Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21149 del 02/10/2020

Cassazione civile sez. I, 02/10/2020, (ud. 23/09/2020, dep. 02/10/2020), n.21149

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

A.M., rappr. e dif. dall’avv. Marcello Cantoni,

marcellocantoni.legalmail.it, elett. dom. presso la Cancelleria

della Corte di Cassazione, Roma, come da procura spillata in calce

all’atto;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappr. e dif.

ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui Uffici è

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

per la cassazione del decreto Trib. Bologna 4.2.2019, n. 631/2019, in

R.G. 20093/2017;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore Dott.

Massimo Ferro alla Camera di consiglio del 23.9.2020.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. A.M. impugna il decreto Trib. Bologna 4.2.2019, n. 631/2019, in R.G. 20093/2017 di rigetto dell’impugnazione interposta avverso la decisione con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ne aveva respinto la domanda, avanzata per le tre forme di tutela;

2. il tribunale, anche dopo aver sentito di persona il richiedente, ha ritenuto: a) insussistente il fondato timore di persecuzioni per i motivi rilevanti D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 8; b) condivisibile la valutazione di contraddittorietà delle dichiarazioni rese e, comunque, inaccoglibile la richiesta protezione sussidiaria poichè richiamante in fatto un pericolo proveniente da agente provocatore privato (i parenti) e non circostanziato, senza prova di ricorso alla polizia del Senegal; c) insussistente un conflitto armato nella specifica regione di provenienza ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c); d) non dimostrata una specifica situazione soggettiva tale da giustificare la protezione umanitaria, non ricorrendo le tipiche situazioni di vulnerabilità, nè apparendo sufficienti le attività svolte nel contesto del sistema di accoglienza;

3. il ricorrente propone due motivi di ricorso, cui resiste il Ministero con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. con il primo motivo si lamenta, in violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 5 e 6, oltre che come vizio di motivazione, l’erroneità del giudizio sulla rilevanza delle minacce ricevute, nelle quali rientrano anche quelle provenienti dai soggetti privati descritti;

2. con il secondo mezzo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e dell’art. 10 Cost., oltre che come vizio di motivazione, quanto all’erroneo diniego della protezione umanitaria;

3. il primo motivo è inammissibile, per plurimi profili; nella versione dell’allontanamento offerta dal richiedente il giudice di merito ha negato rinvenirsi i tratti del fondato timore di persecuzione, esprimendo esso un conflitto intraparentale e a contenuto economico, senza i tratti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8 e con riscontrata contraddizione anche della nozione di pericolo grave, peraltro non configurata nettamente, ai sensi dell’art. 14, lett. a) e b) D.Lgs. cit.; nel decreto, dunque, ha trovato corretta applicazione, da un canto, il principio per cui – sul primo punto – “le liti tra privati per ragioni proprietarie o familiari non possono essere addotte come causa di persecuzione o danno grave, nell’accezione offerta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, trattandosi di “vicende private” estranee al sistema della protezione internazionale, non rientrando nè nelle forme dello “status” di rifugiato, (art. 2, lett. e), nè nei casi di protezione sussidiaria, (art. 2, lett. g), atteso che i c.d. soggetti non statuali possono considerarsi responsabili della persecuzione o del danno grave ove lo Stato, i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, comprese le organizzazioni internazionali, non possano o non vogliano fornire protezione contro persecuzioni o danni gravi ma con riferimento ad atti persecutori o danno grave non imputabili ai medesimi soggetti non statuali ma da ricondurre allo Stato o alle organizzazioni collettive di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, lett. b)” (Cass. 9043/2019);

4. sull’apprezzamento in termini di attendibilità del narrato, va ribadito poi che “la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito” (Cass. 3340/2019); il decreto ha dato conto delle ragioni di ritenuta incoerenza del narrato e senza che la censura aggredisca il versante residuale che può sopravvivere, al più, al giudizio di non credibilità e cioè la esposizione a rischio grave della singola persona per il solo fatto di trovarsi in zona di conflitto armato (Cass. 18306/2019), stante la non impugnazione della corrispondente ratio decidendi;

5. il secondo motivo è inammissibile, non apparendo scalfita da idonea censura la motivazione con cui il primo giudice, escludendo l’appartenenza del ricorrente a categorie soggettive di apprezzabile esposizione a vulnerabilità, ha giudicato insufficiente la relativa ampiezza, in carenza della qualità dei titoli di relazione sociale, culturale, linguistica, abitativa e dunque della pluralità di indici di interazione comunitaria;

6. appare così rispettato nella decisione il principio, con Cass. 23778/2019 (pur sulla scia di Cass. 4455/2018), per cui “occorre il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale, mediante una valutazione comparata della vita privata e familiare del richiedente in Italia e nel Paese di origine, che faccia emergere un’effettiva ed incolmabile sproporzione nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, da correlare però alla specifica vicenda personale del richiedente… altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 cit., art. 5, comma 6″; l’indirizzo è stato ribadito da Cass. s.u. 29460/2019, facendo nella specie difetto i termini oggettivi di un’effettiva comparabilità, al fine di censire la vulnerabilità del ricorrente, negata dal decreto, che ha escluso, per la insufficienza e genericità dei richiami offerti, la rilevanza più specifica di altri fattori; questi ultimi non hanno trovato alcun richiamo rituale e oppositivo nemmeno nel ricorso, tale non potendosi apprezzare nè il generico rinvio ad un quadro di limitazione dei diritti fondamentali nel Paese d’origine senza alcuna individualizzazione provata con riguardo alla vicenda dell’espatrio, nè l’altrettale generico richiamo all’integrazione sociale nel Paese d’arrivo, specificamente ritenuta insufficiente dal tribunale, poichè sostanzialmente coincidente con attività allestite dalla struttura d’accoglienza, nè l’invocata vulnerabilità per la generica marginalità sociale nella quale tornerebbe a versare il richiedente per effetto del rientro coattivo, posto che “le situazioni di difficoltà, anche estrema, di carattere economico e sociale, non sono sufficienti in se stesse, in assenza di specifiche condizioni di vulnerabilità, a giustificare il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari” (Cass. 23757/2019, 3681/2019); si tratta di prospettazione tanto più necessaria a fronte della perentoria valutazione d’irrilevanza operata dal giudice di merito, anche in relazione con la non credibilità del narrato (Cass. 2682/2020); si può allora aggiungere che l’odierna censura è inammissibile per genericità e perchè si risolve in un vizio di motivazione, oltre però il limite del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

il ricorso va dunque dichiarato inammissibile; sussistono i presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020) oltre a quelli per la condanna alle spese, secondo soccombenza.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in Euro 2.100, oltre alle spese prenotate a debito e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2020

 

 

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