Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21165 del 02/10/2020

Cassazione civile sez. I, 02/10/2020, (ud. 23/09/2020, dep. 02/10/2020), n.21165

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso proposto da:

H.M.B., rappr. e dif. dall’avv. Maurizio Sottile,

maurizio.sottile-ordineavvocatiforlicesena.eu, elett. dom. presso il

suo studio in Cesena, viale Matteotti n. 60, come da procura

spillata in calce all’atto;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t.;

– intimato –

per la cassazione del decreto Trib. Bologna 17.12.2018, n. 4985/2018,

in R.G. 18798/2017;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore Dott.

Massimo Ferro, alla camera di consiglio del 23.9.2020.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. H.M.B. impugna il decreto Trib. Bologna 17.12.2018, n. 4985/2018, in R.G. 18798/2017 di rigetto dell’impugnazione interposta avverso la decisione con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ne aveva respinto la domanda, avanzata per le tre forme di tutela;

2. il tribunale, anche dopo aver sentito di persona il richiedente, ha ritenuto: a) condivisibile la valutazione di non pertinenza del narrato, nonostante la credibilità delle dichiarazioni rese, ai requisiti concessivi della protezione internazionale, posta la motivazione economica dell’allontanamento dal (OMISSIS) ed il solo timore, in caso di rimpatrio, di non mantenere la famiglia e fronteggiare il debito dotale non assolto dal matrimonio (sciolto per divorzio); b) insussistenti in ogni caso sia i fattori di persecuzione, sia le condizioni per il riconoscimento della protezione sussidiaria, non avendo il ricorrente esposto pericoli di danno grave; c) insussistente un conflitto armato nella specifica regione di provenienza ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) ((OMISSIS), vicino a (OMISSIS)), alla luce delle fonti consultate d’ufficio; d) non dimostrata una specifica situazione soggettiva tale da giustificare la protezione umanitaria, non ricorrendo le tipiche situazioni di vulnerabilità, nè apparendo sufficienti l’occupazione a tempo, stante anche l’assenza di documentazione sulla condizione della famiglia rimasta nel Paese d’origine e di problemi di salute; e) assente infine una problematicità individuale connessa alla permanenza nel Paese di transito (Libia), non avendovi fatto specifica menzione quali conseguenze permanenti;

3. il ricorrente propone tre motivi di ricorso, e il Ministero dell’Interno resta intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. con il primo motivo si lamenta, in violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2-6 e 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, artt. 2-3 CEDU, oltre che come vizio di motivazione, l’erroneità del giudizio sulla insussistenza di esposizione a pericolo del richiedente in caso rimpatrio, così essendo mancato il corretto esercizio dei poteri officiosi;

2. con il secondo mezzo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 14 anche come vizio di motivazione, per avere il tribunale erroneamente esclusa la gravità della situazione in (OMISSIS), con un processo penale ingiusto;

3. con il terzo motivo è contestata la mancata concessione della protezione umanitaria, in violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19 oltre che come vizio di motivazione per l’omesso riferimento all’integrazione sociale e alla possibilità, con il lavoro, di sostenere la famiglia rimasta in (OMISSIS);

4. il primo motivo è inammissibile, non avendo esso colto la ratio decidendi del decreto che non ha escluso la credibilità delle dichiarazioni rese o fatto riferimento ad un trasferimento dell’istante in altra zona del Paese, bensì qualificato le prime siccome estranee ai presupposti sia della persecuzione, sia della esposizione a pericolo grave ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) piuttosto apparendo riconducibili già le ragioni dell’allontanamento a motivazioni proprie del contesto debitorio o comunque degli impegni economici gravanti, per ragioni giuridiche o determinazioni morali, sul richiedente stesso, così rendendo limitato anche l’onere d’istruzione officiosa;

5. in tema, invero, opera il principio per cui “il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati”, deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione di tali informazioni da parte delle commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale, non potendo per contro addebitarsi la mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi, in ordine alla ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione, riferita a circostanze non dedotte” (Cass. 2355/2020); nè può dirsi che il richiedente abbia allegato motivi di persecuzione secondo la declinazione categoriale del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8 ovvero, quanto alla protezione sussidiaria, danni gravi connessi a condanne o processi penali per i debiti allegati nel narrato, ai sensi delle citate prime due lettere dell’art. 14 D.Lgs. cit.;

6. il secondo profilo del primo motivo e l’intero secondo motivo, da trattare congiuntamente, sono inammissibili, per plurime ragioni; in primo luogo, si osserva che “le liti tra privati per ragioni proprietarie o familiari non possono essere addotte come causa di persecuzione o danno grave, nell’accezione offerta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, trattandosi di “vicende private” estranee al sistema della protezione internazionale, non rientrando nè nelle forme dello “status” di rifugiato, (art. 2, lett. e), nè nei casi di protezione sussidiaria, (art. 2, lett. g), atteso che i c.d. soggetti non statuali possono considerarsi responsabili della persecuzione o del danno grave ove lo Stato, i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, comprese le organizzazioni internazionali, non possano o non vogliano fornire protezione contro persecuzioni o danni gravi ma con riferimento ad atti persecutori o danno grave non imputabili ai medesimi soggetti non statuali ma da ricondurre allo Stato o alle organizzazioni collettive di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. art. 5, lett. b)” (Cass. 9043/2019); inoltre, si ravvisano nella censura sia l’assoluta genericità con cui invoca, in sostanza, un diverso apprezzamento della nozione di esposizione a pericolo oggettivo d’incolumità cui sarebbe esposto il richiedente in caso di rimpatrio, sia il difetto di correlazione tra tale situazione obiettiva e la necessaria individualizzazione del relativo rischio, non esplicitata con riguardo ad un allegato o documentato processo penale pendente o seriamente prospettato;

7. sul punto, va invero data continuità ad una nozione, per come esposta tra le altre da Cass. 18306/2019, per cui “ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia”;

8. il terzo motivo è inammissibile, non apparendo scalfita da idonea censura la motivazione con cui il tribunale, escludendo l’appartenenza del ricorrente a categorie soggettive di apprezzabile esposizione a vulnerabilità, ha giudicato insufficiente la relativa ampiezza, in carenza della qualità dei titoli di relazione sociale, culturale, linguistica, abitativa e dunque della pluralità di indici di interazione comunitaria;

9. appare così rispettato nella decisione il principio, con Cass. 23778/2019 (pur sulla scia di Cass. 4455/2018), per cui “occorre il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale, mediante una valutazione comparata della vita privata e familiare del richiedente in Italia e nel Paese di origine, che faccia emergere un’effettiva ed incolmabile sproporzione nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, da correlare però alla specifica vicenda personale del richiedente … altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 cit., art. 5, comma 6″; l’indirizzo è stato ribadito da Cass. s.u. 29460/2019, facendo nella specie difetto i termini oggettivi di un’effettiva comparabilità, al fine di censire la vulnerabilità del ricorrente, negata dal decreto, che ha escluso, per la insufficienza e genericità dei richiami offerti, la rilevanza più specifica di altri fattori; questi ultimi non hanno trovato alcun richiamo rituale e oppositivo nemmeno nel ricorso, tale non potendosi apprezzare nè il generico rinvio ad un quadro di limitazione dei diritti fondamentali nel Paese d’origine senza alcuna individualizzazione provata con riguardo alla vicenda dell’espatrio (diversamente ricostruito, al più, in un contesto di conflitto privatistico), nè l’altrettale generico richiamo all’integrazione sociale nel Paese d’arrivo, specificamente ritenuta insufficiente dal tribunale, poichè sostanzialmente coincidente con la sola attività occupazionale precaria, mancando poi evidenziazioni di ragioni gravi di salute del richiedente e della propria famiglia e altri fattori, nemmeno dedotti;

10. nè può dirsi ritualmente coltivato nel procedimento, e corrispondentemente ripreso in ricorso, un parametro di comparazione collegato alla esposizione del richiedente, a seguito del forzato rimpatrio, “ad una situazione di gravissima difficoltà personale ed economica, accentuata in ogni caso dalla rilevante criticità che caratterizza il (OMISSIS), una nazione in cui ancora un terzo della popolazione vive in condizioni di grave povertà” (Cass. 19540/2020), situazione già ritenuta rilevante secondo recente indirizzo di legittimità, ma nella specie non prospettata nei termini radicali di cd. povertà assoluta determinativa di estremo bisogno di cibo non soddisfacibile; va invero ripetuto che “l’abbandono del paese di provenienza motivato da condizioni generali di povertà non può giustificare in sè il rilascio di un permesso per motivi umanitari… mentre il presupposto della protezione umanitaria si caratterizza per la specificità della condizione personale di particolare vulnerabilità del richiedente, da valutarsi in relazione alla sua situazione psico-fisica attuale e al contesto culturale e sociale di riferimento” (Cass. 9158/2020, 13088/2019); tuttavia, si è precisato che “ciò…non toglie che possa esser considerata in sè vulnerabile, in senso oggettivo, la persona che, per fame, in patria si trovi costretta a vivere in condizioni assolutamente incompatibili coi limiti propri della dignità umana; resta tuttavia il fatto che l’accertamento di una tal condizione è devoluto al giudice del merito sulla base degli elementi specifici dell’allegazione” (ancora Cass. 9158/2020); si tratta di allegazione tanto più necessaria a fronte della perentoria valutazione d’irrilevanza operata dal giudice di merito; si può allora aggiungere che l’odierna censura è inammissibile per genericità e perchè si risolve in un vizio di motivazione, oltre però il limite del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

il ricorso va dunque dichiarato inammissibile; sussistono i presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020); nulla per le spese del presente giudizio di cassazione, in assenza di attività difensiva del Ministero dell’Interno.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 23 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2020

 

 

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