Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21166 del 07/08/2019

Cassazione civile sez. lav., 07/08/2019, (ud. 04/07/2019, dep. 07/08/2019), n.21166

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2527-2014 proposto da:

COMUNE ANCONA, C.F. (OMISSIS), in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MAGLIANO SABINA 24, presso lo

studio dell’avvocato LUIGI PETTINARI, rappresentata e difesa

dall’avvocato ALESSANDRO LUCCHETTI;

– ricorrente –

contro

G.P., elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE

FLAMINIO 44, presso lo studio dell’avvocato CESARE SERRINI, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1195/2012 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 14/01/2013 r.g.n. 394/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/07/2019 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ Stefano, che ha concluso per l’accoglimento del primo

motivo, assorbito il terzo motivo;

udito l’Avvocato ALBERTO LUCCHETTI per delega verbale Avvocato

ALESSANDRO LUCCHETTI;

udito l’Avvocato GIAMPIERO PLACIDI per delega verbale Avvocato CESARE

SERRINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La sentenza attualmente impugnata (depositata il 14 gennaio 2013) respinge l’appello del Comune di Ancona avverso la sentenza del Tribunale locale depositata il 30 aprile 2009, di rigetto: 1) della domanda di G.P. diretta ad ottenere l’accertamento del proprio diritto a percepire i “diritti di rogito” in relazione alla corrispondente attività svolta quale vicesegretario in sostituzione del segretario comunale; 2) della domanda riconvenzionale del Comune di condanna alla restituzione di quanto erogato al G. al suddetto titolo prima del febbraio 2006, quando sono entrate in vigore le norme del CCNL 22 febbraio 2006 del Comparto Regioni e Autonomie locali che hanno previsto la corresponsione dei diritti di rogito anche per l’attività svolta dal vicesegretario in sostituzione del segretario comunale.

La Corte d’appello di Ancona, per quel che qui interessa, precisa che:

a) poichè G.P. non ripropone la questione della spettanza a titolo di “diritti di rogito” degli emolumenti di cui il Comune chiede la restituzione, l’accertamento negativo sul punto deve ritenersi coperto da giudicato;

b) non è stata accolta la domanda riconvenzionale di restituzione, ma l’eccezione di compensazione impropria del dirigente che accerta un diverso credito dello stesso, limitata ad una differente qualificazione giuridica dei medesimi fatti materiali, quindi nessuna extrapetizione;

c) neppure merita accoglimento l’assunto secondo cui il diritto alla retribuzione di risultato non sarebbe mai sorto non sussistendone i presupposti di cui all’art. 29 del CCNL, in quanto la mancanza dei suddetti presupposti configura altrettanti inadempimenti contrattuali da parte dell’Ente;

d) infatti, il Comune trascura che anche nella relazione dell’Ispettore generale capo del MEF – posta a base della domanda di restituzione del Comune – si affermava che l’attività sostitutiva di rogito svolta dal vicesegretario doveva essere compensata con un aumento della retribuzione di risultato o di posizione;

e) poichè nulla viene allegato sulla erogazione in altra forma di compensi “di posizione” per l’attività in questione, è evidente che l’inadempimento del Comune nel fissare i presupposti della retribuzione di risultato non può frustrare il diritto del dipendente;

f) il carattere discrezionale della relativa attività (per la fissazione e verifica dei criteri e degli obiettivi) non ne esclude l’obbligatorietà e ciò rende superfluo ipotizzare un diverso titolo risarcitorio a vantaggio del dipendente;

g) tale ultima considerazione assorbe il corretto rilievo del Comune secondo cui la Delib. Giunta 2 ottobre 2001, n. 426 non era diretta a fissare gli obiettivi e i criteri per la determinazione della retribuzione di risultato, ma solo ad individuare le fonti di finanziamento del relativo fondo, pur dovendosi sottolineare che il richiamo a tale Delib. è diretto soltanto a confermare l’avvenuto riconoscimento, da parte dell’Ente, del diritto del vicesegretario a vedere compensata l’attività di rogito con la retribuzione di risultato.

2. Il ricorso del Comune di Ancona domanda la cassazione della sentenza per tre motivi; resiste, con controricorso, Primo G..

Entrambe le parti depositano anche memorie ex art. 378 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

I – Sintesi dei motivi di ricorso.

1. Il ricorso è articolato in tre motivi.

1.1. Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 24 e s.m.i. (già D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 24 e s.m.i.), dell’art. 32 del CCNL 23 dicembre 1999, dell’art. 10 del CCNL 31 marzo 1999, in materia di “onnicomprensività” del trattamento retributivo del dirigente.

Si sostiene che la Corte d’appello – in violazione del principio di onnicomprensività – avrebbe sindacato l’adeguatezza dell’importo dell’indennità di risultato rispetto all’attività di rogito svolta, parificando l’importo dell’indennità di risultato alla somma chiesta in restituzione per l’attività di rogito e quindi compensando tra loro le due somme.

La pretesa di incrementare per via giurisdizionale l’importo dell’indennità di risultato in ragione di una specifica attività svolta (attività di rogito del vicesegretario in sostituzione del segretario comunale) è contraria alla legge e alla contrattazione collettiva, anche integrativa.

In base alle relative indicazioni – e ad una nota del Ministero dell’Economia e delle Finanze, seguita dal Comune di Ancona – l’attività di rogito in oggetto doveva essere compensata con un aumento dell’indennità di risultato, ma questo non può comportare che in sede giudiziaria tutti i diritti di rogito vengano inseriti automaticamente nell’indennità di risultato.

1.2. Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione degli artt. 1241 e 1243 c.c., del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 24 e s.m.i. (già D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 24 e s.m.i.), dell’art. 29 del CCNL 23 dicembre 1999, dell’art. 8 dell’Accordo di Ente in tema di “indennità di risultato” dovuta al dirigente.

La determinazione dell’indennità di risultato è affidata alle procedure stabilite dalla legge e dalla contrattazione collettiva, quindi non poteva trattarsi di un credito di pronta liquidità, quale che si richiede per la compensazione.

Peraltro, la Corte d’appello dà atto del passaggio in giudicato della statuizione di non spettanza dei diritti di rogito, quindi l’incremento dell’indennità di risultato non poteva coincidere con i diritti di rogito.

La Corte d’appello si sostituisce alle parti sociali stabilendo l’entità dell’indennità di risultato dovuta senza tenere conto dei presupposti richiesti dagli artt. 28 e 29 del CCNL cit. per l’erogazione di tale indennità – non allegati dal dirigente nè rinvenuti d’ufficio dal Giudice – rappresentati, in primo luogo, dal relativo finanziamento attraverso la definizione di una quota delle risorse complessive dell’Ente e poi dalla valutazione dell’operato del dirigente.

A fronte di questa situazione, la Corte d’appello si limita a fare generici riferimenti alla “notevole discrezionalità riconosciuta al datore di lavoro dal contratto collettivo in materia” e ad un asserito inadempimento del Comune, senza dare conto della disciplina relativa alla determinazione dell’indennità di risultato, apertamente violata nella sentenza impugnata.

1.3. Con il terzo motivo si denunciano: a) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione dell’art. 1243 c.c., comma 2, in materia di compensazione; b) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Si sottolinea che gli importi liquidati dalla Corte d’appello per diritti di rogito sono sicuramente superiori a quelli che sarebbero stati corrisposti in applicazione della procedura prevista dalla contrattazione collettiva e nella sentenza impugnata non si rinviene alcun criterio di ricalcolo di tali importi.

In ogni caso, si ribadisce che il credito relativo all’indennità di risultato non era di pronta liquidazione (come richiesto per la compensazione), in quanto la liquidazione dipende dai criteri stabiliti dalla contrattazione collettiva dell’Ente.

Nella sentenza impugnata non è contenuta alcuna indicazione sui relativi criteri di quantificazione e tale omessa motivazione è determinante, incidendo sulla compensabilità dei crediti.

II – Esame delle censure.

2. L’esame delle censure porta all’accoglimento del primo motivo e al conseguente assorbimento degli altri due motivi.

3. In base a costanti e condivisi orientamenti di questa Corte in materia di trattamento economico da riconoscere ai dirigenti nell’ambito del lavoro pubblico contrattualizzato:

a) a tale trattamento si applica il principio di onnicomprensività, che comporta che il trattamento economico dei dirigenti remunera tutte le funzioni e i compiti loro attribuiti secondo il contratto individuale o collettivo, nonchè qualsiasi incarico conferito dall’Amministrazione di appartenenza o su designazione della stessa (vedi, per tutte: Cass. 5 marzo 2009, n. 5306; Cass. 8 febbraio 2018, n. 3094);

b) in linea generale, alla qualifica dirigenziale corrisponde, nel suddetto ambito, soltanto l’attitudine professionale all’assunzione di incarichi dirigenziali di qualunque tipo (vedi: Cass. 22 dicembre 2004, n. 23760; Cass. 15 febbraio 2010, n. 3451; Cass. 22 febbraio 2017, n. 4621) e, proprio per il significato da essa rivestito nel sinallagma contrattuale, il possesso di tale qualifica costituisce la ragion d’essere dell’attribuzione del trattamento economico fondamentale (o fisso) determinato dai contratti collettivi (Cass. 2 febbraio 2011, n. 2459; Cass. 31 gennaio 2018, n. 2462);

c) in base al D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 19 e 24 (e la norme dei CCNL ad essi collegate), la struttura del trattamento retributivo dei dirigente si compone oltre che della retribuzione fissa, o di base, anche di una retribuzione accessoria collegata – alla stregua del citato D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 24 che ne ha rimesso la disciplina al contratto individuale – al livello di responsabilità attribuito con l’incarico di funzione ed ai risultati conseguiti nell’attività amministrativa e di gestione (Cass. 17 novembre 2014, n. 24396);

d) anche se il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 24 ha reso necessaria la presenza, nella retribuzione del dirigente, di una parte accessoria correlata alle concrete funzioni ed alle responsabilità, tuttavia la relativa determinazione è rimessa alla emanazione del provvedimento di graduazione delle funzioni da parte dell’Amministrazione (quale atto di c.d. macroorganizzazione) e, poi, alla negoziazione tra le Parti sociali, quindi non è configurabile alcuna responsabilità della P.A. nei confronti dei propri dipendenti, in termini di un preteso inadempimento all’obbligo contrattuale di avviare tempestivamente procedure di confronto sindacale per la graduazione delle funzioni, quale ulteriore condizione della pretesa economica avanzata (Cass. 31 marzo 2009, n. 7768 e nello stesso senso: Cass. 25 marzo 2014, 6956; Cass. 25 settembre 2015, n. 19040; Cass. 10 novembre 2016, n. 22934);

e) nel trattamento economico accessorio sono comprese: 1) l’indennità di posizione che varia, secondo le funzioni ricoperte e le responsabilità connesse, in base ad una graduazione operata da ciascuna Amministrazione; 2) l’indennità di risultato, finalizzata a remunerare la qualità delle prestazioni e gli obiettivi conseguiti;

f) la retribuzione di posizione riflette “il livello di responsabilità attribuito con l’incarico di funzione” e denota, quindi, attraverso il collegamento al livello di responsabilità, lo specifico valore economico di una determinata posizione dirigenziale al di fuori di ogni automatismo (Cass. 10 maggio 2007 n. 11084; Cass. 14 ottobre 2015, n. 20697);

g) la retribuzione di risultato corrisponde all’apporto del dirigente in termini di produttività o redditività della sua prestazione;

h) indennità di posizione e indennità di risultato, rappresentano, quindi, strumenti di differenziazione e di flessibilità del trattamento economico con funzione incentivante (Cass. 10 maggio 2007 n. 11084 cit.);

i) dalle disposizioni normative e contrattuali di riferimento emerge con chiarezza che sia la retribuzione posizione sia quella di risultato, lungi dal costituire voci automatiche restano invece subordinate, per ciascun dirigente, a specifiche determinazioni annuali, volte a vagliare la presenza in concreto dei relativi presupposti determinazioni da effettuare, nel caso della retribuzione di risultato, solo a seguito della definizione, parimenti annuale, degli obiettivi e delle valutazioni degli organi di controllo interno, oltre che al rispetto dei limiti delle risorse disponibili e della capacità di spesa dell’Amministrazione interessata (Cass. 6 ottobre 2016, n. 20065);

4. Nella specie la Corte d’appello si è discostata da tali principi, principalmente perchè è partita dall’erronea premessa secondo cui al G. fosse da riconoscere una posizione giuridica di diritto soggettivo pieno a vedere compensata con la retribuzione di risultato l’attività di rogito svolta come vicesegretario ancorchè non ne sussistessero i presupposti di cui all’art. 29 del CCNL 23 dicembre 1999, Comparto Regioni – Enti Locali Area Della Dirigenza 1998 – 2001.

In base a tale norma contrattuale, dedicata alla retribuzione di risultato:

“1. Gli enti definiscono i criteri per la determinazione e per l’erogazione annuale della retribuzione di risultato.

2. Nella definizione dei criteri di cui al comma 1, gli enti devono prevedere che la retribuzione di risultato possa essere erogata solo a seguito di preventiva definizione degli obiettivi annuali, nel rispetto dei principi di cui al D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 14, comma 1, e della positiva verifica e certificazione dei risultati di gestione conseguiti in coerenza con detti obiettivi, secondo le risultanze dei sistemi di valutazione di cui all’art. 23 del CCNL del 10 aprile 1996 come sostituito dall’art. 14. Nella determinazione dei criteri gli enti devono anche valutare la correlazione tra la retribuzione di risultato e i compensi professionali percepiti ai sensi dell’art. 37 del presente CCNL e della L. n. 109 del 1994, art. 18”.

5. Ebbene, l’anzidetta mancanza di presupposti avrebbe dovuto essere considerata determinante dalla Corte territoriale.

Infatti, per quanto si è detto, il giudice non può sostituirsi alle Parti sociali nella determinazione del trattamento retributivo dei dipendenti pubblici in genere, visto che l’adozione da parte della P.A. di un atto negoziale di diritto privato di gestione del rapporto, con il quale venga attribuito al lavoratore un determinato trattamento economico, non è sufficiente, di per sè, a costituire una posizione giuridica soggettiva in capo al lavoratore medesimo, giacchè la misura economica deve trovare necessario fondamento nella contrattazione collettiva, con la conseguenza che il diritto si stabilizza in capo al dipendente solo qualora l’atto sia conforme alla volontà delle parti collettive (di recente: Cass. 15 giugno 2018, n. 15902).

Tale principio – che è di applicazione generale – vale, a maggior ragione, con riguardo alle indennità di risultato e di posizione dei dirigenti, per la cui attribuzione, oltre ai generali presupposti (riferiti anche ai limiti di spesa) sono necessarie le anzidette verifiche in concreto dell’operato dei destinatari (vedi, per tutte: Cass. 12 maggio 2017, n. 11899).

6. La Corte territoriale, invece, ha ritenuto che l’anzidetta insussistenza dei presupposti previsti dall’art. 29 del CCNL per la retribuzione di risultato fosse da ascrivere ad inadempimenti contrattuali del Comune di Ancona, che avrebbero frustrato il “diritto” del dipendente.

Si tratta, come si è detto, di una soluzione che non è rispettosa della volontà delle Parti collettive – determinante in materia di trattamento retributivo dei dirigenti pubblici – che, fra l’altro, da febbraio 2006, quando sono entrate in vigore le norme del CCNL 22 febbraio 2006 del Comparto Regioni e Autonomie locali – non applicabili nella specie ratione temporis – ha previsto la corresponsione dei diritti di rogito anche per l’attività svolta dal vicesegretario in sostituzione del segretario comunale, di cui qui si tratta (ma per un periodo di tempo conclusosi prima).

La soluzione stessa non è neppure rispettosa dei suindicati principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte, con i quali si è anche sottolineato che l’Amministrazione non si può considerare inadempiente per non essere pervenuta a concludere con le Parti sociali il contratto collettivo che riveste un ruolo centrale per dare concreta attuazione al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 24 laddove prevede come necessaria, nella retribuzione del dirigente, una parte accessoria correlata alle funzioni e alle responsabilità (Cass. SU n. 7768 del 2009 cit.).

7. Invero, pur essendo incontestato che in una nota del Ministero dell’Economia e delle Finanze – posta a base della domanda di restituzione del Comune – si sottolineava che l’attività di rogito del vicesegretario in oggetto dovesse essere compensata con un aumento dell’indennità di risultato.

Tuttavia una simile nota – cui non poteva certamente attribuirsi valore cogente nel presente giudizio non avendo natura normativa, ma di atto amministrativo – non poteva certamente comportare l’inserimento automatico di tutti i diritti di rogito di cui si tratta nell’indennità di risultato, disposto in sede giudiziaria, in contrasto con quanto stabilito dalla legge e dalla contrattazione collettiva.

III – Conclusioni.

8.Per le anzidette ragioni, il primo motivo di ricorso deve essere accolto e, di conseguenza, gli altri due motivi vanno dichiarati assorbiti.

9. La sentenza impugnata deve essere, quindi, cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Ancona, che, in diversa composizione, si atterrà, nell’ulteriore esame del merito della controversia, a tutti i principi su affermati.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti il secondo e il terzo motivo. Cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Ancona, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 4 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 agosto 2019

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