Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21162 del 13/10/2011

Cassazione civile sez. I, 13/10/2011, (ud. 01/07/2011, dep. 13/10/2011), n.21162

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Grazia – Presidente –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.L. elettivamente domiciliata in Roma, Via G. G. Belli, n.

27, nello studio dell’Avv. Gentile Gian Michele, che la rappresenta e

difende, giusta procura speciale in calce al ricorso, unitamente

all’Avv. Francesco Di Bartolo;

– ricorrente –

contro

V.E.; elettivamente domiciliato in Vicenza, contrà Santa

Corona, n. 9, nello studio dell’Avv. Benetti Sergio, che lo

rappresenta e difende, giusta procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 630 della Corte di appello di Venezia,

depositato in data 10 aprile 2009;

sentita la relazione all’udienza del 1 luglio 2011 del consigliere

dott. Pietro Campanile;

Udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del Sostituto

dott.ssa Antonietta Carestia, la quale ha concluso per

l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1 – Con ricorso presentato in data 24 settembre 2003 il Sig. V. E. chiedeva pronunciarsi la separazione personale dalla moglie Sig.ra B.L., con la quale era coniugato dal (OMISSIS), specificando che la crisi coniugale era da addebitarsi alla condotta della stessa.

La B., costituitasi, non contestava la ricorrenza dei presupposti della separazione, deducendo, tuttavia, che la prosecuzione della convivenza si era resa intollerabile a causa della condotta del coniuge, il quale l’aveva fra l’altro indotta con l’inganno a donargli la quota dell’appartamento del quale erano comproprietari, per poi proporre, dopo qualche giorno, la domanda di separazione personale. Chiedeva, pertanto, che la separazione fosse addebitata al ricorrente, nonchè l’attribuzione di un assegno per il proprio mantenimento.

1.1 – Il Tribunale di Padova, con sentenza n. 614 depositata in data 20 marzo 2008, pronunciava la separazione dei coniugi, con rigetto di ogni altra domanda.

1.2 – La Corte di appello di Venezia, con la sentenza indicata in epigrafe, pronunciando sull’appello proposto dalla B., confermava la decisione di primo grado, rilevando che la donazione della quota dell’immobile di proprietà comune si inseriva in più complessi accordi di natura economica, mentre una relazione sentimentale con altra donna attribuita al V. si collocava in un periodo successivo alla maturazione della crisi coniugale, ed era,pertanto, priva di rilevanza causale al riguardo. Veniva altresì posta in evidenza l’assenza di elementi probatori sui quali si fondava la richiesta della B. dell’attribuzione di un assegno di mantenimento.

1.3 – Avverso tale sentenza la B. propone ricorso, affidato a due motivi.

Resiste con controricorso il V..

Il Collegio ha disposto la motivazione in forma semplificata della sentenza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2 – Con il primo motivo si deduce violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè insufficienza e contraddittorietà della motivazione in relazione a un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non aver la Corte territoriale considerato le risultanze deponenti nel senso del comportamento fedifrago e decettivo tenuto dal coniuge.

2.1 – Con il secondo motivo si denuncia omessa pronuncia ed omessa motivazione, nonchè violazione dell’art. 156 c.c., relativamente al rigetto della domanda relativa all’assegno di mantenimento, pur avendo la B. sostenuto di essere disoccupata.

2.2 – Deve preliminarmente rilevarsi come al ricorso in esame, avente ad oggetto un provvedimento emesso in data 10 aprile 2009, debbano applicarsi le disposizioni del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (in vigore dal 2.3.2006 sino al 4.7.2009), e, in particolare, l’art. 6, che ha introdotto l’art. 366 bis c.p.c.. Alla stregua di tali disposizioni – la cui peculiarità rispetto alla già esistente prescrizione della indicazione nei motivi di ricorso della violazione denunciata consiste nella imposizione di una sintesi originale ed autosufficiente della violazione stessa, funzionalizzata alla, formazione immediata e diretta del principio di diritto al fine del miglior esercizio della funzione nomofilattica – l’illustrazione dei motivi di ricorso, nei casi di cui all’art. 360, comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, deve concludersi, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto che, riassunti gli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito e indicata sinteticamente la regola di diritto applicata da quel giudice, enunci la diversa regola di diritto che ad avviso del ricorrente si sarebbe dovuta applicare nel caso di specie, in termini tali per cui dalla risposta che ad esso si dia discenda in modo univoco l’accoglimento o il rigetto del gravame.

Analogamente, nei casi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’illustrazione del motivo deve contenere (cfr., ex multis: Cass. S.U. n. 20603/2007; Sez. 3 n. 16002/2007; n. 8897/2008) un momento di sintesi – omologo del quesito di diritto – che ne circo – scriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità.

2.3 – Il ricorso in esame non è conforme a tali disposizioni, atteso che ciascun motivo, quanto alle violazioni denunciate, non si conclude con la formulazione del quesito di diritto, che contenga un’esposizione riassuntiva degli elementi di fatto, così come i riferimenti alla regola di diritto applicata dal giudice di secondo grado ed a quella diversa regala iuris che, a giudizio dei ricorrenti, avrebbe dovuto essere applicata (Cass., Sez. Un, 14 febbraio 2008, n. 3519; Cass., 25 luglio 2008, n. 20454).

Quanto al vizio motivazionale dedotto (per altro contestualmente alla violazione di legge, così realizzandosi ulteriore ipotesi di inammissibilità: Cass., 29 ottobre 2010, n. 22205), manca del tutto quel momento di sintesi omologo del quesito di diritto, nel senso sopra evidenziato.

2.5 – Deve quindi procedersi alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, cui consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.

Non sussistono le condizioni per l’applicazione dell’art. 385 c.p.c., u.c., in assenza di qualsiasi allegazione o dimostrazione di elementi di colpa grave in capo alla ricorrente (Cass. n. 654/10).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alla refusione, in favore della controparte, delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2000,00, di cui Euro 1.800,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della prima sezione civile, il 1 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2011

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