Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21164 del 02/10/2020

Cassazione civile sez. I, 02/10/2020, (ud. 23/09/2020, dep. 02/10/2020), n.21164

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso proposto da:

G.J., rappr. e dif. dall’avv. Francesco Roppo,

francesco.roppo-ordineavvocatiforlicesena.eu, elett. dom. presso il

suo studio in Forlì, viale Matteotti n. 105, come da procura

spillata in calce all’atto;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t.;

– intimato –

per la cassazione del decreto Trib. Bologna 20.12.2018, n. 4156/2018,

in R.G. 16829/2017;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore Dott.

Massimo Ferro. alla camera di consiglio del 23.9.2020.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. G.J. impugna il decreto Trib. Bologna 20.12.2018, n. 5076/2018, in R.G. 20433/2017 di rigetto dell’impugnazione interposta avverso la decisione con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ne aveva respinto la domanda, avanzata per le tre forme di tutela;

2. il tribunale, anche dopo aver sentito di persona il richiedente, ha ritenuto: a) condivisibile la valutazione di genericità ed incoerenza delle dichiarazioni rese, essendo mancato il ragionevole sforzo per circostanziare la domanda, oltre che la produzione di un qualunque documento relativo alla situazione personale e familiare, essendo stato motivato nella sostanza l’allontanamento dalla (OMISSIS) – come apprezzato già dalla commissione – con ragioni economiche; b) insussistenti in ogni caso sia i fattori di persecuzione, sia le condizioni per il riconoscimento della protezione sussidiaria, non avendo il ricorrente esposto pericoli di danno grave; c) insussistente un conflitto armato nella specifica regione di provenienza ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) ((OMISSIS)), alla luce delle fonti consultate d’ufficio; d) non dimostrata una specifica situazione soggettiva tale da giustificare la protezione umanitaria, non ricorrendo le tipiche situazioni di vulnerabilità, nè apparendo sufficienti l’occupazione a tempo e le attività svolte nel contesto del sistema di accoglienza; e) assente infine una problematicità individuale connessa alla permanenza nel Paese di transito (Libia), non avendovi fatto specifica menzione quali conseguenze permanenti;

3. il ricorrente propone due motivi di ricorso. Il Ministero dell’Interno resta intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. con il primo motivo si lamenta, in violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 oltre che come vizio di motivazione, l’erroneità del giudizio sulla credibilità del richiedente;

2. con il secondo mezzo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e dell’art. 10 Cost., oltre che come vizio di motivazione, quanto all’erroneo diniego della protezione umanitaria;

3. il primo motivo è inammissibile, alla luce del principio per cui “la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma. 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito” (Cass. 3340/2019); sul punto, il decreto ha dato conto delle ragioni di ritenuta genericità e contraddizione del narrato, così anche negando – ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. a) – l’assolvimento da parte del richiedente del ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; nè può ascriversi ad errore della motivazione, nella cui critica in sostanza si è risolta la censura, la selezione degli elementi istruttori corroboranti il finale giudizio di non credibilità;

4. in ogni caso, il motivo è inammissibile anche per il secondo profilo, tratteggiato con richiamo a fonti sulle società segrete in (OMISSIS) alternative rispetto a quelle consultate e sviluppate dal tribunale e senza che però gli abstracts riportati assumano valenza decisiva rispetto al versante residuale che può sopravvivere, al più, al giudizio di non credibilità e cioè la esposizione a rischio grave della singola persona per il solo fatto di trovarsi in zona di conflitto armato; sul punto, va invero data continuità ad una nozione, per come esposta tra le altre da Cass. 18306/2019, per cui “ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia”;

5. il secondo motivo è inammissibile, non apparendo scalfita da idonea censura la motivazione con cui il tribunale, escludendo l’appartenenza del ricorrente a categorie soggettive di apprezzabile esposizione a vulnerabilità, ha giudicato insufficiente la relativa ampiezza, in carenza della qualità dei titoli di relazione sociale, culturale, linguistica, abitativa e dunque della pluralità di indici di interazione comunitaria;

6. appare così rispettato nella decisione il principio, con Cass. 23778/2019 (pur sulla scia di Cass. 4455/2018), per cui “occorre il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale, mediante una valutazione comparata della vita privata e familiare del richiedente in Italia e nel Paese di origine, che faccia emergere un’effettiva ed incolmabile sproporzione nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, da correlare però alla specifica vicenda personale del richiedente… altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 cit., art. 5, comma 6″; l’indirizzo è stato ribadito da Cass. s.u. 29460/2019, facendo nella specie difetto i termini oggettivi di un’effettiva comparabilità, al fine di censire la vulnerabilità del ricorrente, negata dal decreto, che ha escluso, per la insufficienza e genericità dei richiami offerti, la rilevanza più specifica di altri fattori; questi ultimi non hanno trovato alcun richiamo rituale e oppositivo nemmeno nel ricorso, tale non potendosi apprezzare nè il generico rinvio ad un quadro di limitazione dei diritti fondamentali nel Paese d’origine senza alcuna individualizzazione provata con riguardo alla vicenda dell’espatrio (diversamente ricostruita dal primo giudice), nè l’altrettale generico richiamo all’integrazione sociale nel Paese d’arrivo, specificamente ritenuta insufficiente dal tribunale, poichè sostanzialmente coincidente con attività allestite dalla struttura d’accoglienza e precario il lato occupazionale; si tratta di prospettazione tanto più necessaria a fronte della perentoria valutazione d’irrilevanza operata dal giudice di merito, anche in relazione con la non credibilità del narrato (Cass. 2682/2020); si può allora aggiungere che l’odierna censura è inammissibile per genericità e perchè si risolve in un vizio di motivazione, oltre però il limite del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

il ricorso va dunque dichiarato inammissibile; sussistono i presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u 4315/2020); nulla per le spese del presente giudizio di cassazione in assenza di attività difensiva del Ministero dell’Interno.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 23 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2020

 

 

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