Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21148 del 02/10/2020

Cassazione civile sez. I, 02/10/2020, (ud. 23/09/2020, dep. 02/10/2020), n.21148

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

B.M., rappr. e dif. dall’avv. Francesco Roppo,

francesco.roppo.ordineavvocatiforlicesena.eu, elett. dom. presso il

suo studio in Forlì, viale Matteotti n. 105, come da procura

spillata in calce all’atto;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappr. e dif.

ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui Uffici è

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– costituito –

per la cassazione del decreto Trib. Bologna 16.2.2019, n. 894/2019,

in R.G. 425/2018;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore Dott.

Massimo Ferro alla Camera di consiglio del 23.9.2020.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. B.M. impugna il decreto Trib. Bologna 16.2.2019, n. 894/2019, in R.G. 425/2018 di rigetto dell’impugnazione interposta avverso la decisione con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ne aveva respinto la domanda, avanzata per le tre forme di tutela;

2. il tribunale, anche dopo aver sentito di persona il richiedente, ha ritenuto: a) condivisibile la valutazione di non credibilità del narrato, connotato da genericità, contraddizioni, assenza di dettaglio, diverse versioni rese alla commissione e poi al giudice, avuto riguardo alla motivazione dell’allontanamento dal Bangladesh e al timore di nuove aggressioni da parte dei fratellastri (figli della prima moglie del padre), in caso di rimpatrio, pur avendo quelli già appreso – a tenore del racconto – il ricavato in contanti di una vendita di terreno dal padre (poi morto) al governo; b) inoperante di conseguenza l’onere di cooperazione con riguardo ai fattori di persecuzione, oltre che le condizioni per il riconoscimento della protezione sussidiaria, non avendo il ricorrente esposto pericoli di danno grave e comunque avendo egli omesso di giustificare la carenza documentale e spiegare meglio la sua situazione personale e familiare; c) insussistente un conflitto armato nella regione di provenienza ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), alla luce delle fonti COI consultate d’ufficio; d) non dimostrata una specifica situazione soggettivo tale da giustificare la protezione umanitaria, non ricorrendo le tipiche situazioni di vulnerabilità, nè apparendo sufficienti l’occupazione a tempo e l’iniziato studio dell’italiano, oltre tutto considerando per un verso l’incidenza sul punto della non credibilità e l’assenza di documentazione più ampia sulla condizione della intera famiglia rimasta nel Paese d’origine, ove il richiedente ha mantenuto gli effettivi punti di riferimento; e) assente infine una problematicità individuale connessa alla permanenza nel Paese di transito (Libia), non avendovi fatto specifica menzione quali conseguenze permanenti;

3. il ricorrente propone due motivi di ricorso e ha anche depositato memoria; il Ministero dell’Interno si emette a depositare “atto di costituzione”.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. con il primo motivo si lamenta, in violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, oltre che come vizio di motivazione, l’erroneità del giudizio sulla non credibilità del richiedente relativamente al prestito ricevuto per espatriare, così negando la gravità della situazione patrimoniale rappresentata;

2. con il secondo mezzo è contestata la mancata concessione della protezione umanitaria, in violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, oltre che come vizio di motivazione per l’omesso riferimento all’integrazione sociale e l’enfasi attribuita ai riferimenti permanenti della famiglia rimasta in Bangladesh;

3. il primo motivo è inammissibile, non avendo esso colto la ratio decidendi del decreto che ha escluso la credibilità delle dichiarazioni rese, qualificando le stesse, in una vasta selezione degli elementi di fatto, generiche, contraddittorie, inverosimili, prive di dettaglio e non correlate a prove documentali, così negando sia i presupposti della persecuzione, sia la esposizione a pericolo grave ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), per l’attenuazione conseguente del dovere di collaborazione istruttoria che ne deriva;

4. sul primo punto “la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito” (Cass. 3340/2019); il decreto ha evidenziato le ragioni di inattendibilità del narrato, così anche negando – ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. a) – l’assolvimento da parte del richiedente del ragionevole sforzo per circostanziare la domanda;

5. sul secondo punto, opera altresì il principio per cui “il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati”, deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione di tali informazioni da parte delle commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale, non potendo per contro addebitarsi la mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi, in ordine alla ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione, riferita a circostanze non dedotte” (Cass. 2355/2020); nè può dirsi che il richiedente abbia allegato motivi specifici di persecuzione secondo la declinazione categoriale del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, ovvero, quanto alla protezione sussidiaria, danni gravi connessi a condanne o processi penali, ai sensi delle citate prime due lettere dell’art. 14 D.Lgs. cit.;

6. inoltre, non appare contestata la considerazione di assenza di conflitto armato;

7. il secondo motivo è inammissibile, non apparendo scalfita da idonea censura la motivazione con cui il tribunale, escludendo l’appartenenza del ricorrente a categorie soggettive di apprezzabile esposizione a vulnerabilità, ha giudicato insufficiente la relativa ampiezza, in carenza della qualità dei titoli di relazione sociale, culturale, linguistica, abitativa e dunque della pluralità di indici di interazione comunitaria;

8. appare così rispettato nella decisione il principio, con Cass. 23778/2019 (pur sulla scia di Cass. 4455/2018), per cui “occorre il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale, mediante una valutazione comparata della vita privata e familiare del richiedente in Italia e nel Paese di origine, che faccia emergere un’effettiva ed incolmabile sproporzione nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, da correlare però alla specifica vicenda personale del richiedente… altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 cit., art. 5, comma 6″; l’indirizzo è stato ribadito da Cass. s.u. 29460/2019, facendo nella specie difetto i termini oggettivi di un’effettiva comparabilità, al fine di censire la vulnerabilità del ricorrente, negata dal decreto, che ha escluso, per la insufficienza e genericità dei richiami offerti, la rilevanza più specifica di altri fattori; questi ultimi non hanno trovato alcun richiamo rituale e oppositivo nemmeno nel ricorso, tale non potendosi apprezzare nè il generico rinvio ad un quadro di limitazione dei diritti fondamentali nel Paese d’origine senza alcuna individualizzazione provata con riguardo alla vicenda dell’espatrio (non creduto nella versione offerta), nè la svalutazione del legame conservato con i riferimenti familiari in Bangladesh (circostanza di fatto apprezzata dal tribunale non quale parametro normativo denegativo ex se della protezione umanitaria, bensì regola di giudizio integrativa della impossibilità di costruire un polo di comparazione rispetto alla vulnerabilità nell’esercizio in concreto di diritti fondamentali al rimpatrio), nè l’altrettale generico richiamo all’integrazione sociale nel Paese d’arrivo, specificamente ritenuta insufficiente dal tribunale, poichè sostanzialmente coincidente con la sola attività occupazionale precaria; si tratta di prospettazione tanto più necessaria a fronte della perentoria valutazione d’irrilevanza operata dal giudice di merito e del giudizio di non credibilità (Cass. 2682/2020); si può allora aggiungere che l’odierna censura è inammissibile per genericità e incompletezza rispetto alla ratio decidendi perchè si risolve in un vizio di motivazione, oltre però il limite del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

il ricorso va dunque dichiarato inammissibile; sussistono i presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u.

4315/2020); nulla va disposto per le spese del presente giudizio di cassazione data l’assenza di attività difensiva del Ministero dell’Interno.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2020

 

 

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