Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21143 del 22/07/2021

Cassazione civile sez. III, 22/07/2021, (ud. 09/03/2021, dep. 22/07/2021), n.21143

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35157-2019 proposto da:

B.D., domiciliato ex lege in Roma, presso la cancelleria della

Corte di Cassazione rappresentato e difeso dall’avvocato CATERINA

BOZZOLI;

– ricorrenti –

nonché contro

MINISTERO DELL’INTERNO COMMISSIONE TERRITORIALE RICONOSCIMENTO

PROTEZIONE INTERNAZIONALE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende;

– resistenti –

avverso la sentenza n. 1461/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 04/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/03/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. B.D., cittadino della (OMISSIS), chiese alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale, di cui AL D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cuial D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

2. Il richiedente dedusse a fondamento delle proprie ragioni eli essersi allontanato dal paese di origine a causa della propria credenza religiosa. Infatti, in quanto cristiano, lui e la sua famiglia erano emarginati dal villaggio di appartenenza, prevalentemente musulmano e i contrasti erano aumentati dopo che animali di proprietà del richiedente avevano rovinato i campi di famiglie musulmane.

La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

Avverso tale provvedimento B.D. propose ricorso dinanzi il Tribunale di Venezia, che con ordinanza del 19 aprile 2017 ritenne il ricorso inammissibile per tardività.

3. Tale decisione è stata confermata dalla Corte di Appello di Venezia con sentenza n. 1461/2019 pubblicata il 4 aprile 2019.

4. La sentenza è stata impugnata per cassazione da B.D. con ricorso fondato su quattro motivi.

Il Ministero dell’Interno si costituisce senza presentare alcuna difesa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

5. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la “violazione e falsa applicazione dell’art. 1, lett. a), punto 2 della Convenzione di Ginevra e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8. Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3. Violazione del dovere del Giudice di cooperazione nell’accertamento della reale situazione del paese di provenienza. Nullità della sentenza per violazione degli artt. 112,113,156 c.p.c. e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8”. La Corte d’appello non avrebbe adeguatamente motivato il mancato riconoscimento della protezione internazionale con riferimento alla situazione presente nel Paese di origine.

5.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5. Omessa pronuncia sui motivi di gravame” in quanto i giudici di merito non avrebbero considerato la grave situazione di instabilità e la perpetua violazione dei diritti fondamentali presente in (OMISSIS).

5.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19, comma 3 “in quanto sia il Tribunale che la Corte d’appello avrebbero erroneamente ritenuto il ricorso tardivo. Infatti, non avendo il B. dichiarato alcuna residenza anagrafica in Italia, il termine per l’impugnazione sarebbe di 60 giorni e non di 30 come invece sostenuto dal Tribunale e dalla Corte d’appello.

5.4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 394 del 1999, art. 3” in quanto il provvedimento di rigetto della Commissione, contenente i termini per l’impugnazione, gli sarebbe stata notificata in italiano con sintetica traduzione in inglese e francese, senza adeguata traduzione, violando in tal modo il diritto di difesa del richiedente.

I motivi, trattati congiuntamente per la loro stretta connessione, sono tutti inammissibili.

Essi non colgono la ratio decidendi della pronuncia impugnata in quanto i giudici dell’appello non si sono pronunciati sul merito della vicenda, avendo dichiarato il ricorso di prime cure inammissibile per tardività non essendo stato rispettato il termine dei 30 giorni dalla notifica del provvedimento di diniego e in appello, tra l’altro, non si censura tale statuizione (si limita a dire che il richiedente asilo risiedeva all’estero) esponendo solo motivi di merito. I motivi sono anche inammissibili per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 3 e n. 6 in quanto non riportano i motivi di censura d’appello della sentenza di primo grado.

Inoltre la proroga di 60 giorni è concessa soltanto ai soggetti non residenti in Italia. A tal proposito si tiene conto del fatto che tale provvedimento di diniego è stato notificato al richiedente in mani proprie in data 12 giugno 2016 e che i giudici di merito hanno dato atto dell’avvenuta richiesta di ammissione al gratuito patrocinio con relativa indicazione di residenza. Circa quest’ultimo punto nulla è stato allegato dal ricorrente per dar prova del contrario. Inoltre, vale come generale principio del nostro ordinamento il raggiungimento dello scopo come avvenuto nel caso di specie, in cui il richiedente asilo, assistito da un difensore, era a conoscenza di un provvedimento di diniego e della relativa convocazione.

6. Pertanto la Corte dichiara inammissibile il ricorso. L’indefensio degli intimati non richiede la condanna alle spese.

7. Infine, poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono i presupposti processuali tanto limitandosi la declaratoria di questa Corte: Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315) per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 (e mancando la possibilità di valutazioni discrezionali: tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra le innumerevoli altre successive: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dell’obbligo di versamento, in capo a parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2021

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