Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21120 del 02/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 02/10/2020, (ud. 26/02/2020, dep. 02/10/2020), n.21120

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. DINAPOLI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 3009/2015 R.G. proposto da:

Nuova Dac s.r.l. in liquidazione in persona del liquidatore

C.S., rappresentata e difesa dall’avv. Paolo Vermiglio del Foro

di Messina, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv.

Pietro Saija, in Roma via Principale Clemente n. 2, come da procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Sicilia n. 733/27/2014, depositata il 6 marzo 2014.

Udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Dinapoli Marco nella

camera di consiglio del 26 febbraio 2020.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La società Nuova Dac s.r.l., ora in liquidazione, già esercente commercio all’ingrosso e al dettaglio di articoli casalinghi, porcellane, tessuti, biancheria ed altro, impugnava in primo grado due avvisi di accertamento per gli anni di imposta 1995 e 1996, con cui l’Agenzia delle entrate di Me5sina accertava ricavi non dichiarati per Lire 21.511.178.000 per l’anno 1995 e per Lire 22.339.533,913 per l’anno 1996, con conseguente recupero a tassazione di maggiori imposte Irpeg e Ilor, oltre sanzioni e interessi. Gli accertamenti si fondavano sulle risultanze di una verifica della Guardia di Finanza da cui emergevano l’inattendibilità della contabilità aziendale e l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi per l’anno 1996, onde lo svolgimento di indagini finanziarie sui conti correnti bancari e postali nella disponibilità della società, con la conseguente imputazione a ricavi non dichiarati delle operazioni bancarie non giustificate dalla società, con applicazione di una percentuale di redditività del 30%.

La Commissione tributaria provinciale di Messina, riuniti i ricorsi, li accoglieva con sentenza n. 106/05/2006 del 3 marzo 2006, avverso cui l’Agenzia delle entrate proponeva appello.

La Commissione tributaria regionale della Sicilia, con la sentenza indicata in epigrafe, in riforma integrale della sentenza di primo grado, accoglieva l’appello e confermava la legittimità degli avvisi di accertamento. Riteneva che, accertate irregolarità formali e sostanziali nella tenuta delle contabilità, l’Amministrazione finanziaria avesse correttamente proceduto ad indagini bancarie con ricorso alle presunzioni ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, i cui risultati non erano stati superati da prova contraria, gravante sulla contribuente, che aveva invocato la avvenuta distruzione della contabilità aziendale. Riteneva inoltre corretta la percentuale di redditività applicata, in quanto relativa alla determinazione dell’utile netto, ottenuto sottraendo l’ammontare percentuale dei costi dai ricavi.

La contribuente ricorre per cassazione con due motivi e chiede cassarsi la sentenza impugnata con ogni conseguente statuizione anche in ordine alle spese di lite. l’Agenzia deposita breve controricorso e conclude per il rigetto del ricorso principale, vinte le spese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Il primo motivo di ricorso denunzia violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 comma 2 e 3, L. n. 212 del 2000, art. 7, L. 241 del 1990, art. 3, D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 23, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 perchè gli avvisi di accertamento hanno applicato una percentuale di redditività del 30% senza darne conto in motivazione; percentuale confermata dalla sentenza, che sarebbe incorsa per questo nel vizio lamentato.

2.-11 secondo motivo di ricorso lamenta la nullità della sentenza per omessa pronunzia su specifici motivi di gravame in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 ed agli artt. 112 c.p.c., 2, del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 35 e 36. In particolare la sentenza impugnata avrebbe omesso di valutare le specifiche questioni proposte dalla parte con i motivi di appello, quali la mancanza di motivazione circa l’applicazione della percentuale di redditività e l’applicazione del regime sanzionatorio più favorevole.

3.- Il primo motivo di ricorso è inammissibile. Premesso che le doglianze manifestate si riferiscono principalmente alle motivazioni dell’accertamento effettuato dalla Guardia di Finanza prima e dall’Agenzia delle entrate poi, e solo marginalmente alla motivazione della sentenza impugnata, ritiene questa Corte che questo motivo, solo apparentemente denunzia violazione di legge, mentre in realtà contesta il merito della decisione di appello, in quanto prospetta non una errata interpretazione della legge, ma una erronea ricognizione della fattispecie concreta rispetto alla valenza dimostrativa di tutte le risultanze di causa; questione che invece non attiene all’interpretazione della legge ma alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (v. per tutte, Cass. Sez. 1, ordinanza n. 3340 del 05/02/2019 Rv. 652549 – 02). La sentenza infatti fa espresso riferimento alla motivazione degli avvisi di accertamento e specifica che questi applicano una percentuale di redditività e non una percentuale di ricarico, precisando anche in cosa consista la differenza. Gli avvisi di accertamento, a loro volta, per come trascritti dalla società nel controricorso, fanno riferimento alla percentuale media applicata nel settore. Si tratta quindi di una valutazione di merito, effettuata all’esito dell’esame complessivo dei fatti di causa, e che non può essere contrastata sotto il profilo della violazione di legge.

4.- Il secondo motivo di ricorso è inammissibile. Infatti la censura di minus petizione, per come formulata, non lamenta la mancanza della decisione su alcuna delle eccezioni proposte, bensì il mancato o insufficiente esame delle argomentazioni di parte, questione che in realtà riguarda la motivazione della sentenza e non la completezza della decisione.

4.1- In ogni caso la censura è anche infondata perchè non sussiste il vizio di omessa pronuncia quando, pure in assenza di specifica statuizione del giudice, la pretesa avanzata col capo di domanda che si assume non esaminato risulti – come nel caso di specie – incompatibile con l’impostazione logico -giuridica della pronuncia, sì da potersene ravvisare il rigetto implicito (Cass., Sez. III, 12 ottobre 2017, n. 23940; Cass., Sez. VI, 25 settembre 2018, n. 22598). Infatti, secondo risalente insegnamento di questa Corte, al giudice di merito non può imputarsi di avere omesso l’esplicita confutazione delle tesi non accolte o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi, giacchè nè l’una nè l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa l’esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento risulti da un esame logico e coerente, non già di tutte le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, bensì solo di quelle ritenute di per sè sole idonee e sufficienti a giustificarlo. (cfr. Cass. V, 9/3/2011, n. 5583).

4.2- La sentenza impugnata, all’esito della valutazione del materiale probatorio acquisito, ha ritenuto assorbente e decisiva la inattendibilità della contabilità aziendale, l’omissione della dichiarazione dei redditi per l’anno di imposta 2006 e l’inottemperanza della contribuente all’onere di fornire giustificazione delle movimentazioni bancarie, e recessive, pertanto, le altre questioni di fatto e di diritto proposte dalla contribuente, con decisione del tutto ricompresa nel perimetro dei principi di diritto sopra richiamati.

5.- In conclusione, per i motivi indicati, il ricorso della Nuova Dac s.r.l. in liquidazione deve essere rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali di questo giudizio come liquidate in dispositivo. Deve darsi atto, infine, della sussistenza dei presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato a carico della società ricorrente.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 17.000,00 (diciassettemila) complessivi. Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2020.

Depositato in cancelleria il 2 ottobre 2020

 

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