Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21171 del 13/09/2017
Cassazione civile, sez. VI, 13/09/2017, (ud. 10/03/2017, dep.13/09/2017), n. 21171
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano – Presidente –
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –
Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 20666-2015 proposto da:
M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LEONARDO GREPPI
77, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO RUGGERO BIANCHI, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato PIETRO REFERZA;
– ricorrente –
contro
S.F., D.E., ME.FE.,
ME.MA.PI., D.V., elettivamente domiciliate in ROMA,
PIAZZA CAVOUR presso la CASSAZIONE, rappresentate e difese
dell’avvocato GIUSEPPE LANCIAPRIMA;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 370/2015 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,
depositata il 12/03/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 10/03/2017 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI.
Preso atto che:
il Consigliere relatore dott. A. Scalisi ha proposto che la
controversia fosse trattata in Camera di Consiglio non partecipata
dalla Sesta Sezione Civile di questa Corte ritenendo la manifesta
infondatezza del ricorso posto che l’assunta violazione di legge si
basa e presuppone una diversa valutazione e ricostruzione delle
risultanze di causa censurabile – e solo entro certi limiti – sotto
il profilo del vizio di motivazione, secondo il paradigma previsto
per la formulazione di detto motivo.
La proposta del relatore è stata notificata alle parti.
Letti gli atti del procedimento di cui in epigrafe.
Fatto
RITENUTO
che:
1.= M.A. con ricorso notificato il 31 luglio 2015 ha chiesto a questa Corte di Cassazione l’annullamento della sentenza n. 370 del 2015 con la quale la Corte di Appello dell’Aquila confermava la sentenza del Tribunale di Teramo che aveva accolto la domanda di Me.Fe. e S.F. (eredi di M.E.), di D.E. e D.V. (eredi di M.A.M. e di D.P.) e di Me.Ma.Pi. volta ad ottenere la declaratoria di nullità del contratto di cui alla scrittura privata del 16 ottobre 1970 stipulato tra M.A. e Me.Gi. in forza del quale il secondo alienava al primo una farmacia di sua proprietà dietro il corrispettivo di una rendita vitalizia, in ragione della mancanza originaria dell’alea economica tra le contrapposte prestazioni, con conseguente ricomprensione della predetta farmacia nell’asse ereditario di M.G., di cui è stata contestualmente dichiarata aperta la successione e prosecuzione del giudizio per la decisione sulla domanda di rendiconto e di divisione.
2.= La cassazione della sentenza della Corte di Appello dell’Aquila è stata affidata ad un motivo, illustrato con memoria. Me.Fe. e S.F. (eredi di M.E.), di D.E. e D.V. (eredi di M.A.M. e di D.P.) e di Me.Ma.Pi. hanno resistito con controricorso.
3.= Il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1872 c.c. e dell’art. 820 c.c., comma 3. Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 645 del 1958, artt. 85,91 e 94 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Il ricorrente sostiene che la Corte distrettuale nel comparare la rendita vitalizia assicurate ed il reddito ricavabile dal cespite ceduto non avrebbe isolato la componente riferibile al lavoro del farmacista, posto che avrebbe individuato l’intero flusso reddituale con il reddito dichiarato ai fini fiscali, reddito che, per legge, includerebbe la componente reddituale attinente al lavoro del farmacista.
4.= Il motivo è infondato ed, essenzialmente, perchè l’assunta violazione di legge si basa e presuppone una diversa valutazione e ricostruzione delle risultanze di causa (il rilievo della componente del reddito riferibile all’apporto personale del farmacista titolare la rilevanza della rinunzia del credito di rivalsa, il rilievo del peso delle imposte corrisposte nel periodo considerato, la rilevanza della dichiarazione dei redditi relativa all’anno 1970), censurabile – e solo entro certi limiti – sotto il profilo del vizio di motivazione, secondo il paradigma previsto per la formulazione di detto motivo.
Va qui ribadito che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta riconducibile ad una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (di qui la funzione di assicurare l’uniforme interpretazione della legge assegnata alla Corte di cassazione dall’art. 65 ord. giud.); viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato, in modo evidente, dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (in tal senso essenzialmente cfr. Cass. n. 16698 e 7394 del 2010).
In definitiva, il ricorso va rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che vengono liquidate con il dispositivo. Il Collegio dà atto che, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
PQM
La Corte rigetta il ricorso, condanna il ricorrente a rimborsare a parte controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 4.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali pari al 15% del compenso ed accessori come per legge, dà atto che, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Depositato in Cancelleria il 13 settembre 2017