparsa”.

Osserva ancora, a tale riguardo, che l’integrazione del contraddittorio deve essere disposta anche quando ricorre un’ipotesi di litisconsorzio processuale, a prescindere dalle domande formulate dalle parti costituite, anche perchè è solo dopo che si sia provveduto all’integrazione che queste ultime possono proporre nel corso del giudizio, sino all’udienza di precisazione delle conclusioni, le domande e le eccezioni già avanzate in primo grado contro i litisconsorti.

2) Col secondo motivo, il ricorrente, denunciando violazione degli artt. 100 e 346 c.p.c., rileva che egli, quale parte interamente vittoriosa nel giudizio di primo grado, era carente di interesse ad impugnare con appello incidentale la sentenza del Tribunale nella parte in cui non aveva condannato i Sindaci al pagamento, mentre, qualora il Comune appellante avesse provveduto ad integrare il contraddittorio, avrebbe potuto riproporre la domanda svolta in via subordinata contro i litisconsorti sino all’udienza di precisazione delle conclusioni.

3) Con il terzo motivo, il ricorrente, lamentando violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa, assume che, poichè la mancata integrazione del contraddittorio gli aveva precluso la possibilità di riproporre la domanda di condanna dei due sindaci all’udienza di precisazione delle conclusioni, la Corte territoriale non avrebbe potuto revocare l’ordinanza collegiale solo perchè nessuna delle due parti costituite aveva insistito in tale domanda.

4) Con il quarto motivo il F., denunciando alterazione del principio del contraddittorio, deduce che, attraverso la revoca dell’ordinanza del 2.7.02, la Corte ha sanato l’inadempimento dell’appellante che aveva determinato l’inammissibilità dell’appello, pregiudicando la sua posizione in maniera irreversibile. Osserva ancora che l’ordinanza revocata ha prodotto effetti che hanno inciso sul suo comportamento processuale, avendovi egli fatto affidamento, e che pertanto la revoca non poteva essere disposta senza rimettere la causa in istruttoria, onde consentire alle parti di assumere posizione sulla stessa.

5) Con il quinto motivo, il ricorrente denuncia violazione dell’art. 331 c.p.c. e rileva che la causa era da considerarsi inscindibile e che la sentenza è stata erroneamente emessa nei confronti di due sole delle parti che avevano partecipato al giudizio di primo grado.

6) Con il sesto, il settimo e l’ottavo motivo, il ricorrente si duole del rigetto, nel merito, della domanda svolta contro il Comune.

Osserva: che il contratto dedotto in giudizio si è validamente concluso, per iscritto, attraverso lo scambio delle dichiarazioni dei contraenti, desumibili dai documenti versati in atti, ritenuti idonei da enti ed uffici terzi al rilascio dei permessi e delle autorizzazioni necessarie all’espletamento dell’incarico; che all’epoca del conferimento dell’incarico (1974) vigeva il consolidato principio della responsabilità solidale dell’Ente pubblico per fatti posti in essere dagli amministratori, modificatosi solo a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 144 del 1999, poi riprodotta dal D.Lgs. n. 77 del 1995, art. 35 ed, oggi, dal D.Lgs. n. 265 del 2000, art. 191; che anche nei confronti della P.A. vigono i principi della buona fede e dell’affidamento circa la validità degli atti da questa posti in essere.

7) Il primo, il secondo ed il quinto motivo di ricorso, che, essendo fra loro strettamente connessi, vanno congiuntamente esaminati, sono fondati e meritano accoglimento.

Dall’esame degli atti processuali, che questa Corte ha il potere – dovere di esaminare, essendo le censure volte a far valere errores in procedendo, emerge che, contrariamente a quanto affermato nella parte narrativa della sentenza impugnata, fu l’odierno ricorrente a chiamare in causa il Di.Gi. ed il D.G., chiedendo che, nel caso di rigetto della domanda formulata contro il Comune, la medesima domanda venisse accolta nei loro confronti.

Nel giudizio di primo grado fu dunque prospettata, rispetto al dedotto inadempimento contrattuale, una responsabilità alternativa, fra il Comune convenuto ed i due sindaci terzi chiamati.

Costituisce principio costantemente enunciato da questa Corte che, nell’ipotesi in cui sia controversa fra più parti la titolarità (attiva o passiva) del rapporto dedotto in giudizio, di modo che la decisione sulla causa concernente la domanda proposta (da o contro) una di esse costituisca presupposto logico della decisione sull’altra causa, si versa in fattispecie di litisconsorzio necessario processuale, in forza del quale le cause devono rimanere riunite anche nella fase di impugnazione, ove sia ancora in discussione la questione dell’individuazione dell’obbligato (Cass. nn. 1535/010, 27152/09, 4794/06, 11946/03, 5164/03, 13695/01, 4921/00). Non v’ è dubbio che il caso in esame rientrasse in tale fattispecie.

Va infatti osservato, in primo luogo, che il F., vittorioso nel giudizio di primo grado, non aveva l’onere di impugnare in via incidentale la sentenza per ottenere il riesame della domanda svolta nei confronti dei due sindaci, rimasta assorbita dall’accoglimento di quella proposta contro il Comune, ma era solo tenuto, per sottrarsi alla presunzione di rinuncia di cui all’art. 346 c.p.c, a riproporre detta domanda (Cass. nn. 2861/08, 8854/07, 27570/05, 4184/03); che inoltre, versandosi in causa assoggettata al cd. “vecchio rito”, l’odierno ricorrente avrebbe potuto certamente esercitare tale potere/dovere processuale sino all’udienza di precisazione delle conclusioni (Cass. nn. 413/06, 15223/05, 24182/04); che, infine, la domanda non avrebbe potuto essere ritualmente riproposta contro i litisconsorti se non in data successiva alla loro citazione in appello.

La Corte territoriale, omettendo di considerare che era stato il F. a sollecitare l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei sindaci e che proprio la mancata ottemperanza del Comune all’ordine impartitogli, ai sensi dell’art. 331 c.p.c., con l’ordinanza del 2.7.02, aveva impedito all’appellato di riproporre la domanda non esaminata in primo grado, ha pertanto erroneamente ritenuto che la questione della responsabilità del Di.

G. e del D.G. non fosse più in discussione nel giudizio d’appello. L’accoglimento dei motivi sin qui esaminati comporta la cassazione della sentenza impugnata. Restano assorbiti gli ulteriori motivi di ricorso. Essendo circostanza pacifica che il Comune di Notaresco non ha provveduto a chiamare in giudizio i sindaci entro il termine perentorio assegnatogli con la citata ordinanza 2.7.02, e non essendo perciò necessari ulteriori accertamenti in fatto, questa Corte può decidere nel merito e dichiarare, ai sensi dell’art. 331 c.p.c., comma 2, inammissibile l’appello proposto dall’ente territoriale avverso la sentenza di primo grado.

Le spese del grado d’appello e del presente grado seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte accoglie il primo, il secondo ed il quinto motivo di ricorso e dichiara assorbiti gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e, decidendo nel merito, dichiara inammissibile l’appello proposto dal Comune di Notaresco; condanna il Comune al pagamento delle spese processuali in favore del F., che liquida, per il giudizio d’appello, in Euro 100 per esborsi, Euro 839 per diritti ed Euro 1.450 per onorari e, per il giudizio di legittimità, in Euro 200 per esborsi ed Euro 1400 per onorari, oltre, per entrambi i gradi, spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 13 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2011

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