Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21118 del 02/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 02/10/2020, (ud. 12/02/2020, dep. 02/10/2020), n.21118

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –

Dott. ANTEZZA Fabio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2960/2014 R.G. proposto da:

EDILGRIM S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t.,

M.E., rappresentati e difesi dall’avv. Paolo Malesci e dall’avv.

Filippo Tornabuoni, con domicilio eletto presso lo studio del

secondo in Roma via Bruno Buozzi n. 77;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Toscana, n. 105/29/2013 depositata il 12 giugno 2013, non

notificata.

Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 12 febbraio 2020

dal consigliere Dott. Gori Pierpaolo.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Toscana veniva rigettato l’appello proposto dalla Edilgrim Srl e da M.E. avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Firenze n. 155/09/2010 che, a sua volta, aveva riunito e rigettato i ricorsi dei contribuenti, aventi ad oggetto avvisi di accertamento IVA, IRES, IRAP e sanzioni per l’anno di imposta 2005, con cui erano stati determinati maggiori redditi rispetto a determinati contratti di compravendita immobiliare.

– La sentenza della CTR disattendeva l’eccezione preliminare di nullità dell’atto impositivo per mancata allegazione dei documenti richiamato in motivazione e condivideva integralmente nel merito la decisione del giudice di prime cure. Il giudice d’appello riteneva così legittime le riprese per anomali prezzi dichiarati in misura inferiore a valori OMI, anomalie confermate dalla documentazione bancaria relativa ai contratti di mutuo contestualmente stipulati.

– Avverso la decisione propone ricorso la contribuente, affidato a tre motivi, che illustra con memoria, cui replica l’Agenzia delle Entrate con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo di ricorso – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – i contribuenti deducono la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56 oltre della L. n. 212 del 2000, art. 7, per aver la CTR mancato di dichiarare la nullità dell’avviso di accertamento impugnato per difetto di motivazione, in quanto fondato per relationem su documenti decisivi non allegati e non altrimenti conosciuti, nè conoscibili. I documenti erano, circa la compravendita Rosoni, la “delibera di accoglimento della richiesta di fido Delib. 7 febbraio 2005, n. 1441 nella quale viene indicato un costo di acquisto dell’immobile da compromesso pari ad Euro 299.000”, quanto alla compravendita A., la stima dell’immobile effettuata dal geom. C. e, quanto alla compravendita A., la stima dell’immobile del geom. G..

Il motivo è inammissibile. Va ricordato che “In tema di ricorso per cassazione, il principio di autosufficienza – prescritto, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3 – è volto ad agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata, da evincersi unitamente ai motivi dell’impugnazione: ne deriva che il ricorrente ha l’onere di operare una chiara funzionale alla piena valutazione di detti motivi in base alla sola lettura del ricorso, al fine di consentire alla Corte di cassazione (che non è tenuta a ricercare gli atti o a stabilire essa stessa se ed in quali parti rilevino) di verificare se quanto lo stesso afferma trovi effettivo riscontro, anche sulla base degli atti o documenti prodotti sui quali il ricorso si fonda, la cui testuale riproduzione, in tutto o in parte, è invece richiesta quando la sentenza è censurata per non averne tenuto conto.” (Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 24340 del 04/10/2018, Rv. 651398 – 01). Il ricorso non riproduce nè riallega integralmente l’atto impositivo e anche la sintesi che opera a pag.11, comunque solo per alcuni dei rogiti in contestazione, non mette il Collegio nelle condizioni di comprendere il contenuto concreto della doglianza senza ricorrere agli atti del fascicolo del merito, attività preclusa per il tipo di censura in questione.

Con il secondo motivo di ricorso – ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – i contribuenti cesurano la violazione e falsa applicazione dell’art. 2727 c.c. e s.s. e art. 2697 c.c., comma 2, per inadeguatezza e incongruità logica dei motivi che sorreggono gli accertamenti, oltre che l’omesso esame su un punto decisivo della controversia a riguardo.

– Il motivo è infondato. Va reiterato che “In tema di accertamento dei redditi d’impresa, in seguito alla sostituzione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 ad opera della L. n. 88 del 2009, art. 24, comma 5, che, con effetto retroattivo, stante la sua finalità di adeguamento al diritto dell’Unione Europea, ha eliminato la presunzione legale relativa (introdotta dal D.L. n. 223 del 2006, art. 35, comma 3, conv., con modif., dalla L. n. 248 del 2006) di corrispondenza del corrispettivo della cessione di beni immobili al valore normale degli stessi (così ripristinando il precedente quadro normativo in base al quale, in generale, l’esistenza di attività non dichiarate può essere desunta “anche sulla base di presunzioni semplici, purchè queste siano gravi, precise e concordanti”), l’accertamento di un maggior reddito derivante dalla predetta cessione di beni immobili non può essere fondato soltanto sulla sussistenza di uno scostamento tra il corrispettivo dichiarato nell’atto di compravendita ed il valore normale del bene quale risulta dalle quotazioni OMI, ma richiede la sussistenza di ulteriori elementi indiziari gravi, precisi e concordanti.” (Cass., Sez. 5 -, Sentenza n. 9474 del 12/04/2017, Rv. 643928 – 01)

– Nella fattispecie in esame, la CTR si è attenuta al principio giurisprudenziale sopra enunciato, avendo affermato che l’accertamento analitico induttivo del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d) risulta fondato non solo sullo scostamento tra prezzi dichiarati nei rogiti e valori OMI. In particolare, l’Agenzia ha incrociato tali dati “con la documentazione bancaria attinente i contratti di compravendita” attestante valori superiori a quelli dichiarati ai fini dell’ottenimento di mutui ipotecari da parte degli acquirenti. Una tale motivazione si sottrae tanto alla censura di violazione di legge sotto il profilo considerato, quanto al vizio motivazionale costituendo l’apprezzamento circa la ricorrenza di ulteriori elementi indiziari gravi, precisi e concordanti, giudizio di merito che sfugge al sindacato nei termini generici sollevato, trattandosi di una argomentazione succinta, ma congrua e adeguata e che rispetta i principi che regolano la prova per presunzioni.

– Con il terzo motivo di ricorso – ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – i contribuenti deducono la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27, oltre che l’omesso esame su un punto decisivo della controversia, per aver la CTR affermato l’esistenza di un principio di automatismo che prevede, nel caso si accertino maggiori incassi, in società a ristretta base sociale, che questi vengano considerati immediatamente utili distribuiti ai soci, senza considerare che l’accertamento nei confronti della società non era definitivo.

– Il motivo è infondato. Va ribadito che “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, è legittima l’applicazione, alle società di capitali a ristretta base partecipativa, della presunzione di distribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili – salva prova contraria da parte del contribuente – anche in assenza di rapporti di parentela, in quanto la ristrettezza della base sociale implica di per sè un elevato grado di compartecipazione dei soci, la conoscenza degli affari sociali e la consapevolezza dell’esistenza di utili extrabilancio.” (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 24572 del 18/11/2014 – Rv. 633455 – 01); e che: “In materia di imposte sui redditi, nell’ipotesi di società di capitali a ristretta base sociale è ammissibile la presunzione di attribuzione ai soci di utili extracontabili, che non si pone in contrasto con il divieto di presunzione di secondo grado, in quanto il fatto noto non è dato dalla sussistenza di maggiori redditi accertati induttivamente nei confronti della società, bensì dalla ristrettezza dell’assetto sode-tarlo, che implica un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale.” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 15824 del 29/07/2016 – Rv. 640622 – 01 e, conforme, Sez. 5, Sentenza n. 27778 del 22/11/2017 – Rv. 646282 – 01). Nel caso di specie, nel motivo di censura in esame, il socio M.E. non ha mai dedotto alcun elemento di prova contraria, come ad es. il reinvestimento di tali utili extrabilancio nella società, e pertanto la presunzione di redistribuzione degli utili, da lui non superata, è senz’altro applicabile.

-In conclusione, il ricorso va rigettato, e dal rigetto discende il regolamento delle spese di lite, secondo soccombenza, liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso, e condanna i ricorrenti in solido alla rifusione alla resistente delle spese di lite, liquidate in Euro 5.600 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 12 febbraio 2020.

Depositato in cancelleria il 2 ottobre 2020

 

 

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