Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21166 del 19/10/2015


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 21166 Anno 2015
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: MANNA FELICE

SENTENZA
sul ricorso 14459-2014 proposto da:
BUONO AGOSTINO, elettivamente domiciliato in ROMA,
PIAZZA CAVOUR presso la CASSAZIONE, rappresentato e difeso
dall’avvocato DOMENICO BARBARINO giusta procura speciale a
margine del ricorso;

– ricorrente contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE
80415740580, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

Data pubblicazione: 19/10/2015

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta
e difende ope legis;

– controricorrente avverso il decreto n. Cron. 5110/2013 della CORTE D’APPELLO di

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
15/09/2015 dal Consigliere Relatore Dott. FELICE MANNA.

Ric. 2014 n. 14459 sez. M2 – ud. 15-09-2015
-2-

I

CALTANISSETTA del 10/10/2013, depositato il 24/10/2013;

IN FATTO
Con ricorso del 21.10.2011 Agostino Buono adiva la Corte d’appello di
Caltanissetta per ottenere la condanna del Ministero dell’Economia e delle
Finanze al pagamento di un equo indennizzo, ai sensi dell’art. 2 della legge 24

instaurato innanzi al TAR Palermo con ricorso del 12.4.2002 e definito con
sentenza di rigetto in data 22.1.2010.
Resisteva il Ministero.
Con decreto del 24.10.2013 la Corte d’appello adita rigettava la domanda,
giudicando temeraria la pretesa azionata nel giudizio presupposto. Ciò in
quanto, come emergeva dalla motivazione della sentenza del giudice
amministrativo, il ricorrente, che aveva lamentato l’illegittima esclusione
dalla base di calcolo della nuova retribuzione, all’atto del passaggio alla
qualifica superiore, dell’indennità mensile pensionabile prevista dall’art. 42
legge regionale n. 41/85, aveva in realtà continuato a percepirla in ragione
delle funzioni espletate.
Per la cassazione di tale decreto ricorre Agostino Buono, in base ad un
unico articolato motivo.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze resiste con controricorso.
Il Collegio ha disposto che la motivazione della sentenza impugnata sia
redatta in forma semplificata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.

Con l’unico motivo di ricorso è denunciata, ai sensi del n. 3 dell’art.

360 c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 11 preleggi, 2, comma
2-quinquies, lett. a), b) ed]) legge n. 89/01, 96 c.p.c. e 13 CEDU.
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marzo 2001, n. 89, per la durata irragionevole di un processo amministrativo

Parte ricorrente sostiene che la C.A. non avrebbe potuto rigettare il ricorso
per temerarietà della pretesa in quanto al ricorso Pinto non ;. applica il
comma 2-quinquies dell’art. 2 legge n. 89/01 come modificato dal D.L. n.
83/12, perché proposto prima di tale modifica. E deduce, inoltre, che non

giudice amministrativo.
2. – Il motivo è infondato.
In realtà, è vero l’esatto contrario di quanto sostiene parte ricorrente.
Proprio perché al ricorso si applica la disciplina della legge n. 89/01 anteriore
alle modifiche apportate dal D.L. n. 33/12, convertito in legge n. 134/12, è
sicuramente possibile e rilevante, quale

aa causa di reiezione della domanda

d’equo indennizzo, il solo giudizio di temerarietà indipendentemente
dall’essere stata pronunciata nel giudizio presupposto una condanna ex art. 96
c.p.c.
Ed infatti, secondo il costante indirizzo di questa Corte, formatosi prima di
dette modifiche alla legge c.d. Pinto, il diritto all’equa riparazione per la
durata irragionevole di un processo va escluso, per ragioni di carattere
soggettivo, allorché la parte abbia agito o resistito in giudizio con la
consapevolezza del proprio torto (cfr., fra le tante, Cass. Cass. nn. 28592/11,
10500/11 e 18780/10).
2.1. – Non senza osservare, tuttavia, che anche in base all’art. comma 2-

quinquies, aggiunto all’art. 2 della legge n. 89/01 dall’art. 55, comma 1, lett.
a), n. 3) del D.L. n. 83/12, convertito in legge n. 134/12, le conclusioni non
cambiano, nel senso che l’abuso del processo per effetto della temerarietà
della lite osta al riconoscimento dell’equo indennizzo anche in mancanza di
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ricorrono le condizioni per ritenere temeraria la causa introdotta innanzi al

un provvedimento di condanna ai sensi dell’art. 96 c.p.c., in quanto
l’elencazione contenuta in detto comma 2 quinquies non ha carattere

tassativo.
Milita a favore di tale affermazione, innanzi tutto, l’assenza di elementi

o accertato), sia ammesso in ogni altra ipotesi diversa da quelle elencate dalla
norma.
In secondo luogo, la lett. f) del comma 2 quinquies cit. lascia intendere che

il legislatore, tipizzate alcune ipotesi di abuso [nelle lett. da a) ad e)], abbia
voluto lasciare aperta la possibilità d’individuarne altre di pari livello.
Insopprimibile la peculiarità dei casi singoli e la loro vasta latitudine
esperienziale, la lett. j) del comma opera da clausola finale di chiusura volta a
includere qualsivoglia altra ipotesi similare. (Detta tecnica, che tipizza senza
tuttavia dar luogo ad un catalogo tassativo di ipotesi, non è infrequente: si
pensi, ad esempio, agli illeciti disciplinari e alle norme che, dopo l’elenco di
casi specifici di violazione, qualificano come illecita ogni altra condotta lesiva
del decoro e del prestigio professionale).
La tipizzazione delle ipotesi di cui al comma 2 quinquies cit. reagisce sulla

fattispecie concreta attraverso il vincolo che pone all’interprete.
In particolare, limitando il discorso alla previsione della lett. a) che qui
solo rileva, va osservato che detta norma sottrae al giudice, in presenza di una
condanna ai sensi dell’art. 96 c.p.c., ogni possibilità di apprezzare il caso
specifico, di guisa che il diritto all’indennizzo è senz’altro escluso.
Correlativamente, l’assenza di un provvedimento di condanna per
responsabilità aggravata restituisce al giudice il potere di valutare la condotta
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d’indole letterale idonei a supporre che l’indennizzo, fermo il danno (presunto

tenuta dalla parte nel processo presupposto; e di pervenire se del caso ad un
giudizio di temerarietà della lite non formulato dal giudice di quella causa.
L’inesistenza nel giudizio presupposto di una condanna per responsabilità
aggravata ben può dipendere, infatti, da fattori del tutto accidentali, quali

due commi dell’art. 96 c.p.c., ovvero il mancato esercizio del potere officioso
ma discrezionale che il terzo comma di detta norma assegna al giudice. In
questi casi nulla autorizza a ritenere che la parte soccombente non abbia agito
o resistito in giudizio con la consapevolezza del proprio torto. Semplicemente,
non vi è stato alcun accertamento al riguardo.
Sarebbe, dunque, del tutto illogico sopprimere nel procedimento d’equa
riparazione ogni altro rilievo della mala fede processuale (non già esclusa,
ma) non valutata nel giudizio presupposto, vincolando il giudice ad un
giudizio di non temerarietà della lite non altrimenti motivato e motivabile. Se
ne deve concludere che l’ipotesi di abuso del processo di cui alla lett. a) del
comma 2-quinquies dell’art. 2 legge n. 89/01, non esaurisce l’incidenza della
temerarietà della lite sul diritto all’equa riparazione, essendo consentito al
giudice di pervenire a tale giudizio in base al proprio apprezzamento. Pertanto
il giudice del procedimento ex lege n. 89/01 può valutare anche ipotesi di
temerarietà che per qualunque ragione nel processo presupposto non abbiano
condotto ad una pronuncia di condanna ai sensi dell’art. 96 c.p.c.
E poiché, nella fattispecie, il giudizio di temerarietà è stato espresso dalla
Corte territoriale in maniera consape – le, e non sulla base del mero rigetto
della domanda azionata innanzi al giudice amministrativo, tale giudizio non è
scalfito dalla censura, veicolata ai sensi del n. 3 dell’art. 360 c.p.c. (e non del
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l’assenza di domanda o il difetto di prova del danno, nelle ipotesi dei primi

n. 5 c.p.c., che, peraltro, nella sua versione attuale ed applicabile al caso in
esame non consente di censurare la motivazione ma solo l’omesso esame del
fatto).
3. – Il ricorso va dunque respinto.

ricorrente.
5. – Rilevato che dagli atti il processo risulta esente dal pagamento del

contributo unificato, non si applica l’art. 13, comma 1 quat,,. D.P.R. n.
115/02, inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12.

P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in
C 500,00, oltre spese prenotate e prenotande a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 15.9.2015.

4. – Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza del

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