Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2113 del 31/01/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 2113 Anno 2014
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: DI AMATO SERGIO

SENTENZA

sul ricorso 3754-2012 proposto da:
VENETO BANCA S.C.P.A. (c.f./p.i.

00208740266), in

persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GREGORIANA

Data pubblicazione: 31/01/2014

56, presso l’avvocato GALOPPI GIOVANNI, che la
rappresenta e difende unitamente agli avvocati LILLO
2013
1770

ANTONELLA, MALVESTIO MASSIMO, giusta procura a
margine del ricorso;
– ricorrente contro

1

FALLIMENTO F.I.T.ME. GROUP S.R.L.;
– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di TREVISO,
depositato il 23/11/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

DI AMATO;
udito,

per la ricorrente,

l’Avvocato GALOPPI

GIOVANNI che si riporta al ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUCIO CAPASSO che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

udienza del 20/11/2013 dal Consigliere Dott. SERGIO

2

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con decreto del 23 novembre 2011 il Tribunale di
Treviso rigettava l’opposizione allo stato passivo del
fallimento della s.r.l. F.I.T.M.E. Group proposta dalla

s.c.p.a. Veneto Banca, osservando che: l) non era
opponibile al fallimento il decreto ingiuntivo non munito
del visto di esecutorietà

ex art. 647 c.p.c. in data

anteriore a quella della dichiarazione di fallimento e
ciò anche se in data anteriore alla stessa data era ormai
decorso il termine per proporre opposizione; ne
conseguiva l’inopponibilità dell’ipoteca iscritta sulla
base del decreto. Tale conclusione, conforme
all’orientamento della giurisprudenza di legittimità,
discendeva dal fatto che il decreto ingiuntivo acquista
efficacia di giudicato sostanziale soltanto dopo
l’emissione del decreto di esecutività, che ha «natura
accertativa della ritualità della notifica e dell’inutile
decorso dei termini per proporre opposizione e
costitutiva dell’efficacia di giudicato sostanziale che
in esito e per effetto di detto controllo ad opera del
giudice che lo ha emesso, il decreto acquista»; 2) al
decreto dichiarato definitivo ai sensi dell’art. 647
c.p.c. non è omologabile il decreto ingiuntivo
provvisoriamente esecutivo per diversità, quanto a
presupposti ed effetti, tra la possibilità di
3

anticipazione degli effetti esecutivi della statuizione
condannatoria e la definitiva ed irretrattabile
modificazione della situazione giuridica interessata dal
provvedimento, che consegue alla formazione del
giudicato; 3) non ricorrevano i presupposti, considerato

l’orientamento consolidato della giurisprudenza di
legittimità, per invocare l’inapplicabilità di mutamenti
di orientamenti giurisprudenziali precedentemente
consolidati (c.d.

overruling);

4) restava assorbita la

questione della revocabilità dell’ipoteca ai sensi
dell’art. 67, comma primo n. 4, 1. fall.
La

s.c.p.a.

Veneto Banca propone

ricorso per

cassazione, deducendo due motivi. Il fallimento della
s.r.l. F.I.T.M.E. Group non ha svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione
degli artt. 324, 641, 645, 647 e 656 c.p.c. e 2909 c.c.,
lamentando che erroneamente il Tribunale aveva ritenuto
che solo l’apposizione del visto di esecutorietà in data
anteriore alla sentenza dichiarativa di fallimento
determini la formazione del giudicato sostanziale con
conseguente opponibilità alla massa di un decreto
ingiuntivo provvisoriamente esecutivo non opposto nei
termini. In particolare, secondo la ricorrente, non si
può sfuggire, nella ricostruzione della disciplina
dettata dall’art. 647 c.p.c., ad una delle seguenti
4

alternative: a) il decreto di esecutorietà ha solo la
funzione di attribuire ex nunc efficacia esecutiva ad un
decreto ingiuntivo che ne è sprovvisto; b) il decreto di
esecutorietà ha natura di accertamento, con effetti
tunc,

ex

del giudicato, già formatosi con la mancata

contemporaneamente natura costitutiva, con effetto

proposizione dell’opposizione nei termini, e
nunc,

quanto all’attribuzione di efficacia esecutiva al decreto
ingiuntivo che già non ne sia provvisto. In entrambi i
casi resta opponibile al fallimento il decreto ingiuntivo
provvisoriamente esecutivo e non opposto nei termini,
ancorchè privo del decreto di esecutorietà apposto in
data anteriore al fallimento.
Il motivo è infondato. Nella giurisprudenza di questa
.I.

Corte è costante l’affermazione del principio secondo cui
non è opponibile al fallimento il decreto ingiuntivo non
munito di decreto di esecutorietà ai sensi dell’art. 647
c.p.c. In tale giurisprudenza, peraltro, come rileva
esattamente la difesa della ricorrente, l’affermazione è
spesso contenuta in un

obiter dictum,

come nel caso di

Cass. 25 marzo 1995, n. 3580 ove si affermava «che
entrambi i provvedimenti sopra individuati (ex art. 647
c.p.c., ovvero sentenza sull’opposizione) non possono più
essere emessi a seguito del fallimento, con effetti
vincolanti per la massa», ma in una situazione nella
quale al momento del fallimento pendeva l’opposizione al
.

5

decreto ingiuntivo; ovvero nel caso di Cass. 20 settembre
1971, n. 2627, che decideva, per escluderla, sulla
sindacabilità in sede fallimentare della erroneità della
sentenza che aveva accolto l’opposizione al decreto
ingiuntivo; ovvero ancora nel caso di Cass. 3 gennaio

2013, n. 38 chiamata a decidere sul rilievo di una
sentenza emessa all’esito di opposizione a decreto
ingiuntivo, pubblicata dopo la dichiarazione di
fallimento. Nella giurisprudenza di legittimità,
peraltro, è stata sempre salda l’affermazione, resa
indipendentemente dal fallimento del debitore, che il
decreto ingiuntivo munito del decreto di esecutorietà ha
efficacia di cosa giudicata (così dalle risalenti Cass.
nn. 659/1966, 1246/1966, 1776/1967, 1125/1968 sino alla
più recente Cass. 31 ottobre 2007, n. 22959).
Tuttavia,

all’attenzione di questa Corte è venuta

anche la specifica questione, risolta sempre in senso
negativo, della opponibilità al fallimento del decreto
ingiuntivo, munito o meno della provvisoria esecutività,
ma non munito del decreto

ex art. 647 c.p.c., quando i

termini per proporre opposizione siano inutilmente
scaduti prima della dichiarazione di fallimento (Cass. 26
marzo 2004, n. 6085; Cass. 13 marzo 2009, n. 6198; Cass.
ord. 23 dicembre 2011, n. 28553; Cass. 13 febbraio 2012,
n. 2032; Cass. 17 luglio 2012, n. 12205; Cass. 11 ottobre
2013, n. 23202). In alcuni casi si è anche precisato che
6

il decreto ingiuntivo è opponibile soltanto quando il
decreto di esecutorietà è stato emesso prima della
• dichiarazione di fallimento (le citate Cass. nn.
6085/2004; 6198/2009; 12205/2012). Tali ultime decisioni
hanno argomentato, in un caso, distinguendo tra

«giudicato formale, interno, endoprocessuale», che si
formerebbe al momento della scadenza dei termini per
proporre opposizione, e giudicato sostanziale, che si
formerebbe soltanto al momento della apposizione del
decreto di esecutorietà

ex

art. 647 c.p.c (Cass. n.

6085/2004, richiamata da Cass. n. 6198/2009) e, in un
altro, sottolineando che è «solo con la dichiarazione di
esecutività che il giudice verifica se non sia possibile
che, per la nullità della notificazione del decreto di
ingiunzione, l’intimato non ne abbia avuta conoscenza, e
dichiara che, per non esservi stata tempestiva
opposizione, si sono verificate le condizioni perché esso
sia divenuto non ulteriormente opponibile ed abbia
acquistato esecutorietà, sì da poter fondare il diritto a
procedere alla esecuzione forzata per la realizzazione
coattiva del credito» (Cass. n. 12205/2012). A tale
orientamento deve darsi continuità con qualche
precisazione.
La diversificazione sul piano temporale tra giudicato
formale e giudicato sostanziale non può essere accolta
(esula, ovviamente, dal tema il caso delle decisioni in
7

rito suscettibili di giudicato formale, ma non di
giudicato sostanziale). La distinzione tra i due concetti
. si basa sulla disciplina dettata, da una parte, dall’art.
324 c.p.c. (la cui rubrica è intitolata “cosa giudicata
formale”) e, dall’altra, dall’art. 2909 c.c. (la cui

rubrica è intitolata “cosa giudicata”). Il primo
stabilisce che «si intende passata in giudicato la
sentenza che non è più soggetta né a regolamento di
competenza, né ad appello, né a ricorso per cassazione,
né a revocazione per i motivi di cui ai numeri 4 e 5
dell’articolo 395». Il secondo stabilisce che
«l’accertamento contenuto nella sentenza passata in
giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro
eredi o aventi causa». Come è evidente, e come è
riconosciuto da autorevole dottrina e dalla pacifica
giurisprudenza di questa Corte (Cass. 3 luglio 1987, n.
5840; Cass. 2 marzo 1988, n. 2217), non esiste alcuna
contrapposizione fra cosa giudicata formale e cosa
giudicata sostanziale, posto che i due concetti sono
relativi a due aspetti del medesimo fenomeno. L’art. 2909
stabilisce, infatti, gli effetti sul piano sostanziale
del giudicato, presupponendo che altrove si stabilisca
quando si forma il giudicato. La decisione
giurisdizionale non più impugnabile con i rimedi ordinari
previsti dall’art. 324 c.p.c. determina, d’altro canto,
gli effetti sul piano delle certezze giuridiche, che, ai
.

8

sensi dell’art. 2909 c.c., vengono definiti giudicato
sostanziale.
Affermata la coincidenza temporale del giudicato
formale e di quello sostanziale, si deve stabilire se il
giudicato si forma al momento del decorso dei termini per

proporre opposizione al decreto ingiuntivo quando questa
non sia stata proposta, ovvero al momento in cui il
giudice, dopo averne controllato la notificazione,
dichiara esecutivo il decreto ingiuntivo. La seconda
soluzione si impone per due connesse ragioni. In primo
luogo, al momento dello scadere dei termini per
l’impugnazione non vi è stato alcun controllo
giurisdizionale sulla notificazione e sulla sua idoneità
a provocare un contraddittorio eventuale e posticipato
sulla domanda proposta con il decreto ingiuntivo. Tale
controllo, invece, rappresenta un momento irrinunciabile
a garanzia del diritto di difesa dell’intimato ed ha
natura analoga all’imprescindibile controllo che nel
giudizio a cognizione ordinaria il giudice deve
necessariamente effettuare prima di dichiarare la
contumacia del convenuto (artt. 164, 183, 291 c.p.c).
Senza tale controllo sarebbe “fuori sistema” parlare di
giudicato anche solo formale e vi è spazio, come si
preciserà più avanti, solo per un giudicato interno, i
cui presupposti, però, sono oggetto di verifica da parte
del giudice all’interno del processo. In secondo luogo,
.

9

l’art. 647 c.p.c. prevede che, nel caso in cui non sia
stata fatta opposizione nel termine, «il giudice deve
. ordinare che sia rinnovata la notificazione, quando
risulta o appare probabile che l’intimato non abbia avuto
conoscenza del decreto». L’eventuale rinnovazione della

notificazione consente perciò all’ingiunto di proporre,
nei termini decorrenti dalla nuova notificazione,
opposizione che va qualificata come ordinaria, ai sensi
dell’art. 645 c.p.c., e non già tardiva ai sensi
dell’art. 650 c.p.c.; il che conferma che alla scadenza
dei termini per proporre opposizione non si forma la cosa
giudicata formale e che questa si forma solo dopo il
controllo del giudice sulla notificazione. Coerentemente,
l’art. 656 c.p.c. prevede che, non il decreto non
opposto, ma «il decreto d’ingiunzione, divenuto esecutivo
a norma dell’articolo 647, può impugnarsi per revocazione
nei casi indicati nei numeri l, 2, 5 e 6 dell’articolo
395»; sono esperibili, perciò, come emerge chiaramente
dal confronto con l’art. 324 c.p.c., mezzi straordinari
previsti per l’impugnazione contro i provvedimenti
passati in cosa giudicata, ai quali mezzi si aggiunge,
per espressa previsione dello stesso art. 656, la
revocazione per contrasto con precedente giudicato (art.
395, n. 5) nonchè, per l’espressa previsione dell’art.
650 c.p.c., l’opposizione tardiva (sul fatto che
l’efficacia di giudicato del decreto ingiuntivo non
10

opposto e munito di esecutorietà ex art. 647 non viene
meno di per sé a seguito dell’opposizione tardivamente
proposta v. Cass. s.u. 16 novembre 1998, n. 11549 e Cass.
6 ottobre 2005, n. 19429). È il caso di rilevare, sul
piano sistematico, che la mancata definizione del

ex art. 647

procedimento d’ingiunzione con il decreto

c.p.c. non rende ovviamente irrilevante il fatto che il
decreto ingiuntivo non sia stato opposto nei termini.
Qualora, infatti, l’intimato dovesse proporre
opposizione, e non ricorressero i presupposti per una
opposizione tardiva, il giudizio di opposizione, che si
configura come uno sviluppo della fase monitoria,
dovrebbe chiudersi, previa ancora una volta
l’imprescindibile verifica della regolarità della
notificazione del decreto ingiuntivo, con il rilievo
d’ufficio del giudicato interno, formatosi nell’ambito
dell’unitario procedimento in corso (Cass. 6 giugno 2006,
n. 13252; Cass. 26 marzo 1991, n. 3258; Cass. 3 aprile
1990, n. 2707). Il giudicato formale e sostanziale,
tuttavia, si formerebbe solo con la sentenza che dichiara
l’inammissibilità dell’opposizione, come è reso evidente
dal fatto che ove il giudice dell’opposizione
erroneamente non rilevasse il giudicato interno ed
accogliesse l’opposizione, la sentenza, se non impugnata,
sarebbe idonea a passare in cosa giudicata (Cass. 20
settembre 1971, n. 2627).
11

In conclusione, la funzione devoluta al giudice
dall’art. 647 c.p.c. è molto diversa da quella della
verifica affidata al cancelliere dall’art. 124 d.a.c.p.c.
sulla mancata proposizione di una impugnazione ordinaria
nei termini di legge e dall’art. 153 d.a.c.p.c. sulla

verifica che «la sentenza o il provvedimento del giudice
è formalmente perfetto». Se ne differenzia, infatti, per
il compimento di una attività giurisdizionale avente ad
oggetto la verifica del contraddittorio, che, come già
detto, nel processo a cognizione ordinaria ha luogo come
primo atto del giudice e nel processo d’ingiunzione, ove
non sia stata proposta opposizione, ha luogo come ultimo
atto del giudice. La conoscenza del decreto da parte
dell’ingiunto non rappresenta perciò una

condicio juris

che può essere accertata al di fuori del processo
d’ingiunzione, eventualmente anche dal giudice delegato
in sede di accertamento del passivo, ma costituisce
l’oggetto di una verifica giurisdizionale che si pone
all’interno del procedimento di ingiunzione e che “chiude
il cerchio” dell’attività in esso riservata al giudice in
caso di mancata opposizione. Ne consegue che il decreto
ingiuntivo non munito, prima della dichiarazione di
fallimento, di decreto di esecutorietà ex art. 647 c.p.c.
non è passato in cosa giudicata formale e sostanziale né
può più acquisire tale valore con un successivo decreto

.

di esecutorietà per mancata opposizione poiché,
12

intervenuto il fallimento, ogni credito, secondo quanto
prescrive l’art. 52 1. fall., deve essere accertato nel
concorso dei creditori, secondo le regole stabilite dagli
artt. 92 ss. 1. fall., in sede di accertamento del
passivo.

artt. 184

bis

Con il secondo motivo si deduce la violazione degli
c.p.c. e 111 Cost., lamentando che

erroneamente il decreto impugnato, a fronte
dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità
consolidato nel ritenere che il giudicato si forma con la
mancata opposizione nei termini, e rispetto al quale era
dissonante solo una decisione (Cass. n. 6085/2004), ed a
fronte di una consolidata prassi del Tribunale di Treviso

sulla opponibilità al fallimento del decreto ingiuntivo

non opposto, ancorchè privo del visto di esecutorietà ex
art. 647 c.p.c., lo stesso Tribunale aveva escluso
l’inapplicabilità alla fattispecie del nuovo orientamento
giurisprudenziale.
Il motivo è infondato poiché, come è risultato
dall’esame del primo motivo, deve escludersi il preteso
mutamento di giurisprudenza sulla questione proposta.
Resta assorbita ogni considerazione sulla possibilità di
configurare una ipotesi di

overruling nella materia in

esame.
P . Q . M .
rigetta il ricorso.
13

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 20

novembre 2013.

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