Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2117 del 30/01/2020

Cassazione civile sez. I, 30/01/2020, (ud. 20/11/2019, dep. 30/01/2020), n.2117

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. PACILLI Giuseppina A. R. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23341/2018 proposto da:

A.M., nato in (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma,

presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e

difeso dall’avvocato Dott. Andrea Diroma;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma

Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che

lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di TRIESTE, depositato il

18/05/2018;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/11/2019 dal Consigliere Dott. LUIGI GIOVANNI LOMBARDO;

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – A.M., cittadino (OMISSIS), chiese il riconoscimento della protezione internazionale.

La Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale rigettò la domanda.

2. – Avverso tale provvedimento il richiedente propose ricorso al Tribunale di Trieste, che – con decreto del 18/05/2018 – confermò il provvedimento della Commissione territoriale.

3. – Per la cassazione di tale decreto ha proposto ricorso A.M. sulla base di cinque motivi.

Ha resistito con controricorso il Ministero dell’Interno.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo di ricorso (proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3), si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto, per avere il Tribunale deciso senza che la Commissione territoriale avesse trasmesso la documentazione relativa alla procedura amministrativa.

Il motivo è inammissibile.

Il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis prevede che “La Commissione che ha adottato l’atto impugnato è tenuta a rendere disponibili con le modalità previste dalle specifiche tecniche di cui al comma 16, entro venti giorni dalla notificazione del ricorso, copia della domanda di protezione internazionale presentata, della videoregistrazione di cui all’art. 14, comma 1, del verbale di trascrizione della videoregistrazione redatto a norma del medesimo art. 14, comma 1, nonchè dell’intera documentazione comunque acquisita nel corso della procedura di esame di cui al Capo III (…)”. La disposizione non prevede però l’obbligo di trasmissione e, tantomeno, la sanzione della nullità per la mancata trasmissione.

Nella specie, il Tribunale ha supplito alla mancata disponibilità della documentazione relativa alla fase amministrativa della procedura, disponendo l’audizione del richiedente, che ha reso dichiarazioni.

Quanto alla mancata acquisizione della documentazione relativa alla fase amministrativa della procedura, non trasmessa dalla Commissione territoriale, in disparte il rilievo che la parte avrebbe potuto procedere direttamente alla produzione della documentazione ritenuta rilevante, la censura difetta della necessaria specificità, perchè non precisa se il richiedente abbia formalizzato o meno istanza di esibizione della detta documentazione ai sensi dell’art. 210 c.p.c. e non illustra la decisività che tale documentazione avrebbe potuto avere (cfr. Cass. Sez. 1, n. 3018 del 31/01/2019; Sez. 1, n. 3019 del 31/01/2019).

Sul punto, va ribadito il principio di diritto già enunciato da questa Corte, secondo cui, in tema di protezione internazionale, è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale si deduca l’omessa trasmissione degli atti da parte della Commissione territoriale e la conseguente assunzione della decisione da parte del Tribunale senza l’esame di tali atti, ove non siano state specificamente dedotte le conseguenze in termini di deficit probatorio che da tali omissioni siano derivate (Cass., Sez. 1, n. 6061 del 28/02/2019).

2. – Col secondo motivo (proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3), si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto, per avere il Tribunale omesso di acquisire informazioni sul paese di origine.

Il motivo è inammissibile, in quanto il ricorrente non ha colto la ratio decidendi posta a fondamento della decisione impugnata, avendo il Tribunale esaminato la situazione interna del Paese di origine del richiedente, richiamando il contenuto delle COI e di altre fonti internazionali (p. 5 del decreto impugnato).

3. – Col terzo motivo, si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè il vizio di motivazione della sentenza impugnata (ex art. 360 c.p.c., n. 5), per avere il Tribunale ritenuto non credibile e non affidabile il racconto del richiedente.

La censura è inammissibile, perchè si risolve in una critica del giudizio di attendibilità del racconto del richiedente formulato dai giudici territoriali, che è insindacabile in sede di legittimità quando come nel caso di specie – è giustificato da motivazione esente da vizi logici e giuridici.

4. – Col quarto motivo, si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè il vizio di motivazione della sentenza impugnata (ex art. 360 c.p.c., n. 5), per avere il Tribunale ritenuto non attendibile il racconto del richiedente e per avere omesso di integrare d’ufficio la prova.

Anche questa censura è inammissibile, sia per la ragione evidenziata nell’esame del precedente motivo, sia perchè, in materia di protezione internazionale, ove il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, (che trova applicazione tanto con riguardo alla domanda volta al riconoscimento dello “status” di rifugiato, tanto con riguardo alla domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria, in ciascuna delle ipotesi contemplate dall’art. 14 stesso D.Lgs.) abbia esito negativo, l’autorità incaricata di esaminare la domanda non deve procedere ad alcun ulteriore approfondimento istruttorio officioso, neppure concernente la situazione del Paese di origine (da ultimo, Cass., Sez. 1, n. 15794 del 12/06/2019).

5. – Col quinto motivo, si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (ex art. 360 c.p.c., n. 5), per avere il Tribunale negato anche la protezione umanitaria.

Anche questo motivo è inammissibile.

Il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, nella disciplina di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, (applicabile ratione temporis – secondo quanto statuito da Cass., Sez. Un. 29459 del 13/11/2019 – per essere stata la domanda di riconoscimento del permesso di soggiorno proposta prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, conv., con modif., in L. n. 132 del 2018, che ne ha sostituito il testo), costituisce una misura atipica e residuale, volta ad abbracciare situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento di una tutela tipica (“status” di rifugiato o protezione sussidiaria), non può disporsi l’espulsione e deve provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in condizioni di vulnerabilità, da valutare caso per caso (Cass., Sez. 1, n. 13096 del 15/05/2019; Sez. 6 – 1, n. 23604 del 09/10/2017). Ha precisato questa Corte che il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie deve essere frutto di valutazione autonoma caso per caso, non potendo conseguire automaticamente dal rigetto delle altre domande di protezione internazionale, essendo necessario considerare la specificità della condizione personale di particolare vulnerabilità del richiedente, da valutarsi anche in relazione alla sua situazione psico-fisica attuale ed al contesto culturale e sociale di riferimento (Cass., Sez. 1, n. 13088 del 15/05/2019).

Il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari non può, pertanto, essere riconosciuto al cittadino straniero considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia oppure il contesto di generale e di non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza (Cass., Sez. 6 – 1, n. 17072 del 28/06/2018); essendo invece necessario operare una valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine in raffronto alla situazione di integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale (Cass., Sez. Un., n. 29459 del 13/11/2019; Sez. 1, n. 4455 del 23/02/2018).

Nella specie, non sussistono i dedotti vizi di legittimità, avendo il giudice territoriale puntualmente valutato la situazione del richiedente ed escluso la condizione di vulnerabilità dello stesso avuto riguardo alla sua situazione personale e a quella del paese di provenienza.

Nè è sufficiente, per ottenere la protezione umanitaria, lo svolgimento di attività lavorativa in Italia.

Come statuito da questa Suprema Corte, l’integrazione sociale del ricorrente in ragione della buona conoscenza della lingua italiana, lo svolgimento di attività lavorativa in Italia e l’assenza di condanne penali non rilevano come presupposti per il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, che consegue, al contrario, alla sussistenza di “seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano” (D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6) (Cass., Sez. 6 – 1, n. 25075 del 2017, non massimata).

6. – Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.

7. – Sussistono i presupposti processuali perchè la parte ricorrente versi – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater – un ulteriore importo a titolo contributo unificato pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore del Ministero dell’Interno, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100,00 (duemilacento) per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 20 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2020

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