Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2114 del 25/01/2022

Cassazione civile sez. I, 25/01/2022, (ud. 20/10/2021, dep. 25/01/2022), n.2114

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21040/2016 proposto da:

D.R.M., quale erede e già procuratore generale di

L.S., elettivamente domiciliato in Roma, in piazza della Libertà n.

20, presso lo studio dell’avvocato Vaglio Mauro, che lo rappresenta

e difende, unitamente all’avvocato Cappelli Silvia, con procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Comune di Rossano, in persona del sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in Roma, Via Tiburtina n. 352, presso lo studio

dell’avvocato Sellaro Giuseppe, rappresentato e difeso dall’avvocato

Tagliaferro Giuseppe, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 958/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 09/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/10/2021 dal Cons. rel. Dott. CAIAZZO ROSARIO.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

Con sentenza del 28.9.06, il Tribunale di Rossano, respinta l’eccezione di prescrizione, ritenute congrue e condivisibili le argomentazioni del c.t.u., accolse la domanda di L.S., condannando il Comune di Rossano al pagamento, a titolo di corrispettivo per l’occupazione di un terreno di sua proprietà- oggetto di un provvedimento d’occupazione d’urgenza del Comune di Rossano per la realizzazione di una strada d’accesso alla villa comunale, cui non era seguita l’espropriazione del bene – della somma di Euro 221.295,618 oltre interessi dall’1.4.02 al soddisfo a titolo di corrispettivo dell’occupazione del terreno di proprietà dell’attrice.

Con sentenza del 7.9.15 la Corte d’appello, in parziale riforma della sentenza impugnata, condannò il Comune di Rossano al pagamento, in favore dell’appellata, della somma di Euro 105.320,00 oltre interessi legali, osservando che: la documentazione prodotta in appello – cessione bonaria del terreno espropriato stipulata dal procuratore della L. – non dimostrava una causa di cessazione della materia del contendere, conservando il procuratore stipulatario un concreto interesse ad agire; non era maturata la prescrizione quinquennale in ordine alla domanda risarcitoria relativa all’occupazione appropriativa; atteso che il giudice di primo grado non aveva accertato l’epoca in cui si era verificato l’effetto acquisitivo in capo all’ente pubblico, occorreva avere riguardo alla data della domanda giudiziale (1990), prossima al periodo di scadenza dell’occupazione legittima (agosto 1989), senza che emergessero variazioni del mercato immobiliare significative e tali da richiedere l’assunzione di altri mezzi istruttori, tanto che i c.t.u. d’appello, per determinare il valore venale del suolo alla data di scadenza dell’occupazione legittima, avevano fatto riferimento ad una pluralità di atti pubblici di vendita collocabili tra il 1990 e il 2003; il terreno oggetto di causa era stato occupato dal Comune per la costruzione di una strada estesa 2352,75 mq., come accertato dal Tribunale; alla data della domanda (1990) il Comune era dotato di regolamento edilizio con annesso programma di fabbricazione adottato con Delib. del 1973 ed approvato con D.P.G.R. del luglio 1975; in base al programma di fabbricazione l’area occupata ed utilizzata per la realizzazione della strada ricadeva per mq. 800,00 in zona C7 di espansione residenziale, area da edificare tramite lottizzazione convenzionata ed assunzione dei relativi oneri urbanistici, e per mq 1380,00 in zona F3 destinata a servizi generali, mentre per circa mq 172 era destinata a strada di piano; il terreno in questione era da ritenere edificabile limitatamente alla superficie di mq 800 ricadente in zona C7; era invece da negare natura edificabile alla restante parte del suolo occupato; il programma di fabbricazione non conteneva alcuna prescrizione relativa alla zona F; come chiarito dal c.t.u. riguardo alla superficie ricadente in zona F3, il citato strumento urbanistico vigente all’epoca dei fatti non contemplava la possibilità di edificazione da parte dei privati all’interno della zona omogenea F di cui faceva parte la zona F3; la conseguente situazione d’inedificabilità derivante dalle prescrizioni del programma di fabbricazione non era incisa dal suddetto decreto del 1975 di approvazione dello strumento urbanistico, poiché esse avevano riferimento ai rapporti tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e gli spazi pubblici o riservati ad attività collettive, al verde pubblico o ai parcheggi, in ottemperanza a quanto stabilito dal D.M. n. 1444 del 1968, e non introducevano alcuna possibilità d’iniziativa privata o promiscua da parte dei privati nella zona omogenea F3, specie con riguardo alle zone destinate all’edilizia scolastica; pertanto, ai fini della liquidazione del danno da perdita di proprietà, come accertato in primo grado con statuizione non impugnata, occorreva distinguere l’area edificabile – zona C7 – dalla restante non edificabile; il c.t.u. aveva constatato che il valore di mercato dell’area edificatoria era di circa Lire 65.000 mq ad agosto del 1989, considerato che la domanda era stata proposta poco dopo; la valutazione del suolo compreso nella zona C7, effettuata dal c.t.u., pari a Euro 33,57 mq., per complessivi Euro 26.856,00 era condivisibile ed attendibile, sia perché adeguatamente motivata in quanto basata su atti di compravendita similari, sia perché trattasi di valutazione sovrapponibile a quella offerta dall’altro c.t.u.; quanto ai suoli non edificabili, parimenti condivisibile è la valutazione del c.t.u., pari a Euro 1.81 mq, all’agosto 1989, trattandosi di terreni coltivati ad uliveto; il danno complessivo liquidato ammontava, pertanto, alla somma di Euro 105.320,00, comprensiva di interessi compensativi e rivalutazione da luglio 1990 alla data della sentenza, oltre ulteriori interessi legali sino al saldo.

D.R.M., quale erede della defunta L.S., ricorre in cassazione con tre motivi, illustrati con memoria. Il Comune di Rossano resiste con controricorso, illustrato con memoria.

Diritto

RITENUTO

Che:

Il primo motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 113 c.p.c., art. 12 preleggi, comma 1, nonché del piano regolatore generale, con annesso piano di fabbricazione del Comune di Rossano, approvato con deliberazione della giunta comunale del 1973, per aver la Corte d’appello affermato che, in applicazione del suddetto programma, nelle zone F3, siccome destinate a servizi pubblici, era preclusa l’edificazione da parte dei privati, mentre il terreno oggetto di causa era edificabile limitatamente alla superficie di mq 800 in zona C7. Al riguardo, il ricorrente si duole che l’interpretazione della Corte territoriale sia in contrasto con gli strumenti urbanistici citati, in quanto il riferimento alle “attrezzature comuni e collettive” relative alle zone omogenee F non era diretto a limitare alla sola iniziativa pubblica gli eventuali interventi ivi assentibili, come evidenziato dal c.t.u. nominato in secondo grado per il quale, appunto, l’edificabilità non era riducibile a quella residenziale abitativa, ma ricomprendeva anche tutte le trasformazioni del suolo non precluse all’iniziativa privata, ivi comprese quelle riguardanti le aree destinate a parcheggi e infrastrutture.

Il secondo motivo deduce omessa ed insufficiente motivazione nella parte in cui la Corte d’appello ha escluso che lo strumento urbanistico, vigente nel periodo di riferimento, contemplasse possibilità edificatorie per le porzioni del fondo occupato dal Comune di Rossano ricadenti nella zona F3, aderendo acriticamente ad una delle c.t.u. espletate in grado d’appello secondo cui la situazione d’inedificabilità prescritta dal programma di fabbricazione non era stata incisa dal decreto del presidente della Giunta regionale del 1975, poiché quest’ultimo non avrebbe introdotto alcuna possibilità d’iniziativa privata o promiscua dei privati nella zona omogenea F3 specie con riguardo alle zone destinate all’edilizia scolastica.

Il terzo motivo denunzia violazione dell’art. 112 c.p.c., per aver la Corte territoriale operato un’illegittima rivalutazione, in mancanza di un motivo di impugnazione specifico, del dies a quo quale parametro di riferimento per l’accertamento della classe urbanistica e della stima del valore venale dei beni occupati, riducendo l’importo del risarcimento liquidato dal Tribunale.

Il primo e secondo motivo, esaminabili congiuntamente poiché tra loro connessi, sono infondati. Al riguardo, secondo la giurisprudenza di legittimità, in tema di determinazione dell’indennità di espropriazione, l’edificabilità non si esaurisce in quella residenziale abitativa, ma ricomprende tutte quelle forme di trasformazione del suolo riconducibili alla nozione tecnica di edificazione. Pertanto, anche i suoli classificati dagli strumenti urbanistici nella zona “F” comprendente, secondo la previsione del D.M. 2 aprile 1968, art. 7, le parti del territorio destinate ad attrezzature ed impianti d’interesse generale – pur non risultando normalmente edificabili, possono essere considerati tali, in via eccezionale, qualora sia consentita la costruzione di parcheggi o infrastrutture. A tal fine, tuttavia, è necessario che la zona non sia stata concretamente destinata ad un utilizzo meramente pubblicistico, in quanto tale vincolo non tollera la realizzazione ad iniziativa privata, neppure attraverso apposite convenzioni; viceversa, ove il vincolo posto dalla classificazione introduca una destinazione realizzabile anche ad iniziativa privata o promiscua, non può escludersi l’edificabilità del suolo, purché non si tratti di manufatti precari, quali chioschi o attrezzature per giochi (Cass., n. 1626/06).

E’ stato altresì ribadito che, ai fini della determinazione dell’indennità espropriativa, nel sistema introdotto dal D.L. n. 333 del 1992, art. 5-bis (conv., con modif., dalla L. n. 359 del 1992) – o del risarcimento dei danni da occupazione appropriativa, come nel caso concreto – devono essere inclusi nella categoria dei terreni a vocazione edificatoria legale solo quelli in cui l’edificazione, benché a tipologia vincolata, sia consentita all’iniziativa privata in base alla concreta disciplina e destinazione urbanistica attribuita all’area; qualora, invece, i limitati interventi consentiti non risultino espressione dello ius aedificandi, ma siano funzionali alla realizzazione dello scopo pubblicistico, l’area non può essere qualificata come edificabile (Cass., n. 19193/16; 18239/15).

Nel caso concreto, dagli atti emerge che gli strumenti urbanistici contemplavano la sola iniziativa pubblica per gli interventi relativi alle attrezzature e agli impianti pubblici nella zona F e non anche quelli ad iniziativa dei privati. Invero, la Corte d’appello, con motivazione chiara ed esaustiva, ha rilevato che: il terreno oggetto di causa era da considerare edificabile limitatamente alla superficie di mq. 800 ricadente in zona C7; circa i terreni compresi nella F3, lo strumento urbanistico vigente all’epoca dei fatti non contemplava alcuna possibilità di edificazione da parte dei privati all’interno della zona omogenea F di cui faceva parte la zona F3, trattandosi di zona destinata a servizi pubblici; tale situazione d’inedificabilità non era stata incisa dalle disposizioni del programma di fabbricazione, approvato con il Decreto del Presidente della Giunta Regionale 2 luglio 1975, che non aveva introdotto alcun possibilità d’edificazione ad opera dei privati nella suddetta zona omogenea F3, specie con riguardo alle zone desinate all’edilizia scolastica.

In proposito, giova richiamare la costante giurisprudenza di questa Corte, cui il collegio intende dare continuità, secondo la quale, ai fini della determinazione dell’indennità di esproprio per pubblica utilità – o del risarcimento dei danni da occupazione appropriativi – va ritenuta non edificabile l’area che, al momento della vicenda ablativa, sia concretamente vincolata dallo strumento urbanistico vigente ad un utilizzo meramente pubblicistico (verde pubblico, attrezzature pubbliche, viabilità, ecc.), rimanendo, invece, irrilevante che tale destinazione possa essere realizzata anche da privati, a seguito di convenzione con l’ente pubblico (Cass., n. 12818/16; n. 11503/14).

Nel caso concreto, il terreno compreso nella zona F, come detto, era destinato esclusivamente a servizi pubblici in funzione della strada pubblica da realizzare, oggetto del procedimento espropriativo, considerato altresì che il programma di fabbricazione non conteneva alcuna prescrizione relativa alla stessa zona F, né, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, la proposizione “da edificare tramite lottizzazione convenzionata con i parametri dati”, come la Corte territoriale ha esaustivamente motivato, anche in relazione ai rilievi del c.t.u..

Il terzo motivo è parimenti infondato. Il ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia pronunciato sulla questione della data dell’illecito acquisitivo, ai fini della liquidazione del valore venale degli immobili, sebbene con l’atto d’appello il Comune di Rossano avesse chiesto esclusivamente di rideterminare l’indennità con riferimento alla natura non edificatoria degli stessi immobili.

Al riguardo, il giudice di secondo grado, premettendo che il Tribunale aveva omesso di accertare l’epoca in cui si era verificato l’effetto acquisitivo a favore del Comune a seguito della realizzazione dell’opera pubblica, ha affermato che, ai fini dell’accertamento della classe urbanistica e del valore venale del fondo, occorresse avere riguardo alla data della domanda giudiziale (1990), molto prossima al periodo di scadenza dell’occupazione legittima (agosto 1989). Pertanto, è evidente che l’accertamento della data dell’illecito dell’occupazione appropriativa (effettuato in primo grado) ha costituito il logico presupposto dello scrutinio del motivo d’appello concernente l’edificabilità dei terreni per cui è causa, non potendosi dunque ritenere che la Corte d’appello abbia deciso ultra petita.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del Comune di Rossano, delle spese del grado di giudizio che liquida nella somma di Euro 7200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% quale rimborso forfetario delle spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2022

 

 

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