Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21141 del 21/07/2021

Cassazione civile sez. III, 22/07/2021, (ud. 09/03/2021, dep. 22/07/2021), n.21141

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33845-2019 proposto da:

B.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CORNELIA DE

GRACCHI N 126, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO RAGLIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO SCOTTO DI MONACO;

– ricorrenti –

nonché contro

MINISTERO DELL’INTERNO, PRESSO LA COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI SALERNO,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistenti –

avverso la sentenza n. 2403/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 06/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/03/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. B.B., proveniente dal (OMISSIS), chiese alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

2. A fondamento della propria istanza B.B. dedusse di essere fuggito dal proprio paese a causa delle vicende che avevano coinvolto il fratello accusato di aver commesso un reato. A seguito della fuga dell’uomo, la polizia, convinta della complicità del richiedente asilo, lo aveva catturato e sottoposto per settimane a torture e minacce al fine di estorcergli informazioni sulle sorti del fratello. Ritenendo di essere in pericolo di vita decise di abbandonare il paese d’origine giungendo dapprima in Mali, in Niger, in Libia e poi in Italia. La Commissione territoriale rigettò l’istanza.

2. Avverso tale provvedimento B.B. propose ricorso D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, ex art. 35 dinanzi il Tribunale di Napoli, che con ordinanza del 28 febbraio 2017 rigettò l’istanza ritenendo insussistenti i presupposti per alcuna forma di protezione.

3. La Corte di Appello di Napoli, con sentenza n. 2403 del 6 maggio 2019, ha respinto l’appello proposto sul presupposto che l’estrema genericità della vicenda narrata e il miglioramento delle condizioni socio-politiche del paese d’origine riportato nelle fonti internazionali consultate non consentisse di riconoscere al richiedente alcuna forma di protezione internazionale.

4. Avverso tale pronuncia B.B. ricorrere per cassazione sulla base di tre motivi.

Il Ministero dell’interno si costituisce per resistere al ricorso senza spiegare alcuna difesa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

5.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta “violazione di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. Omessa pronuncia sui motivi di gravame. Mancanza della motivazione. Motivazione apparente. Nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. Nullità della sentenza per violazione degli art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, art. 118 disp. att. c.p.c., comma 1 e 2. Nullità per violazione dell’art. 111. Si duole della assoluta carenza di motivazione circa il ragionamento logico-giuridico che avrebbe condotto la Corte d’Appello a ritenere non credibile la vicenda narrata dal richiedente asilo.

5.2. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 3 e 5; D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, artt. 8,9,13, comma 1 bis; art. 16 dir. n. 2013/327UE. La Corte d’Appello non avrebbe adempiuto ai suoi doveri di cooperazione istruttoria sia nell’accertamento delle condizioni socio-politiche del paese d’origine, sia nel giudizio di credibilità del ricorrente che non tiene conto dei criteri stabiliti al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5.

5.3. Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente lamenta “violazione e/o falsa applicazione di norme ex art. 360 c.p.c., n. 3. Insufficiente e contraddizione della motivazione in ordine al riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 14 e a permesso di soggiorno per motivi umanitari”. La Corte d’Appello non avrebbe condotto un attento esame di quanto riportato dalle fonti internazionali circa le condizioni di pericolosità del paese d’origine del richiedente asilo. Quanto, poi, al permesso di soggiorno per motivi umanitari, avrebbe del tutto omesso di considerare il grado di integrazione del Baboucarr nel territorio italiano, essendo stato assunto come panettiere a tempo indeterminato ed avendo svolto in precedenza alcuni corsi di formazione.

I motivi congiuntamente esaminati sono fondati per quanto di ragione.

Il giudice dell’appello ha errato là dove ha affermato (pag. 2, punto 3 della sentenza impugnata) a fronte delle dichiarazioni generiche del richiedente asilo non vi sarebbe lo spazio per alcuna attività d’ufficio. Tale affermazione contrasta con i principi affermati da questa Corte.

Infatti diversa, invece, è la prospettiva del giudice in tema di protezione sussidiaria di cui al citato art. 14, lett. a e di protezione umanitaria, per il riconoscimento delle quali devono rispettivamente ritenersi necessari e sufficienti (anche al di là ed a prescindere dal giudizio di credibilità del racconto): per l’una, l’esistenza di una situazione di conflitto armato che possa integrare gli estremi del rischio così come tratteggiato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia (172/2009, Elgafalji; 285/2912, Diakite’) e di questa stessa Corte (per tutte, funditus, Cass. 18130/2017); per l’altra, la valutazione comparativa tra il livello di integrazione raggiunto in Italia e la situazione del Paese di origine, qualora risulti ivi accertata la violazione del nucleo incomprimibile dei diritti della persona che ne vulnerino la dignità accertamento da compiersi (anche) alla luce del dettato costituzionale di cui all’art. 10, comma 3, ove si discorre di impedimento allo straniero dell’esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana.

Il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria postula -una volta che il richiedente abbia allegato i fatti costitutivi del diritto – l’obbligo per il giudice del merito, ai sensi del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, di cooperare nell’accertamento) della situazione reale del Paese di provenienza sotto il profilo della garanzia dei diritti fondamentali della persona, mediante l’esercizio di poteri/doveri officiosi d’indagine – essendo quel giudice investito di singole vicende aventi ad oggetto proprio i diritti fondamentali della persona, e non di cause cd. “seriali” – affinché ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul Paese di origine del richiedente; e al fine di ritenere adempiuto tale obbligo officioso, l’organo giurisdizionale è altresì tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (Cass. n. 11312 del 2019), con la ulteriore precisazione, che va ripetuta, per la quale l’acquisizione di tali informazioni ha un oggetto funzionalmente diverso, a seconda che essa riguardi la situazione del Paese in relazione ai presupposti della protezione sussidiaria di cui all’art. 14, lett. c), ovvero quella relativa all’esistenza di vulnera lesivi dei diritti umani e tali da renderne impossibile ovvero oltremodo difficoltoso l’esercizio nel loro nucleo essenziale e incomprimibile – costituendo, di conseguenza, un patente errore di diritto l’acquisizione e l’utilizzazione delle prime al fine di formulare il predetto giudizio di comparazione.

In tema di concessione del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, la condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio, non potendosi tipizzare le categorie soggettive meritevoli di tale tutela che è invece atipica e residuale, nel senso che copre tutte quelle situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento dello “status” di rifugiato o della protezione sussidiaria, tuttavia non possa disporsi l’espulsione.” (cfr. Cass. 13079/2019).

A tal fine il giudice di merito deve osservare il seguente percorso argomentativo:

a. non può trascurare la necessità di collegare la norma che la prevede ai diritti fondamentali che l’alimentano.

b. le relative basi normative sono “a compasso largo”: l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali, col sostegno dell’art. 8 della Cedu, promuove l’evoluzione della norma, elastica, sulla protezione umanitaria “a clausola generale di sistema”, capace di favorire i diritti umani e di radicarne l’attuazione.

c. deve essere, pertanto, ribadito l’orientamento di questa Corte (inaugurato da Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455, e seguito, tra le altre, da Cass. 19 aprile 2019, n. 11110 e da Cass. n. 12082/19, cit., nonché dalla prevalente giurisprudenza di merito) che assegna rilievo centrale alla valutazione comparativa, ex art. 8 CEDU, tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro Paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel Paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale.

Tale percorso deve attivarsi a prescindere del giudizio sulla credibilità del richiedente asilo.

Anche sul punto la sentenza impugnata appare del tutto carente non avendo la Corte d’Appello fornito alcuna motivazione in ordine alla sussistenza o meno dei presupposti per la concessione della protezione ingternazionale; manca, infatti, la valutazione del percorso di integrazione svolto dal richiedente in Italia.

6. Pertanto la Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa la sentenza impugnata come in motivazione e rinvia anche per le spese di questo giudizio alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione.

P.Q.M.

la Corte il ricorso per quanto di ragione cassa la sentenza impugnata come in motivazione e rinvia anche per le spese di questo giudizio alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2021

 

 

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