Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21133 del 08/10/2014


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 21133 Anno 2014
Presidente: CICALA MARIO
Relatore: CARACCIOLO GIUSEPPE

SENTENZA
sul ricorso 846-2013 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;
– ricorrente contro
DALOISO MICHELE;
– intimato avverso la sentenza n. 38/36/2012 della Commissione Tributaria
Regionale di TORINO del 6.12.2011, depositata 1’8/05/2012;

Data pubblicazione: 08/10/2014

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
09/07/2014 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE
CARACCIOLO;
udito per la ricorrente l’Avvocato Pietro Garofoli che si riporta agli

scritti.

Ric. 2013 n. 00846 sez. MT – ud. 09-07-2014
-2-

Svolgimento del processo
1. Gli atti del giudizio di legittimità.
L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della
Commissione tributaria regionale di Torino, con la quale -in controversia concernente
impugnazione del provvedimento di silenzio-rifiuto sull’istanza di rimborso della

fronte dell’erogazione dell’assegno straordinario di sostegno al reddito ai sensi
dell’art.5 del D.Lgs.n.314/1997 (c.d. incentivo all’esodo)- è stato respinto l’appello
dell’Agenzia avverso la decisione della CTP di Torino n.87/19/2010 che aveva
accolto il ricorso del contribuente Daloiso Michele.
La parte contribuente non ha svolto attività difensiva.
Non sono state depositate memorie illustrative.
La causa è stata quindi discussa alla pubblica udienza del 9.07.2014.
2. La motivazione della sentenza impugnata.
La CTR —atteso che la parte contribuente aveva formulato l’istanza sulla premessa
che il termine di decadenza per l’istanza di rimborso decorre non già dalla data della
ritenuta ma invece dalla data di pubblicazione della sentenza della Corte di Giustizia
Europea con la quale si era ritenuto che l’art.17 comma 4-bis del DPR n.917/1986
contrasta con i principi comunitari di parità di trattamento tra uomo e donna per
quanto riguarda l’accesso al lavoro, la formazione e la promozione professionale e le
condizioni di lavoro (Direttiva del Consiglio 9.2.1976, n.207) nella parte in cui
prevede l’assoggettamento ad aliquota ridotta, quale quella applicabile all’imponibile
soggetto a tassazione separata, per l’ipotesi di esodo in età compresa tra 50 e 55 anni,
soltanto per le donne e non anche per gli uomini- ha ritenuto che non potesse essere
trascurata la circostanza che solo per effetto della predetta pronuncia della Corte di
Giustizia il contribuente è reso edotto dell’illegittimità dei versamenti effettuati e del

trattenuta di acconto (a titolo di IRPEF per l’anno 2003) operata dal datore di lavoro a

diritto ad ottenerne la parziale restituzione. Essendo sorto il diritto stesso nella data di
pubblicazione della sentenza, è dalla data medesima che poteva decorrere il termine
di mesi 24 previsto dall’art.21 del D.Lgs.546/1992 (e decorrente dalla data del
verificarsi del presupposto per la restituzione) per la presentazione dell’istanza di
rimborso.

Il ricorso per cassazione è sostenuto con unico motivo d’impugnazione e -dichiarato
il valore della causa nella misura di Euro 2.223,00- si conclude con la richiesta che
sia cassata la sentenza impugnata, con ogni conseguente statuizione anche in ordine
alle spese processuali.
Motivi della decisione
4. 11 primo motivo di impugnazione
Con il motivo unico di ricorso (sostanzialmente centrato sulla violazione dell’art.38
del DPR n.602/1973), la parte qui ricorrente si duole della decisione di appello per
avere il giudicante omesso di considerare che il termine di decadenza previsto dalla
anzidetta norma opera (nella ipotesi di inesistenza parziale dell’obbligo di pagamento
del tributo, come quella qui in esame) sempre dalla data in cui il pagamento è stato
effettuato o la ritenuta è stata operata, anche nel caso in cui la ragione dell’asserito
indebito sia da rinvenirsi nel contrasto tra diritto interno e diritto comunitario, atteso
che l’applicazione della disciplina dell’indebito di diritto comune può avvenire solo
nel caso in cui —per effetto del contrasto- l’intera fattispecie del tributo debba essere
disapplicata ed espunta dall’ordinamento.
In diversa ipotesi, non assume rilievo la sopravvenuta pronuncia della Corte di
Giustizia, atteso il principio di intangibilità delle situazioni giuridiche cristallizzate ed
esaurite per omessa impugnazione del provvedimento amministrativo divenuto
definitivo, che costituisce limite per la retroattività degli effetti della pronuncia della

3. Il ricorso per cassazione

Corte di Giustizia, alla stessa stregua di quanto succede in ipotesi di declaratoria di
incostituzionalità della norma ad opera della sentenza della Corte Costituzionale.
Il motivo appare fondato, e si impone perciò l’accoglimento del ricorso, alla luce del
pressocchè costante indirizzo interpretativo di questa Corte. Già in epoca remota
Cass. Sez. 5, Sentenza n. 15259 del 27/11/2000 aveva chiarito che:” La richiesta di

registro delle imprese per ogni anno solare successivo alla iscrizione (tassa prevista
dall’art. 3 del D.L. 19 Dicembre 1984, n. 853, convertito in legge 17 Febbraio 1985,
n. 17, e successive modificazioni ed illegittima in quanto contrastante con la direttiva
del Consiglio CEE n. 335 del 17 Luglio 1969) è soggetta al termine di decadenza
triennale previsto dall’art. 13, comma secondo, del d.P.R. 26 Ottobre 1972, n. 641,
termine che decorre dal giorno del pagamento del tributo, non già da quello in cui la
direttiva è stata, con D.L. n. 331 del 1993 convertito in legge 427 del 1993, trasposta
nell’ordinamento italiano, senza che tale disposizione possa ritenersi incompatibile
con i principi del diritto comunitario o della Costituzione. Ed infatti, il contribuente
italiano che, in esecuzione di una norma interna, ha effettuato il versamento relativo
ad una imposta ritenuta contrastante con una direttiva comunitaria, ha la possibilità di
formulare la domanda di rimborso anche prima che alla direttiva stessa venga data
attuazione nello Stato italiano, purché essa direttiva sia incondizionata e precisa, e sia
trascorso un tempo ragionevole dalla sua emanazione. In tale ipotesi, il giudice
nazionale ha infatti il potere – dovere di disapplicare la norma interna , e riconoscere
la fondatezza della pretesa al rimborso, anche se il legislatore nazionale abbia
emanato norme incompatibili con la direttiva” (conformi Cass. Sez. 5, Sentenza n.
2809 del 11/02/2005; Cass.Sez. 5, Sentenza n. 17187 del 27/08/2004; Cass. Sez. 5,
Sentenza n. 12707 del 09/07/2004).
Più di recente, anche Cass. Sez. U, Sentenza n. 13676 del 2014 (su sollecitazione del
collegio di questa sezione: Cass. sez. VI-trib. ordinanza interlocutoria n. 959 del
2013, anche alla luce dell’opinione dissenziente manifestata da Cass. 22282/2011 e
del processo evolutivo manifestatosi, in diversa ma collegata materia, per effetto della

rimborso della tassa di concessione governativa per la iscrizione delle società nel

pronuncia di Cass. 15144/2011), ha inteso ribadire (proprio in ordine ad istanza di
rimborso similare a quella qui in esame) che:”Ia posizione del soggetto che, in
vigenza della norma che lo escludeva dal beneficio, è rimasto inerte fino
all’intervento della sentenza (o anche successivamente), così trovandosi in tutto o in
parte decaduto dal diritto al rimborso, non è assimilabile, sotto il profilo dell’esigenza

revirement giurisprudenziale che ha, in sostanza, abbreviato il termine”. Perciò, “la
tutela di una tale situazione deve ritenersi recessiva rispetto al principio della certezza
delle situazioni giuridiche (tanto più cogente in materia di entrate tributarie), che
riceverebbe un grave vulnus, in ragione della sostanziale protrazione a tempo
indeterminato dei rapporti tributari che ne deriverebbe”, sicchè “spetta, in definitiva,
al solo legislatore, in casi come quello in esame (così come in quello del sopravvenire
di una legge retroattiva), la valutazione discrezionale, nel rispetto dei principi
costituzionali coinvolti, in ordine all’eventuale introduzione di norme che prevedano
termini e modalità di riapertura di rapporti esauriti”.
Alla luce di questi ribaditi principi, e risultando pacifico in causa che l’istanza di
rimborso donde promana il provvedimento impugnato è posteriore di oltre 48 mesi al
momento dell’effettuata ritenuta d’acconto per il titolo di imposta di cui si tratta
(senza che vengano qui in considerazione le ipotesi eccettuative nelle quali la
giurisprudenza ha ritenuto che si debba fare riferimento alla data del versamento del
saldo; sul punto si confronti, per tutte, Cass. 4166/2014), non resta che ritenere che il
motivo di impugnazione debba essere accolto e perciò stesso debba essere cassata la
pronuncia di appello.
Non apparendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Corte ritiene di dover poi
pronunciare anche nel merito, con il rigetto dell’impugnazione contro il silenziorifiuto, e la regolazione delle spese di lite in ragione della integrale compensazione,
attesa la obiettiva controvertibilità delle questioni in esame.
P.Q.M.

di tutela, a quella” di chi “si ritrova ex post decaduto in ragione di un imprevedibile

la Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito,
rigetta il ricorso della parte contribuente avverso il silenzio-rifiuto sull’istanza di
rimborso. Compensa integralmente le spese di lite tra le parti.

ciso in Roma, nella camera di consiglio del 9 luglio 2014

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