Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21147 del 22/07/2021

Cassazione civile sez. VI, 22/07/2021, (ud. 10/12/2020, dep. 22/07/2021), n.21147

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Presidente –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9326-2018 proposto da:

B.D., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dagli avvocati ENRICO BASTIANELLO, PIERO FRATTARELLI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA SALUTE (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1997/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 18/09/2017.

 

Fatto

RILEVATO

che:

con atto di citazione del 5 luglio 2012, B.D. evocava in giudizio, davanti al Tribunale di Venezia, il Ministero della salute per ottenere la condanna al risarcimento dei danni patrimoniali, biologici, morali ed esistenziali, derivanti dal pregiudizio patito per effetto del contagio HCV asseritamente derivato da una emotrasfusione somministrata nell’anno 1975 in occasione del ricovero presso l’Ospedale Civile di Isola della Scala. Il Ministero avrebbe colposamente omesso di vigilare sulla circolazione di sangue infetto, violando l’art. 2043 c.c., e la prova del nesso causale tra trasfusione e patologia contratta risiederebbe nel verbale della CMO di Padova del 23 aprile 2010. In via alternativa, l’attore prospettava l’ipotesi di responsabilità contrattuale. Aggiungeva di avere presentato istanza di indennizzo alla competente USSL di Padova in data 8 gennaio 2007 e di avere ricevuto una somma per arretrati e un vitalizio di Euro 550,74 a bimestre;

si costituiva il Ministero della salute, deducendo la mancanza di prova del nesso di causalità tra la trasfusione ed il contagio epatico, il difetto di legittimazione passiva e la prescrizione quinquennale chiedendo, nel merito, il rigetto delle domande;

il Tribunale di Venezia, con sentenza n. 127 del 2014, respingeva le domande per intervenuta prescrizione quinquennale. Secondo il primo giudice il dies a quo avrebbe dovuto essere computato dal momento in cui la malattia era stata percepita o avrebbe potuto essere conosciuta, usando la ordinaria diligenza. Nel caso di specie la piena conoscenza dell’infezione risaliva all’anno 1993, momento in cui sarebbe stata confermata la positività dell’attore al virus, in occasione della visita di leva;

avverso tale decisione il B. proponeva appello; si costituiva il Ministero contestando le richieste e spiegando appello incidentale;

la Corte d’appello di Venezia, con sentenza del 18 settembre 2017 rigettava l’impugnazione principale e quella incidentale provvedendo sulle spese di lite;

avverso tale decisione propone ricorso B.D. affidandosi a due motivi illustrati da memoria. Resiste con controricorso il Ministero della salute.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si deduce la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. e degli artt. 2935 e 2936 c.c., in relazione all’attivo 360 c.p.c., n. 3, perché la sentenza della Corte di appello avrebbe erroneamente fatto decorrere il termine di prescrizione dal momento in cui il ricorrente era adolescente, avendo egli subito una trasfusione già dalla nascita o, comunque, individuando nell’anno 1993 quel termine, in occasione della visita di leva nella quale era stato ritenuto inidoneo al servizio. In tal modo, la Corte avrebbe violato i principi in tema di prova presuntiva e quelli affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte nel 2008 nelle sentenze n. 576595, secondo cui il termine decorrerebbe da quando il danneggiato ha avuto la percezione di tutti gli elementi qualificativi della fattispecie illecita produttiva del danno. Tali elementi, nel caso di specie, andrebbero riferiti al momento in cui era stato conosciuto l’esito della biopsia epatica (9 agosto 2006) o, quanto meno, al momento di presentazione della domanda di indennizzo. La Corte avrebbe errato nell’anticipare la conoscenza ad un momento anteriore alla domanda di indennizzo, sulla base delle affermazioni contenute nell’atto di citazione e di quanto argomentato dal primo giudice. Infatti, sebbene l’attore avesse percezione della malattia sin dall’infanzia, non avrebbe potuto conoscere la correlazione tra la malattia e la condotta del Ministero. Per avere prova di ciò sarebbe stato necessario che la presunzione di consapevolezza della malattia, da cui trarre le conseguenze, avesse i caratteri di gravità, precisione e concordanza e “tali elementi non potrebbero essere individuati nella circostanza di sapere di essere affetto da HCV, mancando la prova della conoscenza, tratta in via presuntiva ai sensi degli artt. 2727-2729 c.c.”. Pertanto il termine avrebbe dovuto essere riferito al momento in cui uno o più fattori concorrenti avessero dato certezza dell’esistenza dello stato morboso e della normale conoscibilità dello stesso. In sostanza, sebbene l’attore fosse consapevole di essere affetto da HCV, egli non aveva “ancora la prova certa (consapevolezza) del nesso causale tra la malattia e la trasfusione” e neppure la “conoscenza della portata, cronica o transitoria, dello stato della propria malattia”;

con secondo motivo si lamenta l’omessa motivazione, anche in violazione dell’art. 111 Cost, dell’art. 132 c.p.c. e dei citati artt. 2727-2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. La Corte avrebbe erroneamente posto a fondamento del proprio ragionamento dati di fatto non coerenti con la decisione assunta e logicamente non connessi, con una motivazione apparente circa l’intervenuta prescrizione del diritto, non essendovi un corretto percorso logico tra le premesse e le conseguenze;

i motivi possono essere trattati congiuntamente perché strettamente connessi e ciò a prescindere dall’evidente inammissibilità del secondo motivo, sia perché formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in presenza di una “doppia conforme” fondata sulle medesime risultanze processuali (in tal senso il divieto contenuto nell’art. 348-ter c.p.c., comma 5), sia perché si richiede alla Corte di legittimità una inammissibile rivalutazione fattuale dell’intero materiale probatorio, prospettando una ricostruzione alternativa e più appagante per il ricorrente, rispetto a quella adottata dai giudici di merito;

come ribadito da questa Corte (Cass. Sez. U, Sentenza n. 1785 del 2018) la denuncia di violazione o di falsa applicazione della norma di diritto di cui all’art. 2729 c.c. si può prospettare (Cass. n. 19485 del 2017) deducendo che il giudice di merito abbia fondato la presunzione su un fatto storico, privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota, così sussumendo sotto la norma dell’art. 2729 c.c. fatti privi di quelle caratteristiche e, quindi, incorrendo in una sua falsa applicazione;

in sostanza, si assume che il giudice di merito avrebbe solo apparentemente applicato la regola della presunzione nel suo contenuto astratto, ma, in concreto, l’avrebbe riferita ad una fattispecie che non si presta ad essere ricondotta sotto tale contenuto, cioè sotto la specie della gravità, precisione e concordanza;

quando il giudice di merito sussume erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione fatti concreti accertati che non sono invece rispondenti a quei caratteri, il suo ragionamento è censurabile alla stregua dell’art. 360 c.p.c., n. 3, e compete, dunque, alla Corte di cassazione controllare se la norma dell’art. 2729 c.c., oltre ad essere applicata esattamente a livello di proclamazione astratta dal giudice di merito, lo sia stata anche a livello di applicazione a fattispecie concrete;

la deduzione del vizio di falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., comma 1, impone al ricorrente di spiegare che il ragionamento presuntivo compiuto dal giudice di merito assunto, però, come tale e, quindi, in facto per come è stato enunciato – è irrispettoso del paradigma della gravità, o di quello della precisione o di quello della concordanza;

per fare ciò è necessario preliminarmente individuare l’argomentazione ritenuta irrispettosa di uno o di tutti i paradigmi, prospettando l’ipotesi di c.d. falsa applicazione;

nel caso di specie, tale indicazione difetta del tutto, poiché parte ricorrente si limita a contestare l’esistenza di elementi probatori sufficienti a dimostrare il fatto storico, aggiungendo che per dimostrare tale profilo sarebbero necessari degli elementi gravi, precisi e concordanti per applicare correttamente il criterio presuntivo di cui agli artt. 2727-2729 c.c. In questo caso si è al di fuori della ipotesi di censurabilità in sede di legittimità della decisione ai sensi delle norme citate;

ciò in quanto manca sia l’attività di individuazione del ragionamento ritenuto irrispettoso dei paradigmi oggetto delle due norme citate sia la descrizione puntuale del ragionamento presuntivo del giudice di merito che si intende contestare;

inoltre, la censura non si confronta con la motivazione della Corte di appello che individua i dati fattuali sulla base dei quali ricava l’elemento della consapevolezza della riferibilità della malattia alla trasfusione e alla responsabilità del Ministero facendo corretta applicazione dei principi affermati da questa Corte con le sentenze n. 23639 del 2015 e n. 27757 del 2017, secondo cui la prescrizione può decorrere anche da un momento antecedente quello della presentazione della domanda di indennizzo, ove sia dimostrato, anche per presunzioni, il profilo della consapevolezza della patologia e della sua riconducibilità causale alla trasfusione;

in conclusione, l’illustrazione del motivo non prospetta la falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., comma 1, nei termini su indicati, ma si risolve nella prospettazione di pretese inferenze probabilistiche diverse, sulla base della evocazione di emergenze istruttorie e talora nella prospettazione di una diversa ricostruzione delle quaestiones facti ripercorse in relazione agli oggetti dei vari documenti dell’elenco iniziale sopra ricordato. Ne segue che il motivo non presenta le caratteristiche della denuncia di un vizio di falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., comma 1, e nemmeno, pur riconvertito alla stregua di Cass., Sez. Un., n. 17931 del 2013, quelle di un motivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5;

quanto al secondo motivo va solo aggiunto che il profilo dell’omessa motivazione su specifiche eccezioni o domande avrebbe dovuto essere fatto valere sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 e dell’art. 112 c.p.c. Prospettato quale vizio di motivazione (apparente), ex art. 360 c.p.c., n. 5, riguardo al ragionamento logico riferito a dati non coerenti con la decisione assunta e non connessi logicamente alla stessa, è inammissibile per quanto già detto (in presenza di una “doppia conforme” il riferimento a tale vizio non è consentito dall’art. 348-ter c.p.c., comma 5, e parte ricorrente ha omesso di precisare e spiegare che la omessa considerazione di un fatto storico oggetto del ricorso per cassazione riguarda elementi di merito diversi da quelli esaminati dal giudice di prime cure);

ne consegue che il ricorso deve essere rigettato; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore del controricorrente, liquidandole in Euro 6.000 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile-3, il 10 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2021

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