Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2113 del 30/01/2020

Cassazione civile sez. I, 30/01/2020, (ud. 20/11/2019, dep. 30/01/2020), n.2113

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. PACILLI Giuseppina A. R. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15458/2018 proposto da:

A.M., o M., nato in (OMISSIS) elettivamente domiciliato

in Roma Via Cosseria 2, presso lo studio dell’avvocato Faranda

Riccardo che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Amari

Maria Rosaria;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di TRIESTE, depositate il

13/04/2018;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/11/2019 dal Consigliere Dott. LUIGI GIOVANNI LOMBARDO;

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – A.M. o M., cittadino del (OMISSIS), chiese il riconoscimento della protezione internazionale.

La Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Gorizia rigettò la domanda, con decisione che venne impugnata dinanzi al competente Tribunale.

2. – Con decreto del 13/4/2018, il Tribunale di Trieste confermò il provvedimento della Commissione territoriale.

3. – Per la cassazione di tale decreto ha proposto ricorso il richiedente – ammesso provvisoriamente al patrocinio a spese dello Stato – sulla base di sette motivi.

Il Ministero dell’Interno, ritualmente intimato, non ha svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il ricorrente formula i seguenti motivi:

1) violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, in relazione alla ritenuta non credibilità soggettiva del richiedente;

2) violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, in relazione alla esclusione della verosimiglianza dell’appartenenza del richiedente alla religione (OMISSIS) e ai motivi religiosi delle percosse subite;

3) violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. c), e 5 in relazione alle ritenute discrasie del racconto del richiedente;

4) violazione dell’art. 3, comma 4, del D.Lgs. n. 251 del 2007, in relazione alla mancata considerazione dei segni di flagellazione presenti sul corpo del richiedente, attestati dal certificato in atti;

5) omesso esame di fatto decisivo, in relazione al fatto storico della flagellazione;

6) violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 4 e art. 14 in relazione alla ritenuta esclusione del pericolo del richiedente di subire ulteriori violenze in patria e al diniego dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria.

7) violazione del D.Lgs. n. 289 del 1998, art. 19, comma 1.1., (a tenore del quale “Non sono ammessi il respingimento o l’espulsione o l’estradizione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta a tortura. Nella valutazione di tali motivi si tiene conto anche dell’esistenza, in tale Stato, di violazioni sistematiche e gravi di diritti umani”), in relazione alla ritenuta insussistenza del pericolo che il richiedente sia sottoposto a tortura in patria e al diniego del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

2. – I motivi non possono trovare accoglimento per le ragioni che seguono.

2.1. – I primi tre motivi sono inammissibili perchè puntano a censurare le valutazioni del giudice di merito in ordine alla credibilità delle dichiarazioni del richiedente, che non sono sindacabili in sede di legittimità, in presenza – come nella specie – di una motivazione puntuale ed esente da errori logici e giuridici (p. 3-4 del decreto impugnato). I motivi, per di più, sollecitano una valutazione alternativa delle dette dichiarazioni da parte di questa Corte, non consentita nel giudizio di legittimità.

2.2. – I motivi quarto, quinto e sesto sono infondati.

Il Tribunale ha considerato il certificato medico prodotto dal richiedente (p. 3 della sentenza impugnata) e le lesioni in esso attestate; ha però ritenuto non credibile il racconto del medesimo secondo cui sarebbe stato oggetto di pestaggio in ragione della sua conversione alla religione (OMISSIS): sia perchè tale appartenenza non è documentata e non è verosimile il racconto secondo cui la madre appartenente ad una famiglia (OMISSIS) – lo avrebbe convinto a convertirsi alla religione (OMISSIS); sia perchè le dichiarazioni del richiedente, rese nelle varie sedi, sono piene di discrasie e contraddizioni che ne minano l’attendibilità. Avendo il Tribunale motivatamente escluso la sussistenza del pericolo che il richiedente sia sottoposto nel paese di origine ad atti di persecuzione per motivi religiosi e che, rientrando in patria, possa subire un grave danno ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 legittimamente sono stati negati al richiedente lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria.

2.3. – Anche il settimo motivo non può trovare accoglimento.

Il Tribunale ha motivatamente escluso la sussistenza del pericolo che, in caso di respingimento, il richiedente sia sottoposto a persecuzione o a tortura ed ha escluso la sussistenza di una particolare situazione di vulnerabilità dello stesso ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, considerando sia la situazione interna del (OMISSIS) (area di provenienza del richiedente), nel quale – sulla base dei report internazionali menzionati nel decreto impugnato – non esistono situazioni di violenza generalizzata derivante da conflitto armato, sia il non sufficiente grado di integrazione in Italia del medesimo.

La motivazione del decreto impugnato sul punto è esente da vizi logici e giuridici e rimane pertanto insindacabile in sede di legittimità.

3. – Il ricorso va, pertanto, rigettato.

Nulla va statuito sulle spese, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva.

4. – Sussistono i presupposti processuali perchè la parte ricorrente versi – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater – un ulteriore importo a titolo contributo unificato pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 20 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2020

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