Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21122 del 02/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 02/10/2020, (ud. 27/02/2020, dep. 02/10/2020), n.21122

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2866-2014 proposto da:

D.V.S., elettivamente domiciliato in ROMA VIA DI VILLA

SACCHETTI 9, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE MARINI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LORIS TOSI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE VICENZA UFFICIO LEGALE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 55/2013 della COMM.TRIB.REG. di VENEZIA,

depositata il 03/06/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/02/2020 dal Consigliere Dott. FEDERICI FRANCESCO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

D.V.S. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 55/08/13, depositata il 3 giugno 2013 dalla Commissione tributaria regionale del Veneto, che confermava la decisione di primo grado di rigetto dell’impugnazione avverso l’avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle entrate al ricorrente.

Ha riferito che relativamente all’anno d’imposta 2004, e a seguito di un processo verbale di constatazione elevato da militari della GdF nei suoi confronti, l’Amministrazione finanziaria gli notificava l’atto impositivo con cui era rideterminato il suo reddito, portandolo da Euro 70.940,00 dichiarati ad Euro 429.404,00 accertati.

La verifica, nell’ambito di un’indagine penale per reati fiscali nel settore delle sponsorizzazioni, aveva tratto origine dalla sua partecipazione sociale in due società, cui erano contestate fatturazioni per operazioni in parte oggettivamente inesistenti. Erano dunque seguite indagini sulle sue movimentazioni bancarie, avvenute tra il 2002 e il 2008, solo in parte giustificate dal D.V..

Erano stati pertanto contestati maggiori redditi per l’anno 2004, in parte riconducibili ad utili da capitale nelle società coinvolte nelle indagini penali (Utensilnord s.r.l. e Metrotecnica s.r.l.), in parte ricondotti a redditi di capitale per investimenti in non meglio individuate altre società.

Contestando l’avviso di accertamento, il ricorrente aveva adito la Commissione tributaria provinciale di Vicenza, che con sentenza n. 37/09/2011 aveva accolto solo in parte le ragioni del contribuente, rideterminando l’imponibile nella minor somma di Euro 313.594,79.

La sentenza, appellata dal D.V., era stata confermata dalla Commissione tributaria regionale del Veneto con la decisione ora al vaglio della Corte. In particolare il giudice d’appello aveva confermato la riduzione del reddito riconducibile agli utili provenienti dalle società sottoposte ad indagini penali, da tassare nella misura del 40% ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 47, comma 1; aveva inoltre confermato la riduzione di Euro 15.545,21 degli ulteriori complessivi redditi accertati, perchè per essi il contribuente aveva giustificato la provenienza.

Il ricorrente ha censurato la sentenza con due motivi:

con il primo per nullità della sentenza per violazione dell’art. 115 c.p.c. e D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver consentito di ampliare in sede d’appello i motivi dell’avviso di accertamento e per non aver applicato il principio di non contestazione relativamente alla natura dei redditi recuperati ad imposizione;

con il secondo per omesso esame circa un fatto decisivo e controverso del giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non avendo tenuto conto che i maggiori redditi imputati al contribuente fossero già stati qualificati come redditi di capitale dagli organi accertatori.

Ha chiesto pertanto la cassazione della sentenza, con o senza rinvio.

Si è costituita l’Agenzia delle entrate, che ha eccepito l’inammissibilità del ricorso e comunque nel merito la sua infondatezza, chiedendone il rigetto.

Diritto

CONSIDERATO

che

Deve innanzitutto disattendersi l’eccepita inammissibilità del ricorso, sollevata dalla difesa dell’Agenzia delle entrate. Questa sostiene che le critiche portate alla sentenza dal ricorrente vanno ad attingere la sfera delle valutazioni riservata al giudice di merito. L’eccezione non trova condivisione perchè, a prescindere dal fondamento delle censure mosse alla sentenza, esse fanno riferimento a vizi processuali ed errori motivazionali che ben potevano essere sollevati dinanzi al giudice di legittimità.

Esaminando ora il primo motivo del ricorso, con cui ci si duole della nullità della decisione per aver consentito di ampliare in sede d’appello i motivi dell’avviso di accertamento e per non aver applicato il principio di non contestazione relativamente alla natura dei redditi recuperati ad imposizione, esso è infondato e va pertanto rigettato.

Va intanto chiarito che il motivo di ricorso riguarda l’importo di Euro 294.058,79, afferente alle movimentazioni bancarie, la cui provenienza non era specificatamente tracciabile ed è stata genericamente ricondotta alle varie partecipazioni sociali del contribuente. Si tratta dunque di ulteriori importi, diversi da quelli provenienti con certezza dagli utili distribuiti dalle società Utensilnord s.r.l. e Metrotecnica s.r.l., per i quali ultimi è pacifica la loro partecipazione alla formazione dell’imponibile nella misura del 40%.

Ebbene, con riguardo ai primi, la difesa del D.V. sostiene che il giudice regionale non ha avvertito che la controparte non mai contestato che anche quel maggior imponibile avesse natura di redditi di capitale. Tanto la Guardia di Finanza, nel processo verbale di costatazione, quanto l’Agenzia delle entrate, nell’avviso di accertamento, hanno attribuito loro tale natura. Solo nell’atto di costituzione in sede d’appello l’Agenzia avrebbe prospettato qualcosa di diverso, affermando che “non risulta determinata la natura dei redditi da capitale in discussione, potendo trattarsi di altri proventi non riconducibili ad una distribuzione di utili.”.

Ciò, secondo la ricostruzione difensiva, avrebbe erroneamente portato il giudice regionale ad affermare che “il predetto D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 47 non può invece trovare applicazione per la restante parte dei redditi di capitale accertati in quanto non risulta determinata la loro natura, potendosi trattare di altri proventi non riconducibili ad una distribuzione di utili…”. Di qui il rigetto della richiesta avanzata dal contribuente, secondo il quale invece anche questi ulteriori redditi, accertati a seguito delle indagini bancarie sui conti correnti del D.V., dovevano partecipare alla formazione della base imponibile nella misura del 40% del loro ammontare.

Sempre secondo la tesi difensiva la sentenza sarebbe infatti frutto di un duplice errore processuale. Il primo per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, perchè il giudice avrebbe consentito all’Agenzia di ampliare le motivazioni dell’avviso di accertamento, mutando la natura degli ulteriori redditi accertati. Il secondo per violazione dell’art. 115 c.p.c., perchè avrebbe ampliato lo spettro di qualificazione della natura dei redditi ulteriori accertati, nonostante non vi fosse mai stata contestazione sulla collocazione tra i redditi di capitale.

Il motivo, pur suggestivo nella sua complessiva prospettazione, non coglie nel segno.

La difesa del ricorrente vuole affermare che i redditi accertati a seguito delle verifiche bancarie, diversi da quelli certamente riconducibili agli utili percepiti dalle due società sottoposte ad accertamenti anche penali, sarebbero ugualmente qualificabili come redditi di capitale derivanti da utili conseguiti per la partecipazione del D.V. ad altre compagini sociali. Ciò consentirebbe loro di concorrere all’imponibile nella misura del 40%, in applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 47, comma 1.

In realtà la sentenza non viola alcuna delle norme denunciate, perchè senza equivoci interpretativi in essa quegli importi (ridotti da Euro 309.624,00 ad Euro 294.058,79) erano e restano redditi di capitale, come sempre qualificati sin dalle fasi della verifica condotta dai militari accertatori. Altro è poi se essi siano redditi di capitale riconducibili nella categoria degli utili (come vorrebbe il contribuente), oppure in una delle altre categorie contemplate tra quelli, numerosi, elencati nell’art. 44 TUIR. E che non vi sia alcun mutamento rispetto alle prospettazioni originarie lo dimostra la circostanza che in alcun atto menzionato dalla difesa del D.V. risulta che ad essi l’Agenzia si sia mai riferita, qualificandoli come redditi di capitale riconducibili ad utili sociali.

D’altronde è proprio nella motivazione della sentenza che emerge il filo logico che supporta l’esclusione di tali redditi dalla disciplina del citato D.P.R. n. 917 del 1986, art. 47. Il giudice regionale afferma infatti in motivazione che il trattamento al 40% del maggior imponibile accertato può trovare applicazione per quelle somme che sono certamente riconducibili alla “dissimulata distribuzione di utili dalle società Utelsilnord s.r.l. e Metrotecnica s.r.l.”, atteso che l’imposta su tali utili è stata già pagata dalla società, diversamente incorrendosi nella violazione del divieto della doppia imposizione, alla cui tutela è preposto il citato D.P.R. n. 917 del 1986, art. 47, comma 1.

La medesima disciplina, secondo il giudice regionale, non trova applicazione per gli altri importi “non avendo lo stesso (il D.V.) fornito le necessarie informazioni atte a chiarire che trattasi di utili, e/o altri proventi equiparati, imponibili nella misura indicata dall’art. 47 T.U.I.R.”.

La motivazione è coerente e giuridicamente corretta, perchè il contribuente non ha offerto alcun elemento per ricondurre quei proventi ad utili d’impresa già tassati presso la società, nè la circostanza che si tratti di redditi di capitale autorizza di per sè a ricondurne la qualificazione tra detti utili, potendo avere diversa natura. E comunque, deve aggiungersi, quand’anche provenienti da utili sociali, la totale assenza di prova della riferibilità a specifici utili di specifiche società sguarnisce quei proventi della prova della loro già avvenuta sottoposizione a tassazione.

A tali conclusioni la Commissione tributaria regionale perviene senza violare il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, nè l’art. 115 c.p.c..

Il rigetto del primo motivo assorbe il secondo.

Il ricorso va dunque rigettato e alla soccombenza del contribuente segue la sua condanna alle spese del giudizio di legittimità, nella misura specificata in dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione della spese del giudizio di legittimità sostenute dall’Agenzia delle entrate, che si liquidano in Euro 5.600,00 per competenze ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del medesimo art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 27 febbraio 2020.

Depositato in cancelleria il 2 ottobre 2020

 

 

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