Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21169 del 02/10/2020

Cassazione civile sez. I, 02/10/2020, (ud. 23/09/2020, dep. 02/10/2020), n.21169

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso proposto da:

M.S.M., rappr. e dif. dall’avv.

francesco.roppo-ordineavvocatiforlicesena.eu, elett. dom. presso il

suo studio in Forlì, viale Matteotti n. 105, come da procura

spillata in calce all’atto;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t.;

– intimato –

per la cassazione del decreto Trib. Bologna 18.1.2019, n. 331/2019,

in R.G. 1226/2018;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore Dott.

Massimo Ferro, alla camera di consiglio del 23.9.2020.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. M.S.M. impugna il decreto Trib. Bologna 18.1.2019, n. 331/2019, in R.G. 1226/2018 di rigetto dell’impugnazione interposta avverso la decisione con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ne aveva respinto la domanda, avanzata per le tre forme di tutela;

2. il tribunale, anche dopo aver sentito di persona il richiedente, ha ritenuto: a) condivisibile la valutazione di non pertinenza del narrato ai requisiti concessivi della protezione internazionale, posta la motivazione economica dell’allontanamento dal (OMISSIS) ed il solo timore, in caso di rimpatrio, di non mantenere la famiglia e fronteggiare debiti; b) insussistenti in ogni caso sia i fattori di persecuzione, sia le condizioni per il riconoscimento della protezione sussidiaria, non avendo il ricorrente esposto pericoli di danno grave e comunque avendo egli omesso di giustificare la carenza documentale e spiegare meglio la sua situazione personale e familiare, oltretutto risultando non credibile la versione del prestito acceso presso usurai (e non del tutto restituito) proprio per il viaggio intrapreso; c) insussistente un conflitto armato nella regione di provenienza ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) alla luce delle fonti COI consultate d’ufficio; d) non dimostrata una specifica situazione soggettiva tale da giustificare la protezione umanitaria, non ricorrendo le tipiche situazioni di vulnerabilità, nè apparendo sufficienti l’occupazione a tempo, stante anche l’assenza di documentazione sulla condizione della famiglia rimasta nel Paese d’origine e di problemi di salute; e) assente infine una problematicità individuale connessa alla permanenza nel Paese di transito (Libia), non avendovi fatto specifica menzione quali conseguenze permanenti;

3. il ricorrente propone due motivi di ricorso ed ha anche depositato memoria; il Ministero dell’Interno resta intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. con il primo motivo si lamenta, in violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 oltre che come vizio di motivazione, l’erroneità del giudizio sulla non credibilità del richiedente relativamente al prestito ricevuto per espatriare, così negando la gravità della situazione patrimoniale rappresentata;

2. con il secondo mezzo è contestata la mancata concessione della protezione umanitaria, in violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19 oltre che come vizio di motivazione per l’omesso riferimento all’integrazione sociale e alla possibilità, con il lavoro, di sostenere la famiglia rimasta in (OMISSIS);

3. il primo motivo è inammissibile, non avendo esso colto la ratio decidendi del decreto che non ha escluso radicalmente la credibilità delle dichiarazioni rese, bensì qualificato le stesse siccome estranee ai presupposti sia della persecuzione, sia della esposizione a pericolo grave ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) piuttosto apparendo riconducibili le ragioni dell’allontanamento a motivazioni prettamente e solo economiche; ciò che appare essere stato dunque dubitato è il contesto debitorio, singolarmente non creduto, con apprezzamento di contraddittorietà motivato in relazione alla totale carenza documentale sulla situazione propria e della famiglia e mancata giustificazione delle ragioni di tale carenza; i limiti della domanda hanno così orientato riduttivamente anche l’onere d’istruzione officiosa;

4. in tema, invero, opera il principio per cui “il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, i Paesi in cui questi sono transitati”, deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione di tali informazioni da parte delle commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale, non potendo per contro addebitarsi la mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi, in ordine alla ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione, riferita a circostanze non dedotte” (Cass.2355/2020); nè può dirsi che il richiedente abbia allegato motivi di persecuzione secondo la declinazione categoriale del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8 ovvero, quanto alla protezione sussidiaria, danni gravi connessi a condanne o processi penali per i debiti allegati nel narrato, ai sensi delle citate prime due lettere dell’art. 14 D.Lgs. cit.;

5. inoltre, si ravvisano nella censura sia l’assoluta genericità con cui invoca, in sostanza, un diverso apprezzamento della nozione di esposizione a pericolo oggettivo d’incolumità cui sarebbe esposto il richiedente in caso di rimpatrio, sia il difetto di correlazione tra tale situazione obiettiva e la necessaria individualizzazione del relativo rischio, non esplicitata con riguardo ad un allegato o documentato processo penale pendente o seriamente prospettato;

6. inoltre, non appare contestata in modo idoneo la considerazione di assenza di conflitto armato; sul punto, va invero data continuità ad una nozione, per come esposta tra le altre da Cass. 18306/2019, per cui “ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia”;

7. il secondo motivo è inammissibile, non apparendo scalfita da idonea censura la motivazione con cui il tribunale, escludendo l’appartenenza del ricorrente a categorie soggettive di apprezzabile esposizione a vulnerabilità, ha giudicato insufficiente la relativa ampiezza, in carenza della qualità dei titoli di relazione sociale, culturale, linguistica, abitativa e dunque della pluralità di indici di interazione comunitaria;

8. appare così rispettato nella decisione il principio, con Cass. 23778/2019 (pur sulla scia di Cass. 4455/2018), per cui “occorre il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale, mediante una valutazione comparata della vita privata e familiare del richiedente in Italia e nel Paese di origine, che faccia emergere un’effettiva ed incolmabile sproporzione nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, da correlare però alla specifica vicenda personale del richiedente… altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 cit., art. 5, comma 6″; l’indirizzo è stato ribadito da Cass. s.u. 29460/2019, facendo nella specie difetto i termini oggettivi di un’effettiva comparabilità, al fine di censire la vulnerabilità del ricorrente, negata dal decreto, che ha escluso, per la insufficienza e genericità dei richiami offerti, la rilevanza più specifica di altri fattori; questi ultimi non hanno trovato alcun richiamo rituale e oppositivo nemmeno nel ricorso, tale non potendosi apprezzare nè il generico rinvio ad un quadro di limitazione dei diritti fondamentali nel Paese d’origine senza alcuna individualizzazione provata con riguardo alla vicenda dell’espatrio (diversamente ricostruito, al più, in un contesto di sofferenza economica che però non avrebbe impedito un utilizzo di fondi anche propri per emigrare), nè l’altrettale generico richiamo all’integrazione sociale nel Paese d’arrivo, specificamente ritenuta insufficiente dal tribunale, poichè sostanzialmente coincidente con la sola attività occupazionale precaria (apparendo in questa sede carente di autosufficienza, perchè nemmeno riportato nei suoi estremi essenziali e non dedotto con prova di avvenuta disamina nel contraddittorio processuale, anche il documento afferente ad un prolungamento del rapporto), mancando poi evidenziazioni di ragioni gravi di salute del richiedente e della propria famiglia e altri fattori, nemmeno dedotti; si tratta di prospettazione tanto più necessaria a fronte della perentoria valutazione d’irrilevanza operata dal giudice di merito; si può allora aggiungere che l’odierna censura è inammissibile per genericità e incompletezza rispetto alla ratio decidendi perchè si risolve in un vizio di motivazione, oltre però il limite del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

il ricorso va dunque dichiarato inammissibile; sussistono i presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020). Nulla va disposto per le spese del presente giudizio di cassazione, data l’assenza di attività difensiva del Ministero dell’Interno.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 23 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2020

 

 

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