Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21140 del 22/07/2021

Cassazione civile sez. III, 22/07/2021, (ud. 09/03/2021, dep. 22/07/2021), n.21140

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33458-2019 proposto da:

B.K.M., domiciliato ex lege in Roma, presso la

cancelleria della Corte di Cassazione rappresentato e difeso

dall’avvocato MARCO ESPOSITO;

– ricorrenti –

nonché contro

PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO NAPOLI;

– intimati –

nonché contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– resistenti –

avverso la sentenza n. 1548/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 19/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/03/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. B.K.M., proveniente dalla (OMISSIS), cittadino del (OMISSIS) ((OMISSIS)), chiese alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

2. I1 richiedente dedusse a fondamento dell’istanza di essere fuggito dal proprio paese perché accusato ingiustamente di essere responsabile dell’omicidio del suo datore di lavoro. Nel timore di essere sottoposto ad un processo ingiusto e ad una ingiusta detenzione decise di abbandonare il paese giungendo in Italia.

La Commissione territoriale rigettò l’istanza.

Avverso tale provvedimento B.K.M. propose ricorso D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, ex art. 35 dinanzi il Tribunale di Napoli, che con ordinanza del 28 maggio 2018 rigettò l’istanza ritenendo inattendibili i fatti narrati non avendo il richiedente allegato alcun elemento probatorio a sostegno delle sue dichiarazioni.

3. La Corte di Appello di Napoli, con sentenza n. 1548/2019 del 19 marzo 2019, ha respinto l’appello proposto da B.K.M..

La Corte d’Appello ha ritenuto:

a) inammissibile la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi dell’art. 342 c.p.c. per assenza dei requisiti minimi di specificità in quanto il motivo di appello si limita ad un generale ed astratto richiamo alle disposizioni normative in materia di protezione internazionale;

b) inammissibile la domanda di protezione sussidiaria ai sensi dell’art. 342 c.p.c. per assenza dei requisiti minimi di specificità non avendo il richiedente asilo fornito alcuna prova sia circa la sussistenza di un fondato pericolo di subire, in caso di rimpatrio, una condanna a morte o trattamenti inumani e degradanti, sia circa l’esistenza di un conflitto armato generalizzato nella zona di provenienza. Il Giudice ha altresì rilevato che in base al report di Amnesty international 2016/2017 nonostante alcune criticità non risulta esservi in (OMISSIS) alcun conflitto armato interno o internazionale;

c) inammissibile la domanda di protezione umanitaria in quanto basata su una deduzione astratta priva di alcuna spiegazione circa la relazione tra il richiedente asilo e le “formazioni integraliste attive nella regione”.

4. La sentenza è stata impugnata per cassazione da B.K.M. con ricorso fondato su un unico motivo.

11 Ministero dell’Interno si costituisce per resistere al ricorso senza spiegare alcuna difesa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

5. Con l’unico motivo di ricorso il ricorrente lamenta violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 2, 3, 14 e 16 nonché del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

La Corte d’Appello avrebbe omesso di considerare, ai fini della valutazione della condizione di vulnerabilità del richiedente asilo, il grave stato in cui versa l’amministrazione della giustizia in (OMISSIS) ed il diffuso sistema di corruzione che pervade l’apparato giudiziario del paese. Lamenta, inoltre, l’erroneità del richiamo al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 16 in mancanza di una convinzione da parte del Giudice circa l’effettiva commissione del reato avendo il richiedente contestato e non ammesso la fondatezza dell’accusa. Quanto alla domanda di riconoscimento della protezione umanitaria il ricorrente lamenta, da un lato l’omessa valutazione delle condizioni di particolare vulnerabilità del richiedente che, a differenza di quanto sostenuto dalla Corte d’Appello, costituirebbero un “catalogo aperto” non coincidente con quelle tutelate dalla protezione sussidiaria; dall’altro l’omesso giudizio comparativo tra l’integrazione raggiunta nel territorio italiano e le condizioni in cui si verrebbe a trovare il richiedente in caso di rimpatrio.

Il motivo è infondato.

Innanzitutto occorre correggere la motivazione della sentenza a pag. 5 dove il giudice dell’appello afferma che “il richiedente ha un onere di allegazione che non può ridursi alla mera evocazione della normativa generale e astratta applicabile in materia di immigrazione, da qualunque parte dell’orbe terraqueo provenga”.

Tale affermazione non si conforma al principio di diritto affermato più volte da questa Corte:

– lo straniero che chieda il riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), non ha l’onere di presentare, tra gli elementi e i documenti necessari a motivare la domanda (art. 3, comma 1, D.Lgs. cit.), quelli che si riferiscono alla sua storia personale, salvo quanto sia indispensabile per verificare il Paese o la regione di provenienza, perché, a differenza delle altre forme di protezione, in quest’ipotesi non rileva alcuna personalizzazione del rischio, sicché, una volta che il richiedente abbia offerto gli elementi utili alla decisione, relativi alla situazione nello Stato o nella regione di origine, il giudice deve accertare anche d’ufficio se effettivamente in quel territorio la violenza indiscriminata in presenza di conflitto armato sia di intensità tale da far rischiare a chiunque vi si trovi di subire una minaccia grave alla vita o alla persona, senza che alcuna valutazione di non credibilità, che non riguardi l’indicazione dello Stato o regione di provenienza, possa essere di ostacolo a tale accertamento (cfr. Cass. 13940/2020).

L’onere di allegazione del richiedente la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), , diversamente dalle ipotesi di protezione sussidiaria cd. “individualizzanti”, previste dall’art. 14, lett. a) e lett. b) del detto decreto è limitato alla deduzione di una situazione oggettiva di generale violenza indiscriminata – dettata da un conflitto esterno o da instabilità per il solo fatto di rientrare nel paese di origine, disancorato dalla rappresentazione della propria vicenda individuale di esposizione al rischio persecutorio, sicché, ove correttamente allegata tale situazione, il giudice, in attuazione del proprio dovere di cooperazione istruttoria, è tenuto ad accertarne l’attualità con riferimento alla situazione oggettiva del paese di origine e, in particolare, dell’area di provenienza del richiedente (cfr. Cass. 19224/2020);

– la protezione sussidiaria, disciplinata dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), ha come presupposto la presenza, nel Paese di origine, di una minaccia grave ed individuale alla persona, derivante da violenza indiscriminata in una situazione di conflitto armato, il cui accertamento, condotto d’ufficio dal giudice in adempimento dell’obbligo di cooperazione istruttoria, deve precedere, e non seguire, qualsiasi valutazione sulla credibilità del richiedente, salvo che il giudizio di non credibilità non riguardi le affermazioni circa lo Stato di provenienza le quali, ove risultassero false, renderebbero inutile tale accertamento (cfr. Cass. 8819/2020).

Ma tale ratio decidendi, comunque, non è stata impugnata dal ricorrente.

Inoltre, i giudici di merito hanno motivato anche a prescindere dalla inammissibilità del ricorso per difetto di specificità e alla non credibilità del racconto del richiedente: tale giudizio è stato svolto nel rispetto dei principi enunciati da questa Corte.

Anche il motivo relativo alla protezione umanitaria difetta di specificità. Ed in ogni caso la Corte ha ritenuto inesistente una condizione di vulnerabilità anche alla luce delle deduzioni generiche del richiedente asilo.

In definitiva il ricorso si sostanzia in censure generiche che mirano sostanzialmente ad una rivalutazione dei fatti di causa non ammissibile in questa sede.

6. Pertanto la Corte rigetta il ricorso. L’indefensio degli intimati non richiede la condanna alle spese.

7. Infine, poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono i presupposti processuali (a tanto limitandosi la declaratoria di questa Corte: Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315) per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 (e mancando la possibilità di valutazioni discrezionali: tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra le innumerevoli altre successive: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dell’obbligo di versamento, in capo a parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per la stessa impugnazione.

PQM

la Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2021

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