Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2116 del 29/01/2010

Cassazione civile sez. I, 29/01/2010, (ud. 03/11/2009, dep. 29/01/2010), n.2116

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – rel. Consigliere –

Dott. FITTIPALDI Onofrio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 4791-2007 proposto da:

C.S. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEI GOZZADINI 30, presso l’avvocato

PROSPERINI ALBERTO, che lo rappresenta e difende, giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositato il

19/12/2005;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/11/2009 dal Consigliere Dott. MARIA CRISTINA GIANCOLA;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale dott.

GIOVANNI SCHIAVON che chiede che la Corte di Cassazione, in camera di

consiglio, respinga il ricorso, per manifesta infondatezza, ai sensi

dell’art. 375 c.p.c., con ogni conseguenza di legge.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Nel 2003, C.S. adiva la Corte di appello di Perugia chiedendo che il Ministero della Giustizia fosse condannato a corrispondergli l’equa riparazione prevista dalla L. n. 89 del 2001 per la violazione dell’art. 6, sul “Diritto ad un processo equo”, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e della libertà fondamentali, ratificata e resa esecutiva con la L. 4 agosto 1955, n. 848 con decreto del 17.10-19.12.2005, l’adita Corte di appello, nel contraddittorio delle parti, condannava il Ministero della Giustizia al pagamento in favore dell’istante della somma di Euro 7.000,00, con interessi legali dalla domanda, quale indennizzo del danno non patrimoniale, oltre al pagamento delle spese processuali la Corte distrettuale osservava e riteneva, tra l’altro:

1. che il C. aveva chiesto l’equa riparazione del danno subito per effetto dell’irragionevole durata del processo civile d’indole risarcitoria (da sinistro stradale), da lui introdotto, dinanzi al Tribunale di Roma, nel febbraio del 1992, e deciso favorevolmente con sentenza depositata il 11.11.2002, da aversi per passata in giudicato il 28.12.2003, con cui la controparte era stata condannata al pagamento di Euro 6.492,50;

2. che la durata ragionevole di detto primo grado del processo presupposto, di ordinaria complessità, poteva essere fissata in anni 3, avuto anche riguardo ai parametri temporali CEDU;

3. che, peraltro, dalla durata complessiva di detto processo dovevano essere espunti i tempi, pari complessivamente ad anni uno e mesi nove, non addebitabili all'”apparato giudiziario”, assorbiti dai rinvii disposti per il rinnovo della citazione e per l’astensione degli avvocati dall’udienza nonchè trascorsi per la riassunzione del giudizio interrotto;

4. che, dunque, l’equo indennizzo, da limitare al danno morale e da liquidare in via equitativa, doveva essere correlato al periodo d’irragionevole ritardo di definizione determinato in anni 5 e mesi 9;

5. che a titolo di riparazione del subito danno non patrimoniale il ricorrente aveva chiesto Euro 7.000,00, ragione per cui l’indennizzo doveva farsi pari alla somma richiesta, attese le specifiche peculiarità del caso.

che avverso questo decreto il C. ha proposto ricorso per Cassazione, notificato il 29.01.2007 ed illustrato da memoria che il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso notificato il 9.03.2007;

che la causa è stata fissata per l’esame in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c.;

che il Pubblico Ministero ha chiesto che il ricorso sia respinto per manifesta infondatezza che con il ricorso il C. denunzia:

1. “Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3” 2. “Omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3″.

3. ” Omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5; Violazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, commi 1 e 2, e art. 1218 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3″. – che con i trascritti motivi d’impugnazione il ricorrente censura l’attuata detrazione di 1 anno e 9 mesi dal periodo indennizzabile, dolendosi essenzialmente della mancata verifica della lunghezza eccessiva dei tempi occorsi per i rinvii e la riassunzione ed evidenziando da ultimo che sebbene nella decisione impugnata “…

abbia trovato piena rispondenza la quantificazione del danno non patrimoniale da lui operata nelle conclusioni, in quel medesimo contesto aveva pur sempre previsto altra misura di giustizia ed esplicitamente minore o maggiore e sino a 10.000 Euro”.

che il ricorso è inammissibile per difetto d’interesse, dal momento che dalla pronuncia impugnata emerge che l’entità dell’equa riparazione liquidata al C. per il danno morale da lui sofferto, corrisponde a quella a tale titolo specificamente pretesa dallo stesso C. nel ricorso introduttivo, ragione per cui la sorte eventualmente favorevole delle censure formulate in questa sede non potrebbe in ogni caso legittimare l’attribuzione di somma superiore a quella inizialmente da lui domandata e conseguita (artt. 99 e 112 c.p.c.) che, d’altra parte diversa conclusione non può essere giustificata dalla mera generica affermazione del ricorrente, non accompagnata dalla trascrizione del contenuto del petitum contenuto nella domanda introduttiva, secondo cui con non meglio connotate “conclusioni” non aveva posto un limite preciso all’ammontare del “quantum” richiesto che giusti motivi, essenzialmente desunti dalle peculiarità del caso, consigliano la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile e compensa le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 3 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2010

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