Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21170 del 02/10/2020
Cassazione civile sez. I, 02/10/2020, (ud. 23/09/2020, dep. 02/10/2020), n.21170
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –
Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
Sul ricorso proposto da:
M.U., rappr. e dif. dall’avv. (OMISSIS),
marcellocantoni-legalmail.it, elett. dom. presso la cancelleria
della Corte di cassazione, come da procura spillata in calce
all’atto;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappr. e dif.
ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui Uffici è
domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
– costituito –
per la cassazione del decreto Trib. Bologna 10.1.2019, n. 107/2019,
in R.G. 19714/2017;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore Dott.
Massimo Ferro, alla camera di consiglio del 23.9.2020.
Fatto
FATTI DI CAUSA
Rilevato che:
1. M.U. impugna il decreto Trib. Bologna 10.1.2019, n. 107/2019, in R.G. 19714/2017 di rigetto dell’impugnazione interposta avverso la decisione con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ne aveva respinto la domanda, avanzata per le tre forme di tutela;
2. il tribunale, anche dopo aver sentito di persona il richiedente, ha ritenuto: a) condivisibile la valutazione di non credibilità delle dichiarazioni rese, per le molteplici aporie e contraddizioni, oltre che le lacune documentali, posta la motivazione addotta dell’allontanamento dal (OMISSIS) ed il solo timore, in caso di rimpatrio, di persecuzione da parte della famiglia di un giovane con cui avrebbe avuto una relazione omosessuale, riferendo di conseguenze afflittive anche per questi ma in modo incoerente e in generale omettendo di illustrare (e di rispondere su) altri aspetti di tale vissuto in relazione alla famiglia, alla società (OMISSIS), alle prospettive future; b) insussistenti in ogni caso sia i fattori di persecuzione, sia le condizioni per il riconoscimento della protezione sussidiaria, non avendo il ricorrente esposto pericoli di danno grave attuale; c) insussistente un conflitto armato nella specifica regione di provenienza ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) (regione del (OMISSIS)), alla luce delle fonti consultate d’ufficio; d) non dimostrata una specifica situazione soggettiva tale da giustificare la protezione umanitaria, non ricorrendo le tipiche situazioni di vulnerabilità, non valutabili in primo luogo per la preliminare mancanza di credibilità del narrato, nè apparendo sufficienti l’occupazione saltuaria, stante anche l’assenza di problemi di salute ed invero la giovane età, nonchè la presenza dei riferimenti familiari ancora in (OMISSIS);
3. il ricorrente propone due motivi di ricorso; il Ministero dell’Interno resta intimato.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
Considerato che:
1. con il primo motivo si lamenta, in violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 oltre che come vizio di motivazione, l’erroneità del giudizio sulla credibilità, determinato da mancato corretto esercizio dei poteri officiosi, avuto riguardo alle chat esibite in lingua del (OMISSIS) ed essendo notoria la punizione penale dell’omosessualità in (OMISSIS) e tuttora affermato il contatto con il partner della relazione riferita;
2. con il secondo mezzo è contestata la mancata concessione della protezione umanitaria, in violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19 oltre che come vizio di motivazione per l’omesso riferimento all’integrazione sociale, – da oltre due anni in Italia – frequentato corsi d’italiano e lavorato nel biennio 2017-2018;
3. il primo motivo è inammissibile, alla luce del principio per cui “la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito” (Cass. 3340/2019); sul punto, il decreto ha dato conto delle ragioni di ritenuta genericità, vaghezza e contraddizione del narrato, così anche negando – ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. a) – l’assolvimento da parte del richiedente del ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; nè può ascriversi ad errore della motivazione, nella cui critica in sostanza si è risolta la censura, la selezione degli elementi istruttori corroboranti il finale giudizio di non credibilità, elementi a loro volta non censurati in modo specifico laddove è stata evidenziata sia la lacunosità del narrato sia la inattendibilità del documento prodotto e al medesimo riferibile (in ricorso non è stato trascritto un contenuto diverso, oltre a volti maschili, irrilevanti per il tribunale);
4. in tema, invero, opera altresì il principio per cui “il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati”, deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione di tali informazioni da parte delle commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale, non potendo per contro addebitarsi la mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi, in ordine alla ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione, riferita a circostanze non dedotte” (Cass.2355/2020); nè può dirsi che il richiedente abbia allegato motivi di persecuzione secondo la declinazione categoriale del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8 ovvero, quanto alla protezione sussidiaria, danni gravi connessi a condanne o processi penali, ai sensi delle citate prime due lettere dell’art. 14 D.Lgs. cit.;
5. va poi preso atto che non ha trovato censura il complesso ulteriore quadro giustificativo del rigetto della protezione sussidiaria, in punto di conflitto armato, escluso dal tribunale;
6. il terzo motivo è inammissibile, non apparendo scalfita da idonea censura la motivazione con cui il tribunale, escludendo l’appartenenza del ricorrente a categorie soggettive di apprezzabile esposizione a vulnerabilità, ha giudicato insufficiente la relativa ampiezza, in carenza della qualità dei titoli di relazione sociale, culturale, linguistica, abitativa e dunque della pluralità di indici di interazione comunitaria; la censura non ha invero colto la ratio decidendi reiettiva che, svalutando il fattore lavoro, ha negato che, per la sua precarietà e il difetto di attualità, esso potesse costituire un determinante fattore d’integrazione sociale;
7. appare così rispettato nella decisione il principio, con Cass. 23778/2019 (pur sulla scia di Cass. 4455/2018), per cui “occorre il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale, mediante una valutazione comparata della vita privata e familiare del richiedente in Italia e nel Paese di origine, che faccia emergere un’effettiva ed incolmabile sproporzione nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, da correlare però alla specifica vicenda personale del richiedente… altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 cit., art. 5, comma 6″; l’indirizzo è stato ribadito da Cass. s.u. 29460/2019, facendo nella specie difetto i termini oggettivi di un’effettiva comparabilità, al fine di censire la vulnerabilità del ricorrente, negata dal decreto, che ha escluso, per la insufficienza e genericità dei richiami offerti, la rilevanza più specifica di altri fattori; questi ultimi non hanno trovato alcun richiamo rituale e oppositivo nemmeno nel ricorso, tale non potendosi apprezzare nè il generico rinvio ad un quadro di limitazione dei diritti fondamentali nel Paese d’origine senza alcuna individualizzazione provata con riguardo alla vicenda dell’espatrio (non creduto), nè l’altrettale richiamo parziale all’integrazione sociale nel Paese d’arrivo, specificamente ritenuta insufficiente dal tribunale, poichè sostanzialmente coincidente con la sola attività occupazionale precaria, mancando poi evidenziazioni di ragioni gravi di salute del richiedente e permanendo nel Paese d’origine i riferimenti familiari (circostanze su cui è mancato lo sviluppo di ogni critica), nè ricorrendo altri fattori, non dedotti; si tratta di prospettazione tanto più necessaria a fronte della perentoria valutazione d’irrilevanza operata dal giudice di merito e del preliminare giudizio di inattendibilità del narrato (Cass. 2682/2020); si può allora aggiungere che l’odierna censura è inammissibile per genericità e perchè si risolve in un vizio di motivazione, oltre però il limite del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;
il ricorso va dunque dichiarato inammissibile; sussistono i presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020); nulla si dispone per le spese del presente giudizio di cassazione data l’assenza di attività difensiva del Ministero dell’Interno.
PQM
la Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 23 settembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2020