Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21170 del 08/08/2019

Cassazione civile sez. II, 08/08/2019, (ud. 21/03/2019, dep. 08/08/2019), n.21170

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – rel. est. Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

B.F., rappresentato e difeso per procura alle liti in calce

al ricorso dall’Avvocato Silvio Garofalo;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro

tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui Uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è

domiciliato ex lege;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3974 della Corte di appello di Milano,

depositata il 9 novembre 2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21

marzo 2019 dal Presidente relatore Stefano Petitti;

udite le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha chiesto il rigetto del

ricorso;

udito l’Avvocato Silvio Garofolo.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 3974 del 9 novembre 2016, la Corte di appello di Milano rigettò il gravame proposto da B.F. avverso la sentenza n. 725 del 2015, con cui il Tribunale di Como aveva accolto solo parzialmente la sua opposizione al decreto n. 408334 del Dirigente generale del Ministero delle Finanze che gli aveva irrogato la sanzione pecuniaria di Euro 112.167,00 per violazione del D.Lgs. n. 195 del 1998, art. 3, per avere esportato all’estero, senza dichiararli, capitali per complessivi Euro 290.420,00, costituiti da una cartella ipotecaria di diritto svizzero al portatore dell’importo di Euro 286.680,00 e per il resto da denaro contante, avendo il giudice di primo grado accolto il solo motivo concernente l’entità della sanzione, ridotta a Euro 84.125,99 e rigettato i restanti motivi di opposizione.

La Corte di appello motivò la decisione, per quanto qui ancora interessa, dichiarando: 1) inammissibile l’eccezione di tardività dell’emissione del provvedimento sanzionatorio, in quanto sollevata dall’opponente soltanto in sede di conclusioni e non con l’atto introduttivo; 2) sussistente la violazione amministrativa contestata essendo la cartella ipotecaria di dritto svizzero un titolo al portatore, incorporando un credito trasferibile mediante la consegna del documento e negoziabile sia in Italia che in Svizzera, come tale assimilabile al denaro contante, ai sensi della specifica previsione contenuta nel D.Lgs. n. 195 del 1998, art. 1, comma 1, lett. c), n. 1; 3) non rinvenibile a favore dell’opponente la scriminante dell’errore incolpevole, risultando dallo stesso documento che si trattava di un titolo di credito al portatore, come tale equiparato al denaro contante in base alla chiara disposizione normativa della legge italiana.

Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato il 9 maggio 2017, ricorre B.F., affidandosi a tre motivi, illustrati da successiva memoria.

Resiste con controricorso il Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo di ricorso denunzia violazione dell’art. 415 c.p.c., art. 2697 c.c., e del D.Lgs. n. 195 del 1998, art. 8, commi 3, 5 e 6, censurando la sentenza impugnata per non avere accolto il motivo di opposizione, formulato già nell’atto introduttivo e riproposto in sede di gravame, che eccepiva la violazione del D.Lgs. n. 195 del 1998, art. 3, per non essersi il procedimento sanzionatorio chiuso nel termine di 240 giorni dal verbale di contestazione dell’infrazione, violazione che, attenendo al rispetto di un termine perentorio, doveva essere rilevata dal giudice d’ufficio.

2. – Il secondo motivo di ricorso, nel denunziare la violazione del D.Lgs. n. 195 del 1998, art. 1, comma 1, lett. c), n. 2, lamenta che la Corte territoriale abbia qualificato la cartella ipotecaria di diritto svizzero come titolo al portatore, assimilandolo al denaro contante. Tale qualificazione, sostiene il ricorso, è errata, in quanto si tratta di un titolo causalmente legato ad un atto di disposizione immobiliare ed alla garanzia di un finanziamento bancario, la cui circolazione non si esaurisce nella semplice traditio, ma richiede ogni relativa annotazione in ordine all’immobile di riferimento nel registro fondiario. Nè in contrario appare fondata l’argomentazione accolta dal giudice a quo che, nel disattendere il rilievo dell’appellante circa il divieto di circolazione in Italia dei titoli al portatore, ha richiamato il D.Lgs. n. 231 del 2007, art. 49, laddove consente detta circolazione a mezzo di intermediari abilitati, atteso che essa fa riferimento ai soli titoli di debito pubblico, obbligazioni societarie e strumenti di pagamento elettronico e similari, ai quali la cartella ipotecaria di diritto svizzero non può essere assimilata, e richiede l’identificazione sia del cedente e del cessionario, svuotando così di significato la locuzione di titolo al portatore, risolvendosi in una mera tautologia l’affermazione della Corte di merito secondo cui tale adempimento risponde solo ad esigenze di trasparenza e di controllo, e non muterebbero la natura del titolo.

3. – Il terzo motivo di ricorso denunzia violazione della L. n. 689 del 1981, art. 3, e censura la sentenza per avere riconosciuto, a favore dell’opponente, l’assenza di colpa per avere commesso il fatto per ignoranza incolpevole della legge.

4. – Il primo motivo di ricorso è fondato.

Giova premettere che non può essere condiviso l’assunto del ricorrente secondo cui, avendo il termine stabilito dal D.Lgs. n. 195 del 2008, art. 8, comma 3, carattere perentorio, la sua inosservanza sarebbe rilevabile d’ufficio dal giudice, posto che questa corte ha più volte precisato che l’opposizione avverso l’ingiunzione di pagamento di una somma di denaro a titolo di sanzione amministrativa, di cui alla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 22 e segg., si configura come atto introduttivo, secondo le regole proprie del procedimento civile, di un giudizio di accertamento della pretesa sanzionatoria, il cui oggetto è delimitato, per l’opponente, dai motivi fatti valere con l’opposizione, con la conseguenza che il giudice non ha il potere di rilevare d’ufficio vizi dell’atto impugnato o del procedimento che lo ha preceduto che non siano stati dedotti dall’opponente, ad eccezione di quelli che siano tali da renderlo non semplicemente illegittimo, ma giuridicamente inesistente (Cass. n. 656 del 2010; Cass. n. 15333 del 2005). Ne consegue che, poichè la violazione di una norma procedurale che impone un termine per l’emissione del provvedimento sanzionatorio comporta un vizio di legittimità dell’atto ma non certo la sua giuridica inesistenza, la relativa inosservanza non è rilevabile d’ufficio dal giudice, ma deve formare oggetto di eccezione da parte dell’opponente nei limiti e nelle forme richieste dalla legge processuale (Cass. n. 743 del 1999).

Tuttavia è fondata la censura con la quale il ricorrente sostiene che la decadenza dell’amministrazione dalla potestà sanzionatoria era stata tempestivamente dedotta nell’atto di opposizione e ritualmente riproposta in grado di appello.

Dall’esame degli atti, al quale il Collegio può procedere per la natura della censura proposta, emerge, infatti, che nell’atto di opposizione il ricorrente aveva denunciato la violazione del D.Lgs. n. 195 del 2008, art. 8, commi 3 e 5, affermando: “Il decreto impugnato è stato adottato in violazione della norma di cui in rubrica siccome il presunto illecito valutario è stato contestato all’opponente il 27 marzo 2013 mentre il decreto impugnato è stato adottato il 13 dicembre 2013, a distanza di duecentosessanta giorni, ben oltre il termine perentorio di duecentoquaranta giorni previsto dalla norma in caso di richiesta di audizione dell’interessato, termine decorso il quale si estingue l’obbligazione di pagamento delle somme che si assumono dovute per le presunte violazioni contestate. Il dies a quo del termine di chiusura del procedimento di irrogazione delle sanzioni è la data di ricezione del verbale di accertamento e di contestazione del 27 marzo 2013 che, ai sensi e per gli effetti di cui al D.Lgs. n. 195 del 2008, art. 4, comma 6, doveva essere trasmesso tramite supporto informatico al Ministero entro sette giorni dalla data del 27 marzo 2013, e perciò alla data del 3 aprile 2013″ ai fini del procedimento sanzionatorio”.

La questione è stata riproposta in appello e la Corte d’appello, dopo aver dato atto che l’appellante aveva lamentato il mancato accoglimento dell’eccezione di tardività dell’emissione del decreto, sostenendo che il Tribunale aveva errato nel ritenere, sulla base di una dichiarazione resa dal Direttore dell’Ufficio dell’Agenzia delle Dogane, che il verbale di contestazione sia stato ricevuto dal Ministero il 24.04.2013 e che, quindi, l’emissione dello stesso sia avvenuta nel rispetto del termine di giorni 240 previsto dal D.Lgs. n. 195 del 2008, art. 8, comma 3, ha ritenuto il motivo infondato, condividendo “le argomentazioni del primo giudice che ha ritenuto tardiva detta contestazione in quanto sollevata soltanto all’udienza di discussione e non con l’atto di opposizione”, soggiungendo che il giudice di primo grado non poteva rilevare d’ufficio l’eventuale tardività del provvedimento.

Come si vede, la risposta data dalla Corte d’appello al primo motivo di gravame risulta errata, avendo la Corte distrettuale omesso di esaminare l’atto di opposizione e di rilevare che l’eccezione di tardività era stata formulata tempestivamente con l’atto di opposizione. Il rilievo della tardività dell’eccezione ha quindi precluso alla Corte territoriale di esaminare le ragioni in base alle quali l’appellante aveva contestato la decisione assunta sul punto dal Tribunale.

Il primo motivo di ricorso va quindi accolto, con assorbimento delle altre censure proposte e con rinvio, per nuovo esame del gravame/ad altra sezione della Corte d’appello di Milano.

Al giudice di rinvio è demandata altresì la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Corte d’appello di Milano.

Così deciso in Roma, il 21 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 agosto 2019

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