Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21130 del 13/10/2011

Cassazione civile sez. trib., 13/10/2011, (ud. 07/07/2011, dep. 13/10/2011), n.21130

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BOGNANNI Salvatore – Presidente –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – rel. Consigliere –

Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 30722/2006 proposto da:

P.C., titolare dell’omonima ditta individuale esercente

l’attività di supermercato, elettivamente domiciliato in ROMA VIA

QUINTILIO VARO 68, presso lo studio dell’avvocato SPINELLO EMILIA,

rappresentato e difeso dall’avvocato VANNETIELLO LUIGI, giusta delega

a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DI ARIANO IRPINO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 233/2005 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

SALERNO, depositata il 28/09/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/07/2011 dal Consigliere Dott. MARIA GIOVANNA C. SAMBITO;

Uudito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LETTIERI Nicola, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

P.C., titolare di un supermercato per la vendita al dettaglio di generi alimentari, ha impugnato l’avviso d’accertamento col quale erano stati determinati maggiori ricavi ai fini IRPEF ed ILOR per l’anno 1997. La CTP di Avellino ha determinato nel 60% la percentuale di ricarico, e la CTR della Campania, con sentenza n. 233/5/05, depositata il 28.9.2005, ha quantificato nel 20% la percentuale da computare sull’utile lordo del venduto, affermando che la motivazione dell’atto impositivo era idonea ad enunciare le ragioni del maggior credito.

Il contribuente ricorre per la cassazione della sentenza, sulla scorta di tre motivi, illustrati con memoria. L’Agenzia delle Entrate non ha depositato difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo, il contribuente deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4, e 5, affermando che, mentre, in parte motiva, l’appello da lui proposto è stato parzialmente accolto in conseguenza dell’applicazione della percentuale di ricarico del 20% “al costo del venduto”, nel dispositivo, tale percentuale è stata riferita all'”utile lordo del venduto”, con conseguente incomprensibilità della portata del “decisum”, tanto più, prosegue il ricorrente, che i giudici d’appello non hanno, in alcun modo, chiarito quale sia il riferimento da loro considerato, per determinare il maggior reddito accertato.

Col secondo motivo, il contribuente, deducendo violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamenta che l’Ufficio ha proceduto, in assenza dei presupposti, ad accertamento induttivo sulla base dei parametri riferiti alla generalità degli operatori del settore, senza considerare le ragioni da lui addotte a sostegno dei dati dichiarati; ragioni che non erano state, neppure, esaminate dai giudici di primo e secondo grado.

Col terzo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, e vizio di motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per “carenza assoluta di motivazione dell’avviso d’accertamento” in relazione agli elementi da lui offerti ed alle ampie difese svolte sia nel ricorso introduttivo, che nell’atto d’appello.

Il primo motivo è fondato. Questa Corte (Cass. n. 14966 del 2007) ha enunciato il principio, che qui si condivide, secondo cui sussiste la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., e art. 360 c.p.c., n. 4, per contrasto tra dispositivo e motivazione, nel caso in cui il provvedimento risulti inidoneo a consentire l’individuazione del concreto comando giudiziale, per l’impossibilità di ricostruire la statuizione del giudice attraverso il confronto tra motivazione e dispositivo, mediante valutazioni di prevalenza di una delle affermazioni contenute nella prima su altre di segno opposto presenti nel secondo. Nella specie, in relazione alla determinazione della percentuale di ricarico l’insanabile contrasto è sussistente: la stessa risulta, in effetti, computata nella motivazione e nel dispositivo in rapporto a fattori concettualmente diversi (costo del venduto – utile lordo de venduto, quest’ultimo neppure indicato in numerario), con risultati finali correlativamente divergenti. I dati esposti in motivazione sono, poi, inidonei a prevalere su quelli del dispositivo, in quanto è la stessa indicazione della percentuale di ricarico ad esser priva di supporto motivazionale, come lamentato dal ricorrente, risultando determinata in misura (20%), pressochè equidistante tra quella dichiarata (14,17) e quella accertata (28,52), che la CTR ha apoditticamente qualificato L’giusta ed equa” in rapporto alla realtà economica in cui operava il contribuente, senza alcun’ulteriore argomentazione esplicativa di tale suo convincimento.

Il secondo motivo è infondato. L’impugnata sentenza, dopo aver esposto, in narrativa, che i giudici di prime cure avevano “rigettato l’eccezione relativa alla mancanza di motivazione in quanto, in presenza di una percentuale di ricarico dichiarata del 14,17, notevolmente distante da quella di riferimento di cui al D.P.C.M. 27 luglio 1999, risulta legittimo il ricorso alla procedura induttiva utilizzato per la determinazione del reddito”, ha ribadito, in parte motiva, l’idoneità della motivazione dell’atto impositivo, che indicava “chiaramente le ragioni poste a base del maggior reddito”, ma non ha valutato, in sè, il profilo relativo alla sussistenza dei presupposti legittimanti il ricorso all’accertamento induttivo. Non essendo tale questione stata affrontata dalla CTR, il ricorrente avrebbe dovuto, in questa sede, o sostenere di aver sollevato la questione a tempo debito, e allora denunciare l’omessa pronuncia del giudice di merito, riproducendo, nel rispetto del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, le parti rilevanti degli atti processuali relativi alla questione, oppure riconoscere che il motivo è nuovo, ma, di certo, non limitarsi a denunciare la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, come ha fatto col secondo motivo, con cui ha, peraltro, censurato il “modus procedendo” dell’Ufficio, piuttosto che la sentenza impugnata, che costituisce, appunto, l’unico oggetto del presente giudizio.

Il terzo motivo è privo di autosufficienza. Esso, al di là della formale prospettazione anche della violazione di legge, enuncia, in realtà, solo il vizio di motivazione, in quanto il ricorrente contesta la mancata valutazione sia degli elementi da lui addotti per contrastare quelli desunti dai dati parametrici, che delle difese svolte in primo grado ed in appello, e, cioè, formula una censura che è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge ed inerisce alla tipica valutazione del giudice del merito. Il ricorrente non ha, però, nè enunciato, nè, tanto meno, riprodotto, come, invece avrebbe dovuto, in ossequio al principio di cui all’art. 366 c.p.c., nessuno degli atti e degli elementi asseritamente pretermessi da parte dei giudici del merito, cosicchè questa Corte, che non può accedere agli atti di causa, non è posta in condizione di poter acquisire la conoscenza dei dati fattuali indispensabili per la decisione.

La sentenza va, in definitiva, cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio ad altra sezione della CTR della Campania che provvederà, anche, alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il primo motivo, rigetta il secondo ed il terzo, cassa e rinvia ad altra sezione della CTR della Campania, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 7 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2011

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