Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21127 del 07/08/2019

Cassazione civile sez. I, 07/08/2019, (ud. 07/06/2018, dep. 07/08/2019), n.21127

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 24910/18 proposto da:

-) C.T., elettivamente domiciliato ad Ascoli Piceno, Rua

del Papavero n. 6, presso l’avv. Paolo Alessandrini che lo

rappresenta e difende in virtù di procura speciale apposta in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

-) Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Ancona 16 gennaio 2018

n. 42;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 7

giugno 2019 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. C.T., cittadino maliano, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(b) in subordine, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis).

A fondamento dell’istanza dedusse che nel suo Paese vi è una guerra in atto, scatenata dai Tuareg del nord, di religione islamica; che questi avevano invaso il suo villaggio ed ucciso i suoi genitori; che in conseguenza di tali fatti era stato costretto a lasciare il Paese; che comunque nel Mali non vi era alcuna garanzia di rispetto delle libertà civili e dei diritti della persona.

2. La Commissione Territoriale rigettò l’istanza; avverso tale provvedimento l’odierno ricorrente propose opposizione dinanzi al Tribunale di Ancona, che la rigettò con ordinanza 15.7.2016.

La Corte d’appello di Ancona con sentenza 16.1.2018 rigettò il gravame. La Corte d’appello ritenne che:

a) il racconto dell’istante fosse contraddittorio, generico e non circostanziato;

b) in ogni caso non era dimostrata la sussistenza di nessuno dei requisiti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 ed in particolare d’una situazione di violenza indiscriminata in Mali;

c) la protezione umanitaria non potesse essere concessa perchè non risultava che il ricorrente fosse esposto a lesioni dei diritti umani di particolare gravità.

3. La sentenza è stata impugnata per cassazione dal soccombente con ricorso fondato su tre motivi.

Il Ministero dell’Interno non si è difeso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso.

1.1. Col primo motivo il ricorrente censura la sentenza d’appello nella parte in cui ha ritenuto non credibile il suo racconto.

Lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8nonchè delle norme comunitarie di cui i suddetti precetti costituiscono attuazione.

Nell’illustrazione del motivo si rinvengono, frammiste, tre censure che possono così riassumersi:

(a) la Corte d’appello ha errato nel ritenere inattendibile la versione dei fatti riferita dal richiedente asilo;

(b) la Corte d’appello in ogni caso, se avesse ritenuto lacunoso il racconto del richiedente asilo, aveva il dovere di approfondire d’ufficio l’istruttoria;

(c) la Corte d’appello di Ancona, se avesse nutrito dubbi sulla completezza del racconto del richiedente asilo, avrebbe potuto e dovuto interrogarlo, giacchè questi era presente in aula; mentre in questo e nèi casi consimili la Corte d’appello d’Ancona, anche quando i ricorrenti sono presenti in aula, “si astiene sistematicamente” dall’interrogarli e dal chiedere loro i necessari chiarimenti.

1.2. La prima censura è inammissibile.

Stabilire, infatti, se una persona sia attendibile od inattendibile è un apprezzamento di fatto, non una valutazione in diritto: ed in quanto tale sfugge al sindacato di questa Corte.

Nè a tale secolare principio deroga la legislazione speciale in materia di protezione internazionale.

Infatti il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, consente al giudice della protezione internazionale di ritenere veri anche fatti non provati, in deroga al generale principio di cui all’art. 2697 c.c., quando ritenga che il richiedente abbia compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; non abbia potuto fornire ulteriori prove senza colpa; abbia reso dichiarazioni plausibili, non contraddittorie e non contraddette ab externo; ha presentato la domanda di protezione il prima possibile; si presenti come attendibile.

Tale norma contiene un periodo ipotetico la cui pròtasi (“se l’autorità competente ritiene che”) rende palese che il legislatore, con essa, non ha affatto stabilito cosa il giudicante debba decidere (nè, del resto, avrebbe potuto farlo, alla luce dell’art. 101 Cost., comma 2), ma ha stabilito invece come debba essere adottata la decisione di cui si discorre: cioè con quale iter logico e sulla base di quali accertamenti.

Ne consegue che il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, non potrà dirsi violato sol perchè il giudice di merito abbia ritenuto inattendibile un racconto od inveritiero un fatto; quella norma potrà dirsi violata solo se il giudice, nel decidere sulla domanda di protezione, non compia gli accertamenti ivi previsti: ad esempio, accogliendo la domanda di protezione senza avere previamente accertato la sussistenza di tutti e cinque i requisiti previsti dalla norma suddetta.

Per contro, lo stabilire se la narrazione, fatta dall’interessato, delle circostanze che giustificano la concessione della protezione internazionale od il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, sia stata verosimile e credibile oppur no, non costituisce una valutazione di diritto, ma è un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità (Sez. 1 -, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549 – 01; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 27503 del 30/10/2018, Rv. 651361 – 01).

Sindacabile in sede di legittimità, pertanto, potrebbe essere soltanto il metodo di giudizio applicato dal giudice di merito (ad esempio, per violazione dei precetti dettati dal D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8 in tema di ricerca e valutazione delle prove), ma non certo il merito del giudizio in sè riguardato, una volta che quei criteri siano stati osservati.

1.4. La seconda censura (concernente la violazione del dovere c.d. di cooperazione istruttoria) è in parte infondato, ed in parte inammissibile.

Nella parte in cui lamenta la violazione del dovere di cooperazione istruttoria, al fine dell’accertamento della sussistenza delle condizioni richieste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. (a) e (b), ai fini dell’accertamento del diritto alla protezione c.d. sussidiaria, il motivo è infondato.

Infatti il dovere c.d. “di cooperazione istruttoria” non sorge ipso facto sol perchè il giudice di merito sia stato investito da una domanda di protezione internazionale, ma è subordinato alla circostanza che il richiedente sia stato in grado di fornire una versione dei fatti quanto meno coerente e plausibile.

Se manca questa attendibilità, non sorge quel dovere, poichè l’una è condizione dell’altro (Sez. 1 -, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549 – 02; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 16925 del 27/06/2018, Rv. 649697 – 01). Questi principi sono già stati affermati da questa Corte sia con riferimento all’ipotesi di richiesta di asilo, sia con riferimento all’ipotesi di richiesta di protezione sussidiaria giustificata dal rischio di morte o tortura, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. (a) e (b) (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 16925 del 27/06/2018, Rv. 649697 – 01).

1.5. Nella parte in cui lamenta la violazione del dovere di cooperazione istruttoria, al fine dell’accertamento della sussistenza delle condizioni richieste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. (c), ai fini dell’accertamento del diritto alla protezione c.d. sussidiaria, il motivo è inammissibile.

Infatti, anche a prescindere dal dibattuto tema se l’inattendibilità soggettiva del richiedente asilo esoneri il giudice dal dovere di cooperazione istruttoria anche con riferimento all’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. (c), (possibilità ammessa espressamente da Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 4892 del 19/02/2019, Rv. 652755 – 01; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 33096 del 20/12/2018, Rv. 652571 – 01) resta il fatto che, ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, il ricorrente ha l’onere di indicare, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, quali sarebbero state o potute essere le prove che, se acquisite, avrebbero astrattamente determinato un diverso esito della lite.

Il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 ed D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 sono, infatti, norme processuali, e questa Corte ha già ripetutamente affermato, anche a Sezioni Unite, che la violazione di qualsiasi norma processuale da parte del giudice di merito non comporta ipso facto la cassazione della sentenza che ne sia affetta, se da quella violazione non sia derivato un concreto ed effettivo pregiudizio per il ricorrente. Concreto ed effettivo pregiudizio che è onere del ricorrente evidenziare, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., nn. 4 e 6, a pena di inammissibilità del ricorso (per l’affermazione della natura strumentale delle norme processuali si veda, in particolare, Sez. U, Sentenza n. 1914 del 02/02/2016, Rv. 638369 – 01).

Nel caso di specie, tuttavia, il primo motivo di ricorso si limita genericamente a lamentare l’omessa attivazione, da parte del giudice di merito, dei propri poteri istruttori officiosi, senza indicare nè quali atti, attraverso essi, si sarebbe dovuto acquisire; nè per quali ragioni tali atti sarebbero stati decisivi.

Da ciò discende l’inammissibilità del ricorso.

2. Il secondo motivo di ricorso.

2.1. Col secondo motivo il ricorrente investe il capo di sentenza con cui è stata rigettata la sua domanda di protezione umanitaria.

Lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5 e 19.

Deduce che la Corte d’appello ha erroneamente fondato il rigetto della suddetta domanda sulla insussistenza dei requisiti richiesti dalla legge per accordare la protezione sussidiaria, senza considerare che questi ultimi sono diversi e meno ampi rispetto a quelli (atipici) richiesti per la concessione della protezione umanitaria.

2.2. Il motivo è inammissibile per estraneità alla ratio decidendi.

La Corte d’appello, infatti, ha motivato la propria decisione (anche) affermando che il ricorrente “non ha prospettato particolari motivi di carattere soggettivo” giustificativi della concessione della protezione umanitaria.

La Corte d’appello, quindi, ha fondato la propria decisione su un deficit di allegazione da parte del ricorrente, e tale affermazione, giusta o sbagliata che fosse, non è stata impugnata nella presente sede.

3. Le spese.

3.1. Non è luogo a provvedere sulle spese, attesa la indefensio dell’Amministrazione.

3.2. La circostanza che il ricorrente sia stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato esclude l’obbligo del pagamento, da parte sua, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,comma 17), in virtù della prenotazione a debito prevista dal combinato disposto di cui agli artt. 11 e 131 del decreto sopra ricordato (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 9538 del 12/04/2017, Rv. 643826 – 01).

P.Q.M.

la Corte di cassazione:

(-) dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile della Corte di cassazione, il 10 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 agosto 2019

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