Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21144 del 07/08/2019
Cassazione civile sez. I, 07/08/2019, (ud. 09/07/2019, dep. 07/08/2019), n.21144
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –
Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –
Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 15604/2018 proposto da:
O.O., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Mazzini
n. 8 presso lo studio dell’avvocato Salvatore Fachile, rappresentato
e difeso dall’avvocato Francesco Verrastro, giusta procura in calce
al ricorso;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), in persona del Ministro pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,
presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e
difende ope legis;
– controricorrente –
avverso il decreto n. cronol. 448/2018 del TRIBUNALE Di POTENZA,
pubblicato l’11/04/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
9/07/2019 dal cons. Dott. IOFRIDA GIULIA;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE
RENZIS LUISA, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito, per il ricorrente, l’avvocato Francesco Verrastro, che ha
chiesto l’accoglimento.
Fatto
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Palermo, con decreto n. 448/2018, depositato in data 11/04/2018, ha respinto la richiesta di O.O., cittadino della Nigeria, a seguito di diniego della competente Commissione territoriale, di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria ed umanitaria.
In particolare, il Tribunale ha osservato che la vicenda personale narrata dal richiedente (essere stato costretto a lasciare il Paese d’origine, perchè la di lui moglie ed il di lui padre erano stati uccisi, in un villaggio della città di (OMISSIS), da aderenti al gruppo etnico nomade, di religione mussulmana, dei “(OMISSIS)” ed egli era stato oggetto, essendo di religione cristiana, di minacce e ritorsioni) non risultava credibile e coerente, considerate le numerose lacune e contraddizioni, e comunque non integrava i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, non essendo stati neppure dedotti rischi di persecuzione o timori per la propria incolumità fisica, tali da non potere trovare adeguata protezione nel Paese di provenienza da parte delle Autorità locali (le quali avevano comunque, di recente, arrestato alcuni soggetti ritenuti autori della strage, in attesa di processo); quanto poi alla protezione sussidiaria, la regione di provenienza del richiedente (lo Stato di (OMISSIS) della Nigeria) non era interessato da conflitti armati interni (come riferito da ultimi rapporti, del 2017, dell’UNHCR, di Amnesty International); infine, quanto alla protezione umanitaria, non emergeva, per difetto anche di allegazione di circostanze rilevanti, una situazione meritevole di protezione umanitaria (dovendo ritenersi che lo straniero aveva lasciato il Paese d’origine soltanto per cercare lavoro e migliori condizioni di vita).
Avverso la suddetta pronuncia, O.O. propone ricorso per cassazione, affidato ad un motivo, nei confronti del Ministero dell’Interno (che resiste con controricorso).
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorrente lamenta, con unico motivo, la violazione o errata applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e del principio del c.d. onere probatorio attenuato, in relazione alla non corretta valutazione di non credibilità del racconto del richiedente.
2. La censura è inammissibile.
In materia di protezione internazionale questa Corte ha da tempo chiarito nel senso che la valutazione in ordine alla credibilità soggettiva del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve stimare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, in forza della griglia valutativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c).
L’apprezzamento, di fatto, risulta censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. 05/02/2019 n. 3340). Sempre questa Corte (Cass. 27503/2018) ha precisato che ” l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a) essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati”, cosicchè “la valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c) ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate”.
Sull’indicata premessa, la valutazione sul punto svolta dai giudici di merito si sottrae a sindacato di questa Corte, avendo i primi ritenuto non credibile il racconto, in relazione alle pretese minacce subite anche per contraddizioni correlate alle diverse versioni fornite dal richiedente ed alle lacune nella vicenda narrata; nè il ricorrente spiega efficacemente perchè le lacune e contraddizioni specificate dal Tribunale verterebbero su aspetti secondari ed irrilevanti.
3. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Essendo stata la parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.100,00, a titolo di compensi, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 9 luglio 2019.
Depositato in Cancelleria il 7 agosto 2019