Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21121 del 12/09/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 12/09/2017, (ud. 16/05/2017, dep.12/09/2017),  n. 21121

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – rel. Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. RIVERSO Umberto – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30254/2011 proposto da:

ARIO S.R.L., C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOVANNI BATTISTA

VICO 1, presso lo studio dell’avvocato LORENZO PROSPERI MANGILI,

rappresentata e difesa dagli avvocati PIERO GUALTIEROTTI e VANNA

STRACCIARI, giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario

della S.C.C.I. S.P.A. società di cartolarizzazione dei crediti

I.N.P.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29,

presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso

dagli avvocati CARLA D’ALOISIO, LELIO MARITATO e ANTONINO SGROI,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 612/2010 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 16.03.2011 R.G.N. 812/2017.

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

che:

1. La Corte d’appello di Venezia ha confermato la sentenza del Tribunale di Vicenza di rigetto dell’opposizione proposta dalla soc. Ario srl avverso la cartella esattoriale emessa su istanza dell’Inps per il pagamento di Euro 328.504,21 a titolo di contributi previdenziali e SSN, a seguito di verbale ispettivo con cui era stato accertata la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra la società e G.G..

2. La Corte ha escluso che avesse efficacia decisiva il solo elemento della volontà delle parti manifestata nella scrittura privata dovendosi avere riguardo alle concrete modalità di svolgimento del rapporto. Richiamati gli elementi emersi dall’istruttoria svolta, ha rilevato, inoltre, che erano presenti tutti gli elementi tipici del lavoro subordinato avuto riguardo all’orario di lavoro osservato, alla retribuzione percepita, all’assenza di una sia pur minima organizzazione aziendale e rischio di impresa, al pieno inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale.

Secondo la Corte la prestazione lavorativa onerosa resa all’interno dei locali aziendali, con materiali e attrezzature appartenenti alla stessa, con modalità tipiche del lavoro subordinato comportava una presunzione di lavoro subordinato che era onere del datore di lavoro vincere (definito lavoro di tipo logicamente subordinato, caratterizzato dall’alienità del lavoratore rispetto all’organizzazione aziendale ed ai risultati della sua prestazione); che nella specie al lavoratore era demandato lo svolgimento di un’attività materiale diretta alla produzione di pezzi con modalità e nei tempi indicati dal datore di lavoro con sottoposizione al potere direttivo dello stesso il quale indicava il tipo di sabbiatura da praticare ed i tempi necessari all’espletamento del lavoro.

Avverso la sentenza ricorre in cassazione la soc Ario con tre motivi ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c.. Resiste l’Inps.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

che:

1. La soc. Ario denuncia con un primo motivo violazione degli artt. 1362,1363,2094 e 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè vizio di motivazione censurando l’esclusione effettuata dalla Corte d’appello dell’efficacia decisiva della volontà delle parti manifestata nel contratto omettendo qualsiasi indagine in tal senso.

2. Con il secondo motivo denuncia violazione degli artt. 2094 e 2697 c.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè vizio di motivazione. Censura la sentenza nella parte in cui ha tratto la prova della subordinazione da circostanze inidonee.

3. Con il terzo motivo denuncia violazione degli artt. 2094 e 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè vizio di motivazione per aver ritenuto il rapporto di lavoro con il G. caratterizzato dalla presenza di tutti gli elementi sussidiari individuati dalla giurisprudenza di legittimità circa l’orario, senza valutare che detti indici sussistevano anche per i collaboratori coordinati e continuativi per i quali mancava invece la subordinazione.

4. I motivi, congiuntamente esaminati in quanto tutti attinenti all’accertamento della sussistenza del lavoro subordinato con il G., sono infondati.

Giova premettere sul punto dell’accertamento della controversa natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso tra le parti che, ai fini della qualificazione di tale rapporto come autonomo o subordinato, è sindacabile, nel giudizio di cassazione, essenzialmente la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto i mentre la valutazione delle risultanze processuali in base alle quali il giudice di merito ha ricondotto il rapporto controverso all’uno o all’altro istituto contrattuale implica un accertamento ed un apprezzamento di fatto che, come tali non possono essere censurati in sede di legittimità se sostenuti da motivazione ed argomenti esaurienti ed immuni da vizi logici e giuridici (cfr. tra le tante Cass. n. 22785/2013).

Nella fattispecie il ricorso, pur attraverso la formale denuncia della violazione di diverse disposizioni codicistiche, risulta sostanzialmente inteso a sollecitare una rivisitazione del quadro probatorio, inibita a questa Corte in presenza di una congrua e non illogica valutazione dello stesso da parte del giudice di merito. Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente; l’apprezzamento dei fatti e delle prove, infatti, è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che nell’ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare le sue conclusioni (cfr. tra le tante Cass. ordinanza n 7921/2011, sent. 11900/2003; n. 2090/2004, n. 1380/2006).

La Corte d’Appello ha seguito un corretto – e, quindi, non sindacabile – percorso logico, laddove,in primo luogo, ha rilevato che la volontà delle parti, manifestata nella conclusione di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa, non assumeva carattere decisivo occorrendo dare la prevalenza all’indagine sulle concrete modalità del rapporto. Tale affermazione è conforme a quanto più volte affermato da questa Corte secondo cui “ai fini dell’individuazione della natura autonoma o subordinata di un rapporto di lavoro, la formale qualificazione operata dalle parti in sede di conclusione del contratto individuale, seppure rilevante, non è determinante, posto che le parti, pur volendo attuare un rapporto di lavoro subordinato, potrebbero aver simulatamente dichiarato di volere un rapporto autonomo al fine di eludere la disciplina legale in materia ovvero, pur esprimendo al momento della conclusione del contratto una volontà autentica, potrebbero, nel corso del rapporto, aver manifestato, con comportamenti concludenti, una diversa volontà (Cass. n. 19199/2013, n. 5552/2011).

La Corte territoriale ha poi esaminato la prova testimoniale sulla base della quale ha affermato che il G. era addetto alla manovra della macchina sabbiatrice e alla sua manutenzione; che poneva i pezzi da sabbiare, indicati dal capo fabbrica anche con i tempi di consegna ed il tipo di sabbiatura, sul carro ponte e quindi procedeva alla sabbiatura; che il G. seguiva lo stesso orario di lavoro degli altri dipendenti pari ad otto ore giornaliere dal lunedì al venerdì; che con riferimento alla retribuzione, all’assenza di una sia pur minima organizzazione e all’inserimento nell’organizzazione aziendale del datore di lavoro, sussistevano le caratteristiche del lavoro subordinato.

Quanto alla sussistenza dell’elemento della subordinazione intesa quale obbligo di soggiacere alle direttive del datore di lavoro deve rilevarsi che nella fattispecie, tenuto conto del pieno inserimento del lavoratore nell’attività di impresa, senza l’uso di propri strumenti di lavoro, senza assunzione di rischio, con compenso fisso e non rapportato ai risultati conseguiti per aversi subordinazione non è necessario che il potere direttivo del datore di lavoro si esplichi mediante ordini continui, dettagliati e strettamente vincolanti, nè che risulti continua, stringente ed appariscente la vigilanza sull’attività svolta dal lavoratore, ma l’assoggettamento può realizzarsi anche rispetto ad una direttiva dettata dall’imprenditore in via programmatica o soltanto impressa nella struttura aziendale, assumendo, invece, particolare rilevanza l’inserimento continuativo ed organico di tali prestazioni nell’organizzazione dell’impresa (cfr Cass. n 18414/2013,22785/2013, 7517/2012, n 6983/2004).

5. Infine, la ricorrente si duole che la Corte non abbia valutato che la sentenza del Tribunale di Mantova del 9/9/2006 nella causa intercorsa in relazione al medesimo verbale tra la società Ario e l’Inail nella quale era stata utilizzata l’istruttoria svolta davanti al Tribunale di Vicenza, era stato escluso la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato. Sotto tale profilo deve escludersi che detta sentenza possa costituire giudicato, neppure riflesso, tra parti diverse.

La ricorrente, inoltre, non ha depositato la sentenza così come impone l’art. 369 c.p.c., riportandone solo alcuni passi nel ricorso.

In conclusione, la Corte ha fornito un’adeguata e corretta spiegazione delle ragioni che l’hanno indotta ad affermare la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato svolgendo un positivo e completo accertamento di tutte le circostanze di fatto emerse dall’istruttoria. I motivi di doglianza formulati dalla ricorrente non hanno in concreto investito in modo dirimente nessuno dei passaggi argomentativi della sentenza impugnata.

Il ricorso va, pertanto, rigettato con condanna della ricorrente a pagare le spese del presente giudizio.

PQM

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare le spese processuali liquidate in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre 15% per spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 16 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 settembre 2017

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