Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21154 del 12/09/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 12/09/2017, (ud. 11/05/2017, dep.12/09/2017),  n. 21154

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18878-2016 proposto da:

B.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO

CESARE, 14, presso lo studio dell’avvocato PAOLO BORGHINI,

rappresentata e difesa dagli avvocati MASSIMO MARTINELLI, MAURO

BIGI;

– ricorrente –

contro

UNICREDIT SPA, in persona del Dirigente, e per essa DO BANK SPA,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI PORTA PINCIANA 4, presso

lo studio dell’avvocato FERDINANDO MARIA DE MATTEIS, rappresentata e

difesa dall’avvocato MARCO RADICE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 13260/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 26/01/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’11/05/2017 dal Consigliere Dott. ANTONELLA

PELLECCHIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2011 B.D., figlia di B.V., legale rappresentante p.t. della B.V IMPIANTI S.R.L. nonchè dipendente della medesima azienda di famiglia, si impegnava a trovare un accordo con Unicredit s.p.a a fronte dello scoperto sul c/c bancario che la B.V. IMPIANTI aveva con l’istituto di credito anzidetto a seguito di alcuni finanziamenti ottenuti.

Il 7 dicembre 2011 la B.D., insieme al padre, si presentava in filiale presso la sede Unicredit di (OMISSIS) convocata dal direttore dott. S.J. e dalla sua assistente dott.sa G.E. per concordare il piano di rientro dell’esposizione debitoria aziendale. La stessa, dopo una serie di soluzioni prospettate dai funzionari per risolvere la situazione di insolvenza in cui versava la propria azienda, acconsentiva alla soluzione prospettatole secondo la quale la B. avrebbe dovuto contrarre un prestito personale di 25.000.000 Euro da versare poi a parziale decurtazione dell’esposizione debitoria della B.V. IMPIANTI S.R.L.. Pertanto le sottoponevano una serie di moduli da siglare. Stando a quanto dalla stessa dichiarato, nella fase istruttoria del presente giudizio, le veniva inconsapevolmente fatto sottoscrivere una fideiussione a garanzia del debito aziendale. Dopodichè vano si rivelò il tentativo di far recedere la banca dall’atto compiuto dai due funzionari Unicredit.

Pertanto venivano emessi due decreti ingiuntivi dal Tribunale di Monza, uno in favore di Unicredit s.p.a. in proprio n. 2567/12 e l’altro in favore di Unicredit quale mandataria dell’IMPRESA ONE S.R.L. n. (OMISSIS) (alla quale Unicredit aveva ceduto parte del credito vantato nei confronti della B.V. IMPIANTI S.R.L.), opposti dalla B. che chiedeva: la chiamata in causa dei funzionari S. e G. quali responsabili dei fatti di causa, di accertarsi la carenza di legittimazione dell’impresa one s.r.l., l’annullamento per errore della fideiussione sottoscritta involontariamente e inconsapevolmente dalla stessa, la condanna di Unicredit s.p.a. per l’operato dei dipendenti ex artt. 1175 e 1375 c.c., nonchè la nullità dei rapporti di c/c asseritamente garantiti per violazione delle norme sull’anatocismo, clausole contrattuali indeterminate e usura, ed in ogni caso il risarcimento di quanto sofferto dall’illecito comportamento della Banca e dei funzionari.

Il Tribunale di Monza con sentenza 3122/2014, previo rigetto della richiesta di chiamata in causa dei due funzionari, annullava per vizio del consenso ex art. 1428 c.c. la fideiussione in base alla quale erano stati emessi i due decreti ingiuntivi opposti dalla Barbuto, accoglieva le opposizioni presentate e revocava i medesimi D.I.

2. Avverso la statuizione suddetta proponeva appello l’Unicredit e per essa la DOBANK S.P.A. (in seguito al cambiamento di denominazione sociale deliberato nel 2015 dall’assemblea) richiedendone: la riforma e per l’effetto il rigetto dell’opposizione proposta dall’appellata e la conseguente conferma del decreto ingiuntivo emesso in favore di Unicredit in proprio n. 2567/12 con relativa condanna per effetto della fideiussione prestata al pagamento di Euro 281.844,62 oltre interessi, rigettare quanto ex adverso proposto e condannare la stessa alla restituzione delle spese in ottemperanza all’impugnata sentenza e solo in via subordinata, qualora si ritenesse revocato o dichiarato nullo o annullato il D.i., condannare la stessa nei limiti della fideiussione presta.

La Corte d’Appello di Milano, con sentenza 260 del 26 gennaio 2016, riformava la decisione del giudice di prime cure non ritenendo sussistere alcun vizio del consenso idoneo a determinare l’invalidità della fideiussione, e respingendo per l’effetto l’opposizione al decreto ingiuntivo n. 2567/12, condannava quindi alla restituzione delle spese sostenute per l’esecuzione della sentenza impugnata oltre alle spese del grado.

3. Avverso tale pronuncia, propone ricorso in Cassazione Daniela Barbuto con tre motivi.

3.1. Resiste con controricorso l’Unicredit s.p.a..

4. E’ stata depositata in cancelleria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., e regolarmente notificata ai difensori delle parti, la proposta di inammissibilità del ricorso. Tutte le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

5. A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, reputa il Collegio con le seguenti precisazioni, di condividere le conclusioni cui perviene la detta proposta.

6.1. Con il primo motivo denuncia la ricorrente violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – contraddittorietà di giudicati. Lamenta la B. che la sentenza sarebbe errata a causa della contraddittorietà tra giudicati in quanto la Corte territoriale non avrebbe considerato l’intervenuto passaggio in giudicato della sentenza di primo grado in relazione all’annullamento del contratto di fideiussione sottoscritto dalla B..

Il primo motivo a parte i profili di inammissibilità per mancanza di autosufficienza per non aver riprodotto il testo della sentenza che si assume essere passata in giudicato sarebbe ugualmente infondato. Infatti occorre precisare che vi erano due decreti ingiuntivi su due diverse linee di credito che avevano a fondamento lo stesso contratto di fideiussione, ma due soggetti creditori diversi. Un decreto ingiuntivo, n. 2567/2012 ottenuto da Unicredit s.p.a. e il decreto ingiuntivo, n. 2566/2012 ottenuto da Impresa One. Vi sono stati, poi, due giudizi di opposizione che successivamente sono stati riuniti dal giudice del merito. Ma tale riunione ha lasciato inalterata l’autonomia dei giudizi. Ora è vero che la statuizione sul decreto ingiuntivo richiesto dalla cessionaria del credito non è stata appellata da Impresa One ma tale giudicato non può essere invocato nei confronti di Unicredit. Infatti essendo i decreti ingiuntivi relativi a due soggetti ingiungenti diversi, riuniti, ma che rimangono però indipendenti, il giudicato interno su uno non pregiudica la sorte dell’altro, perchè il giudicato si è formato fra soggetti diversi.

6.2. Con il secondo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1428,1429 c.c. e art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

6.3. Con il terzo motivo denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti art. 360 c.p.c., n. 5 in particolare:

Omesso esame da parte dei Secondi Giudici del fatto che la ricorrente intendesse sottoscrivere solo la richiesta di un prestito personale e non prestare una fideiussione e delle relative risultanze istruttorie e prove documentali inerenti tale fatto, in particolare l’allegato 12 dell’atto di opp. a d.i. n 2566/12.

Omesso esame da parte dei Secondi Giudici del fatto che la B.D. non avesse letto i testi contrattuali prima di sottoscriverli.

Il secondo e terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente e sono inammissibili. Il ricorrente pur denunciando, apparentemente, violazione di legge, chiede in realtà a questa Corte di pronunciarsi ed interpretare questioni di mero fatto non censurabili in questa sede mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto dei fatti storici quanto le valutazioni di quei fatti espresse dal giudice di appello – non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone alle proprie aspettative (Cass. n. 21381/2006). Inoltre per quanto riguarda i vizi censurati con l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il nuovo testo introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Scompare, invece, nella nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ogni riferimento letterale alla “motivazione” della sentenza impugnata e, accanto al vizio di omissione (che pur cambia in buona misura d’ambito e di spessore), non sono più menzionati i vizi di insufficienza e contraddittorietà.

Al riguardo, si ricorda il principio affermato dalle Sezioni Unite secondo cui la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5) “deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza”, nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”” (cfr. Cass. civ., Sez. Unite, 22/09/2014, n. 19881). Alla luce dell’enunciato principio, risulta che la ricorrente, non ha rispettato i limiti di deducibilità del vizio motivazionale imposti dalla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 6, n. 5.

Inoltre il giudice del merito ha con motivazione scevra da qualsivoglia vizio logico-giuridico ritenuto che la ricorrente non sia incorsa in alcun errore nel sottoscrivere la fideiussione.

7. Pertanto, ai sensi degli artt. 380-bis e 385 c.p.c., il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

PQM

 

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione sesta civile della Corte Suprema di Cassazione, il 11 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 settembre 2017

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